Racconto di Elena Piseddu

(Prima pubblicazione)

 

 

La prima passeggiata del mattino era la più bella; uscivo quando il sole albeggiava, le strade erano deserte, pochi i rumori. Al parco i piccioni beccavano tra la ghiaia le briciole rimaste al suolo dai pasti dei lavoratori che spesso vedevo consumare il loro pranzo seduti sulle panchine. Un senzatetto viveva lì, giorno e notte. Qualche pezzetto di carta svolazzava e roteava insieme alle foglie. Era il mio rito mattutino, appena sveglio mi recavo al parco poi tornavo a casa dove mi attendeva una ricca colazione. Le panchine erano pitturate di un grigio antracite, avevano zampe in ferro battuto arricciato credo fossero molto scomode; il suolo era ricoperto di ghiaia, lungo il lato esterno del viale si poteva godere dell’ombra dei platani e all’interno giardinieri fantasiosi avevano creato oasi, abbinando vari arbusti ornamentali, fontane zampillanti, illuminazioni dai colori cangianti. Vi era anche un vecchio chiosco dove dalle undici del mattino si iniziavano a cucinare le crepes e il profumo di burro riscaldato e di zucchero riempiva piacevolmente l’aria.
La mia colazione era sempre la stessa, da anni, ma non me ne lamentavo, ero in salute, digerivo, riposavo bene, ero agile, forte con una splendida dentatura, decisamente un bel tipo.
Ricordo di essere nato in quella casa vicino al parco, di aver sempre avuto la mia stanza, un grande giardino occupato da un salice piangente e qualche albero da frutta, ombra e sole. D’inverno il verde del prato diventava bianco e io mi divertivo a giocare nella neve, mi piaceva addirittura mangiarla… ma ahimè le conseguenze non erano delle migliori.
Durante l’estate si andava in villeggiatura al mare, avevamo un’altra casa più piccola e senza giardino ma con ampie finestre sulla passeggiata. Trascorrevo la giornata praticamente in spiaggia, mi rilassavo sul mio asciugamano, sotto l’ombrellone e bevevo tanta acqua, bisogna bere molto quando fa caldo. Sapevo nuotare, avevo imparato sin da piccolo, le onde del mare inizialmente mi spaventavano ma col tempo avevo imparato a giocarvi, mi facevo portare in alto sulla cresta dell’onda e poi giù e poi ancora su….e ancora.
La sera mi piaceva restare a casa sul divano, dalle finestre aperte mi giungevano le voci gioiose dei ragazzi in vacanza al termine della scuola, la musica dei locali sul lungomare, il profumo del cibo da asporto, l’odore penetrante del gelsomino che si mischiava a quello meno gradevole di salsedine.
Andavo a dormire presto e spesso sognavo.
Durante l’anno nei weekend io e la mia famiglia ci concedevamo delle lunghe escursioni in montagna eravamo dei camminatori esperti. Raramente rimanevo a casa la domenica e in quelle sporadiche occasioni non mi annoiavo, ne approfittavo per riposare, per fare stretching e qualche pratica di automassaggio.
Avevo parecchi amici selezionati nel corso degli anni, non erano invadenti, erano schietti e sinceri, ci incontravamo un paio di volte alla settimana e la cosa piacevole era che non si lamentavano mai, erano sempre festosi.
I pomeriggi li trascorrevo in raccoglimento con me stesso, pensavo e osservavo.
Osservavo attentamente tutto ciò che accadeva intorno a me, anche se sembravo distratto, ero sempre vigile e non mi sfuggiva nulla.
Dal terrazzo riuscivo a vedere i ragazzi prendere il pullman per andare a scuola, i fidanzatini baciarsi sulle panchine. Mi divertiva osservare la differenza dei comportamenti tra maschi e femmine. Le donne avevano sempre un passo veloce sulla strada e con le borse della spesa volavano da un luogo all’altro, gli uomini erano più lenti quasi statici, alcuni restavano ore a chiacchierare davanti ai bar.
Io ero un maschio e anche io come gli altri maschi non mi affannavo con le borse della spesa…amavo la lentezza, non che fossi lento anzi, quando si trattava di correre ero velocissimo soprattutto in salita ma trascorrevo le giornate serenamente, senza grandi impegni e non mi interessavo delle faccende domestiche delle quali, per fortuna, se ne occupava mia mamma.
Mia mamma era una donna minuta dai capelli castani, molto dolce e sempre disponibile per tutti.
Mio papà era un uomo di poche parole, amava leggere e lavorava molto, si era creato un piccolo ufficio anche in casa, in quella che doveva essere la stanza degli ospiti. Ascoltava musica jazz che pian piano anche io avevo iniziato ad apprezzare; sicuramente più piacevole per le mie orecchie dei i suoni violenti di musica metal provenienti dalle stanze dei miei fratelli.
Avevo anche due fratelli, sì, un ragazzo e una ragazza.
Con la crescita avevo sviluppato muscoli forti, seguivo una sana e rigorosa alimentazione periodicamente andavo ai controlli dal medico e l’esito delle visite era sempre “Tommy è in perfetta forma”.
Mi piaceva uscire a camminare anche sotto la pioggia. Quando, andando nel bosco, amavo sentire il profumo delle foglie e della terra bagnate penetrare nelle narici e le gocce che si appoggiavano sui miei baffi mi facevano il solletico, entravo ed uscivo dalle pozzanghere.
Col passare degli anni i miei fratelli erano diventati più grandi di me, molto più grandi di me e non avevano più interesse a giocare.
Mia sorella era in piena crisi evolutiva, innamorata di un ragazzo di cinque anni maggiore di lei, invece mio fratello sembrava innamorato solo dei suoi muscoli e della palestra.
Anche io facevo ginnastica ma non ero un fanatico.
Raramente guardavo la televisione, ogni tanto il calcio insieme a mio papà.
Una mattina mi svegliai con forti dolori alle articolazione e faticai ad alzarmi e a camminare.
I miei genitori mi portarono dal medico, mi fecero delle flebo e mi misero a dieta, cambiai l’alimentazione e come mia abitudine rispettai le regole. Le passeggiate in montagna finirono e rimase solo il parco, ma anche quelle passeggiate divennero sempre più brevi perché chiedevo di rientrare dopo pochi passi.
Una mattina mi trovai di nuovo dal medico i miei genitori erano vicino a me, mi sorridevano e accarezzavano, sentivo una grande serenità. Ero leggero, i dolori erano scomparsi e tutto d’un tratto mi ritrovai in un prato immenso, pieno di fiori e farfalle e verso di me correva una splendida creatura bionda, un’affascinante golden retriever.