Racconto di Patrizia Bortolini

(Prima pubblicazione – 3 gennaio 2019)

 

Oggi voglio raccontare ai miei figli la storia di una persona che loro non hanno mai conosciuto, la mia bisnonna.

Si chiamava Fiorina, ha vissuto dal 1878 al 1974, un secolo.

Non so perché mi sia venuta in mente proprio oggi, dopo tanti anni, forse è il periodo del Natale, dei ricordi, chissà…

Era una donna forte, di quelle “ di una volta”, alta, magra, tenace.

Vestiva di nero, ampie gonne lunghe, camicia castigata, braccia coperte, fazzolettone in testa. Credo di averla sempre vista con i capelli bianchi, raccolti a crocchia sulla nuca, qualche ciuffo ribelle sul viso. Sicuramente da giovane li avrà avuti scuri i capelli, ma io ne ho sempre l’immagine di una “vecchia”, segnata dalle rughe, che disegnavano sulla pelle la vita vissuta, una vita dura, senza sconti, passata attraverso le guerre, gli stenti, la paura, la sofferenza per un marito ed un figlio morti giovani.

Rideva  appena, lievemente, sguardo altero, provato, sopravvissuto…Era rimasta con due figlie  una delle quali era la mia nonna materna, Nella, la madre di mia madre.

Abitava da sola in una borgata, una manciata di case addossate tra di loro, in una minuscola frazione del paese. La sua casa si trovava  in fondo ad un piccolo cortile dove vi era una fontanella con ai piedi un secchio perennemente ghiacciato in inverno e su un lato la “stia”, angusta catapecchia dove riporre la legna da ardere, con accanto la latrina. Eh sì…negli inverni piu gelidi cosi come nelle estati piu torride, il “ bagno” era quello, chiuso a malapena da una traballante porta di listarelle di legno.

I genitori ci portavano spesso a trovare la bisnonna, talvolta ci lasciavano anche qualche pomeriggio con lei, a farle compagnia.

Le piaceva raccontarci le storie o le vicende della guerra, e poi a merenda ci preparava l’ immancabile fetta di pane, burro e zucchero! Una bontà! Ancora ne sento il sapore intenso in bocca!

E mentre raccontava, sferruzzava sempre, faceva calzettoni a tutti, lavorava con  4 ferri, velocissima, quasi ad occhi chiusi, e  senza occhiali anche fino a tarda età! Aveva una vista acuta ed invidiabile, una memoria eccezionale!

Dietro la casa coltivava un minuscolo orto e le sue amate zinie.

Relegato nel sottoscala, ricordo un secchiaio di pietra con appese al muro le pentole ed i coperchi di rame ben lucidati, mentre in cucina una bellissima “ rotonda” con la panca di legno

intorno al “larin”, il focolare.

Sulla mensola sopra il camino i vasetti di alluminio e di ceramica per il caffè, lo zucchero, il sale e pepe. In un angolo, la stufa a legna sempre con una pentola borbottante, il ferro da stiro da mantenere bello caldo, ed appoggiato sulla sedia il lavoro a ferri.

Aveva una tempra da guerriera, forte come una roccia!

A Pasqua partiva a piedi dal suo borgo  fino a casa nostra  per portarci le uova sode dipinte.

Distava alcuni chilometri, ma fino agli ultimi anni della sua vita, li ha sempre percorsi a piedi. Arrivava al mattino dalla mia mamma, ci chiamava tutti attorno a lei e piano piano apriva il cartoccio, alzava gli occhi per guardare le nostre bocche aperte in attesa della sorpresa e…ecco che comparivano tante allegre uova colorate.

Era una gioia vederle, sapere che le aveva colorate apposta per noi!

Si poteva dire che era davvero Pasqua solo quando arrivavano le uova della nonna Fiorina!

Dopo aver pranzato assieme a noi, al pomeriggio, riprendeva il cammino per tornare a casa sua, felice di averci fatti contenti con quel semplice regalo fatto con il cuore.

Ma il ricordo piu vivo che ho di lei e del suo tempo, è il giorno della festa del patrono, Sant’Andrea, il 30 di novembre, quei novembri freddissimi, con il respiro che si ghiacciava , con la neve ai lati delle strade. Ci riunivamo tutti a casa sua, la mia famiglia, gli zii, i cuginetti, i nonni materni.

La cucina era piena di noi, delle nostre voci. Il pranzo ci vedeva seduti tutti attorno al tavolo di legno con le sedie di paglia.

Preparava il suo buon risotto coi fegatini, la polenta col tocio, l’ immancabile “pinza” tipico dolce veneto ed il caffè con la sua vecchia cuccuma. L’ ambiente era semplice e rustico ma c’era tanto calore e non era solo quello della stufa!

Fuori il rubinetto della fontana aveva i ghiaccioli,  il bagno metteva i brividi, ma vivevamo quella festa con tanta allegria, stupore e condivisione.

Il nonno Checchi ci comprava, nell’unico banchetto che osava sfidare il freddo, il classico mandorlato, il torrone. Si vendeva solo in quell’ occasione, nelle sagre paesane, era il simbolo della festa, duro e croccante da spezzare i denti, ma buono e tanto desiderato! Ed erano i primi tempi in cui si vendeva lo zucchero filato, candida magia trasparente attorno ad uno stecchetto..

Erano cose uniche, apprezzate, preziose!

Passavamo tutta la giornata da lei, a chiacchierare, a giocare, ad uscire intabbarrati per vedere l’unica piccola giostra in piazzetta, a mangiare alla sera quello che rimaneva del pranzo, a stare seduti sulla panca della rotonda, a guardare i bagliori del fuoco, e il buio che scendeva…

Era bello, eravamo tutti lì e lei troneggiava senza imporsi,come una regina,  sempre vestita di nero, sempre buona, sempre a darsi da fare , capostipite di una famiglia riunita nelle giornate importanti, coi pronipoti che ronzavano intorno, che crescevano a vista d’ occhio…

Sant’ Andrea era la giornata che aspettavamo tutto l’ anno, perchè era speciale! Era gelida, ma aveva la magia del calore intimo, delle cose semplici, della felicità a poco prezzo…

La nonna Fiorina si vantava di non essere mai andata dal medico in vita sua. Sempre sana e temprata dalla vita, ha vissuto da sola ed autonoma fino all’ ultimo, lucida nel pensiero, attiva, fiera, orgogliosa dei pesi sopportati.

La morte se l’ è portata via a 96 anni .  Ero sui banchi del liceo quando se ne andò, senza disturbare, in silenzio.

Ancora ho nel cuore i suoi occhi liquidi, il suo sguardo intenso, quelle belle rughe, quel fazzolettone scuro sui capelli candidi.

Una donna tenace, combattiva, caparbia, figlia del suo  tempo.

La nonna Fiorina era una splendida figura in biancoenero, protagonista del libro delle nostre vite, indomita e genuina.