Racconto di  Francesca Coppola

(Ottava pubblicazione)

 

 

Numero uno: Mettere Teresa nella vasca.

Numero due: accendere il gas.

Numero tre: stendermi sul divano.

 

Non vedo ponti o luci. Mancano all’appello le atmosfere leggere. – Perché ho ancora l’ansia? –

Me ne sono accorta un giorno preciso. Le finestre hanno iniziato ad opacizzarsi e non ho osato più scriverci sopra. Poi, una sera, ho visto acqua sul pavimento e le pareti troppo scure.

La chiamano muffa questo annebbiamento delle superfici. I contorni cambiano colore ed odore. La stanza non è più la stessa e neanche tu. Si insinua la muffa. Per l’inverno, il mancato isolamento, il troppo isolamento. C’è un bianco invisibile che riempie i polmoni, diventi la spaccatura visibile sulle colonne. Sono lontani i giorni in cui te ne stavi in piedi a fissare le macchie verdi negli armadi. Non sei più tentata di mettere ordine, prendere gli indumenti bagnati e buttarli in un sacco perché le tende sono pesanti e ti senti stanca.

Torni al letto, è il tuo personale circolo vizioso: il soffitto è incendiato ma senza fuoco; la creatura è diventata stranamente silenziosa; l’umidità, in particolare sembra restituire un’apparenza vitale alla tua pelle. E non sei trasparente e non sei visibile. Sei parte di un tutto che non desta attenzione, come la ruggine sul lato destro della porta, la polvere che non si nota senza sole, la candeggina caduta sui risvolti dei jeans. Le scarpe sono fuori la porta. Solo la muffa dentro.

Ho scordato il suono della mia voce e nessun trailer è stato trasmesso in onore alla mia vita.

E mica è mio il nome. Uno a caso.

Uno scelto da un libro, da quel film.

I caratteri non sono precisi e quello non è il mio nome.

Sulla tavola c’è una foto di plastica con una croce. C’è scritto Valeria, c’è il mio volto ma non sono io. Mia madre sostiene, con ostinazione, che in fondo noi aneliamo le delusioni, che se gli uomini costruiscono troni per le donne è solo perché poi sanno bene come farle abdicare. Per lui io sono la causa di ogni reazione: se le cose stanno in ordine, se ogni cosa è in disordine. Se mi trucco per sbiancare i lividi, se, invece, non lo faccio più e piango. Se mi fermo alla finestra, se mi stendo sotto il letto, se non urlo per le botte. Ho un problema con le bugie, lui dice.

“Dove vuoi andare?” mi ripete. “Senza più un lavoro, senza amici, sei merce avariata”. Così ogni tanto ho immaginato la mia vita. Ferma alla finestra sul cortile mi sono innamorata delle lucertole, quando si raggruppano beate a prendere il sole. Una volta, ricordo di essermi fissata su una senza coda, potevo essere io, anche lui sosteneva da sempre che io fossi difettosa. Così ho pensato di chiudere gli occhi e lasciar correre le differenze, ho smesso di rispondere al telefono e spalmare il correttore sulle cosce.

Qualche giorno fa mi sono rifiutata di andare in ospedale. Cosa mai avrei potuto dire questa volta? Per qualcuno io sono la moglie rassegnata, per altri una casalinga distratta, per la maggioranza sono comunque una donna triste. Lo specchio mi restituisce un volto che non mi appartiene – di chi è quella faccia tumefatta? – Avverto male ad un polso, un dito della mano, a giudicare dal dolore è probabilmente rotto. Cosa avrei potuto confessare ad uno specchio?

E così l’ho fatto!

Ho atteso, con pazienza, che uscisse per andare al lavoro e, invece, di chiudere lui fuori, mi sono rinchiusa io dentro.

Ho sfogliato le foto in galleria e poi ho spaccato il telefono. Ho lasciato il televisore acceso, sintonizzato sul canale dei cartoni animati. Ho scritto eseguire il rito, poi ho spuntato ogni nota dalla lista. E adesso qui c’è solo muffa.

-°-

https://www.amazon.it/Ultimatum-dallinverno-Francesca-Coppola/dp/8868814595

https://www.unilibro.it/libro/coppola-francesca/non-togliermi-il-vestito/9788893820608