Racconto di Myriam Ambrosini

(decima pubblicazione)

 

 

Così a nutrirsi di vita in quell’antica foto color seppia.

Un‘accurata, studiata scenografia di voi stessi: il calmo lago alle spalle, l’albero dalle mille braccia, a cui parte del gruppo se ne stava appoggiato.

Le due signore, splendide nei capelli morbidamente raccolti sulla sommità della testa, la camicetta di pizzo, le lunghe gonne mollemente adagiate sull’erba. Al centro, tra di loro, come una sorta di conviviale trofeo, un fiasco di vino troneggiava, poggiato su di un sontuoso drappo.

I cavalieri se ne stavano invece adagiati direttamente sul prato, in pose che decantavano rilassatezza e soddisfazione: una grossa cesta di vimini, sicuro nido di delizie gastronomiche fatte in casa, deposta ai loro piedi.

Mentre le signore, leziosamente, fingevano soltanto di sostenere il trofeo di Bacco, gli uomini sfogliavano tra le mani piatti ricolmi di gustosi spaghetti: uno di loro, quasi a sfida, vi ha già affondato i rebbi di una forchetta per sollevarne, trionfante, una generosa porzione.

Così a nutrirsi di vita in quell’antica foto color seppia

La guardo e mi ci soffermo da quando ero soltanto una bimba e vi riconosco mia nonna ed il suo adorato marito, che non ebbi, purtroppo, la fortuna di conoscere.

Sono giovani e belli mentre guardano verso l’obiettivo che ferma per sempre quell’attimo di vita. Non sorridono, solenni ed immobili, come d’altronde si mostrano tutti i nostri avi in quelle foto color seppia, probabilmente ancora sbigottiti e rispettosi verso quel congegno così rivoluzionario, capace d’immortalare la loro immagine e trasmetterla poi ai posteri, in un futuro lontano che non conosceranno.

Nessuno di loro ormai c’è più … soltanto polvere, ricordi e rimpianti … un ferma immagine di vita così lontano eppure così vicino – penso –, ineluttabilmente identico a ciò che anch’io … anche tutti noi un giorno saremo, sia pure moltiplicato ed amplificato sì dai moderni mezzi tecnologici, ma pur sempre e comunque “passato”, qualcosa che non esiste più.

Torno a guardare quella foto che da sempre ho privilegiato rispetto a tutte le altre che, di quel tempo e di quei miei cari, mi sono rimaste in eredità. La sfioro teneramente e con le dita accarezzo quel volto di giovane donna che diverrà poi mia nonna, quasi tento di ravviarle una ciocca dei neri capelli, che ancora ricordo lunghi e folti anche se ormai candidi come la neve. Tento quasi di entrare in quella foto e di partecipare anch’io a quel picnic sull’erba e, per un battito di ciglia, miracolo di fantasia, sono realmente lì e mi giunge intenso il profumo dolciastro del lago e quello speziato della natura silvestre che lo circonda.

Un vento leggero smuove capriccioso le chiome delle signore e finisce per accarezzare poi anche i miei capelli.

Poi tutto torna immobile, fissato per sempre in quel tempo ed in quella posa.