Racconto di Raffaella Bagni
(Quinta pubblicazione – 17 luglio 2019)
I capelli castani, abbracciavano le mie spalle nude e ossute.
Me ne stavo affacciata alla finestra del mini appartamento, comprato con un mutuo diviso a metà.
La vista sullo stadio e un quartiere popolare.
Mi piaceva strizzare gli occhi, fino a socchiudere le lunghe ciglia scure, per riuscire a vedere la mia via di fuga.
Non mi sono mai sposata, per scelta condivisa, o forse per mantenere quel senso di possibilità, che ho sempre sentito nel profondo.
La trappola di una vita condivisa però, aveva finito per stringermi il collo fino a farmi soffocare.
Il sogno di girovagare, libera per il mondo, non se ne era mai andato del tutto. Come una circense, mi destreggiavo tra mille doveri, il lavoro, il mio compagno, i figli desiderati; ma le acrobazie, i sogni di una vita vera restavano un miraggio.
Avrei voluto camminare su una fune, ondeggiare tra tessuti colorati, indossare costumi appariscenti e sentirmi apprezzata, come uno chef premiato per il suo piatto migliore, come una fata che trasforma la zucca in carrozza.
I bambini ancora piccoli, mi succhiavano le energie e i sogni come piccoli vampiri.
Annette, mi faceva sentire nuda, come quando l’avevo partorita, senza costume di scena. Con parole feroci, taglienti come spade, affondava colpi da maestra, proprio lì, dove il mio corpo aveva le fessure, i solchi del rimpianto, le finestre sui sogni.
Cercavo di ricucirmi, come mi aveva insegnato la nonna, ma ogni tentativo risultava invano. Le mie risorse erano, un ago spuntato e un filo troppo corto.
Non volevo più sanguinare, ne finire col morire. Mi sentivo anemica e stanca.
La mia figura esile e aggraziata, un tempo trapelava gioia di vivere e voglia di rinascere. Oggi, appariva bianca e cupa come una luce spenta.
Ero invisibile agli occhi del mondo.
Quella mattina, decisi che l’emorragia andava fermata.
Prima di distruggere in modo irreversibile, ciò che avevo costruito negli anni con sudore, fatica e passione, decisi di partire.
Sentivo l’aria mancare. Il mio corpo, d’improvviso pesante, si trascinava a fatica, mi chiedeva di liberarsi.
Ero un’araba fenice che si preparava ad essere qui, ora.
Un viaggio all’interno di me. Un viaggio nel mio paese di origine. Zaino in spalla, raccolsi tutta la forza di volontà che mi restava, mi trascinai in stazione e presi il volo.
Qualche amica mi aveva invidiato la libertà di partire, lasciare compagno e figli per ritrovare il mio essere donna.
Pensai che il medioevo fosse un tempo che non mi riguardava, sorrisi e partii leggera, così leggera che arrivata a Nizza realizzai di non avere tessera sanitaria e bancomat.
Ci incontrammo per dieci minuti, mi portò ciò che avevo lasciato a casa, forse per paura che si dimenticasse di me, forse per dirgli che avevo bisogno di lui.
Quando apparve, fu come se lo vedessi la prima volta.
Dopo dieci anni di convivenza, davanti ai miei occhi spenti, vidi un uomo di cui mi innamorai perdutamente, per la seconda volta. Mi abbracciò e lasciò andare col suo sapore in bocca.
Proseguire il mio viaggio fu ancora più difficile, ma quel soffio d’amore mi guidò, nei giorni successivi, alla riscoperta di me stessa.
La mia natura gitana, non mi fece sentire la mancanza di casa, ma quell’incontro mi aveva turbata. I suoi occhi, sentirlo pronunciare quelle parole, mi svelò tutta la verità. Solo un grande amore, accetta che tu te ne vada.
Quella prova mi liberò, mi rese una persona sicura, forte, Mi sentii una persona che può affrontare ogni giorno, partire e ritornare, partire e non pensare a nessun altro che a se stessa, con la certezza di essere viva.
Arrivai a Parigi, la città che non ha bisogno di spiegazioni. Per molti, la città dell’amore, da vivere in coppia.
Io, sola con me stessa, scoprii che la differenza da lì in poi, l’avrei fatta io, con il mio modo di affrontare la vita.
Non sarebbe importato, chi avrei avuto vicino o lontano o cosa sarebbe accaduto, la differenza l’avrebbe fatta come stavo diventando, come avrei scelto da lì in poi, di reagire a ciò che sarebbe successo.
Sono risorta in quell’abbraccio, in quella città, in quel tempo di solitudine.
La vita è un uragano di eventi, una giostra senza precedenti, ognuno fa la sua corsa, condannato è chi si arrende.
Ogni tappa di quel viaggio fu tentativo di trascendere la mia solitudine.
Fu immersione in luoghi conosciuti e mai dimenticati.
Tornai a casa risanata.
Integra, fedele alla mia natura, innamorata della mia vita.
-Mi siete mancati- dissi, abbracciando la mia famiglia.
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