Racconto di Ermanno Ferrini
(Prima pubblicazione – 2 dicembre 2019)
Sul finire dell’estate, prima che ricominciasse la scuola, la mamma mi portava dalla magliaia per farmi fare due “golfi”.
Quelli dell’anno precedente erano “sfuggiti”.
Si disfacevano. E, con quella lana, la nonna tirava fuori le sciarpe per l’inverno. Con i ferri da calza.
I colori erano sempre quelli. Marrone e blu, ma scuri. Qualche volta, di rado, grigio antracite. Per trasgredire, rosso bordò.
Uno, paricollo. E l’altro con scollo a V. Per cambiare.
La magliaia era la Sora Leda. Stava in Via Palazzolo.
In quella casa c’era sempre odore di cavolo. Come l’anno prima. E si sentiva anche sulle scale.
La Sora Leda era una donna senza età. Forse, ancora giovane. Ma sempre tanto triste. E che un giorno doveva essere stata molto bella.
Mentre mi prendeva le misure, mi dava dei biscotti. Che prendeva da una scatola di latta che era sempre allo stesso posto. Le Marie, una specie di Oro Saiwa. Ogni anno più stantii.
Su un mobile, in una cornice argentata, c’era la fotografia di un uomo bellissimo. Con i capelli impomatati, la bocca grande e i baffi sottili.
Io quell’uomo lo avevo visto al cinema. Quando, con i miei genitori, andammo a vedere “Via col Vento”.
In quelle quattr’ore avevo dormito molto. Ma, ogni tanto, mi ero anche svegliato. E quell’uomo lo ricordavo bene.
Quando uscimmo, chiesi:
– Mamma, ma perché la Sora Leda tiene la fotografia di quell’attore ?
– Vedi -mi rispose- quel signore gli assomiglia, ma non è lui. È il suo innamorato. E’ partito per la guerra, e non è più tornato. Gran brutta cosa, la guerra.
Eravamo agli inizi degli anni cinquanta.
La Sora Leda non si sposò mai.
E, davanti a quella fotografia, l’unica cosa che gli restava di lui, tutti i giorni lo aspettava ancora. E piangeva.
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