Racconto di Francesco Sciannarella

(Prima pubblicazione)

 

 

Ogni volta che Daniele andava al cimitero, a trovare la sua Claire, quel cane era sempre lì. Doveva essere un barboncino, ma troppo spelacchiato e sporco per averne certezza.
Daniele sistemava i fiori freschi, puliva la lapide, rimaneva a fissare la foto e poi recitava una preghiera. E per tutto il tempo la bestiola se ne stava a debita distanza a scrutarlo. Il suo sguardo era triste e spento, sembrava quasi condividesse la tristezza di quel luogo.
Claire se n’era andata da un mese, ma per Daniele era già un’eternità. Si tormentava chiedendosi continuamente: perché aveva deciso di morire?
Una ragazza come lei non lo avrebbe mai fatto. Il suicidio era contro i suoi precetti. Amava la vita e in questo era contagiosa. Lui ne sapeva qualcosa, ecco perché aveva perso la testa per la “francese”. Si erano incontrati per la prima volta a Parigi, a Montmartre. Claire era un’artista di strada, dipingeva e vendeva le sue opere. Daniele era rimasto ipnotizzato da quelle mani affusolate che si muovevano veloci dalla tavolozza alla tela. Movimenti che davano vita a splendidi paesaggi, a mescolanze di colori apparentemente insignificanti, ma che a opera ultimata erano splendidi scorci della capitale, appena stilizzati. Non era un esperto d’arte, lasciava che i suoi occhi esprimessero il loro giudizio, senza preoccuparsi della tecnica, della corrente pittorica, niente, solo il piacere per quello che vedeva. E quando, dopo una settimana, si era deciso a comprare un suo quadro, guardarla dritto negli occhi era stato ancora più piacevole che osservarla dipingere. Aveva occhi verdi talmente profondi che perdersi era un attimo. Sulle gote, le poche efelidi sembravano piccoli punti stellati, lì non per vezzo, ma per accrescere la bellezza di quello sguardo meraviglioso.
“Quanto per questo?” le aveva chiesto, con il suo francese stentato. Claire aveva appena finito di dipingere un volto di donna.
“Cinquanta euro” aveva detto, regalandogli un sorriso pieno di vita.
Daniele, scrutando i dipinti di Claire, aveva notato che niente di quella luce riflessa nei suoi lineamenti traspariva dalle opere. Quasi sempre i paesaggi, i volti e le immagini, avevano come un velo di cupezza e oscurità.
“Ok, lo prendo, ma a una condizione” aveva aggiunto Daniele “che me lo firmi e dietro, oltre al titolo, scrivi una dedica per me!”
Claire era rimasta per un attimo basita, poi aveva risposto con un oui pieno d’imbarazzo “però aspettiamo che si asciughi!” aveva aggiunto, e senza indugi aveva preso un altro sgabello microscopico, come il suo, e lo aveva fatto accomodare. Questo era stato l’inizio della loro storia.
Daniele sorrise al ricordo di quei giorni lontani, quasi due anni addietro. E in due anni tutto era cambiato: aveva trovato l’amore, era tornato nuovamente a Matera, la sua città, e aveva vissuto il periodo più bello della sua vita. Ora mancava la voglia di andare avanti!
Daniele sfiorò le dita con le labbra e infine toccò la foto.
«Ciao tesoro!» disse, raddrizzandosi e ritrovandosi a guardare il randagio che, quasi all’unisono, si raddrizzò sulle zampe e attese che ripartisse per accompagnarlo a casa.
“Forse è un cane al quale Claire ha dato da mangiare” gli aveva detto un giorno Laura, la loro amica di sempre “i randagi hanno l’odiosa abitudine di legarsi a chi li nutre!”
“Non ricordo me ne abbia mai parlato!”
“Beh… non ti aspettare che noi donne diciamo tutto a voi uomini” gli aveva detto Laura, sorridendogli e toccandogli un braccio.
No, Claire mi diceva tutto! Aveva pensato quel giorno, guardando la sua amica, ma senza vederla.
Dopo la seconda settimana in cui il cucciolo lo pedinava, aveva dovuto convincersi che Laura aveva ragione. A rafforzare tale ipotesi era che il cane conosceva bene la strada sia per il cimitero che di casa, ma quando Daniele arrivava davanti la porta e apriva, quel bastardino si fermava dall’altra parte della strada, si accucciava e rimaneva a guardare fino a che la porta non si chiudeva.
Era davvero strano. Sempre lì, fermo, in attesa che Daniele uscisse, ma una cosa l’avevano in comune… la totale assenza di vita sociale!
“Una vita da cani, amico mio!” aveva detto una volta, guardandolo dalla finestra.
Un giorno Daniele gli aveva portato una ciotola di carne in scatola, regalo di Anita, la loro vicina di casa. Lei e Claire erano molto amiche. Si somigliavano quasi in tutto, abbigliamento stile hippie, mentalità ultra riformista, grande fumatrice e aria sempre piena di mistero, ma anche testa perennemente tra le nuvole. “Prova a dargli questo” gli aveva detto “è cibo per gatti, ma per un randagio credo sia l’equivalente di un pranzo in un ristorante a cinque stelle!” ed era andata via, salutandolo con un sorriso.
Daniele era rimasto a guardarla, senza dire nulla. Era singolare, indubbiamente. Quando era morta Claire, Anita era andata da lui, gli aveva fatto le condoglianze e poi era tornata a casa. Non una lacrima, non una parola, non un cenno di dolore esternato per un’amica con la quale c’era una sinergia potentissima. Così, quando Anita aveva girato l’angolo, Daniele aveva attraversato la strada con la vaschetta di cibo aperta, un profumo irresistibile per una creatura pelle e ossa. Nell’istante in cui gli fu vicino, quel cane stravagante, a capo chino indietreggiò, fermandosi a debita distanza. Ed era rimasto immobile, a fissare la ciotola. Daniele l’aveva poggiata sul marciapiede e aveva atteso. Niente.
“Ok, ho capito, me ne vado!” aveva desistito. Sorridente, aveva fatto ritorno a casa. Aperta la porta, il randagio si era avvicinato al cibo e aveva preso a mangiare avidamente. Daniele aveva scosso il capo ed era entrato.

Claire era seduta su quel muretto da cui, di lì a pochi minuti sarebbe caduta, e guardava il fondo della gravina. Era stata immortalata in vico Solitario, nel cuore del Sasso Caveoso. Una gamba penzoloni verso l’interno e l’altra piegata sul muro, stretta al petto con le mani incrociate. Il suo sguardo era assorto e pensieroso. Quella espressione della sua Claire era impressa nella foto che un turista aveva divulgato in rete, nel giorno del trigesimo della sua morte. Per Daniele quello sguardo voleva dire solo una cosa: una tristezza profonda e sconosciuta. Uno sguardo che nascondeva qualcosa di strano e che era sfuggito anche a lui. Non ricordava di averla mai vista così.
Anche se non ti conoscevo, ti ho immortalata poco prima che lasciassi questo mondo. Una ragazza di una così rara bellezza non poteva odiare la vita, no, non poteva!
Questo era il commento del post di chi aveva arricchito la pagina Facebook che Daniele aveva creato per ricordare Claire. Il suo intento era di mettere all’asta i suoi quadri. La sorella di Claire, il giorno del funerale, aveva detto che poteva farne quello che voleva. I soldi raccolti li avrebbe dati in beneficenza. Per sé avrebbe tenuto solo il quadro, La femme insaisissable, “La donna sfuggente”.
Daniele salvò la foto sul suo PC e la mise come sfondo dello schermo. Rimase a fissarla a lungo, fino a farsi venire le lacrime. A strapparlo da quella immagine, fu il telefono che squillò, accanto a lui, sul divano. Era Laura. Da quando Claire era morta si sentivano anche più volte al giorno e quando lui ne aveva voglia uscivano insieme. Daniele era quasi certo avesse una cotta per lui, ma non era la donna adatta al suo carattere, erano troppo diversi.
“Devi tornare a vivere” gli aveva detto una sera, seduti uno di fronte l’altro, prendendogli la mano “non hai idea di quante donne ti ronzano attorno!” e gli aveva sorriso. Daniele non aveva mosso un muscolo.
«Che stai facendo?» la voce di Laura era squillante e piena di energia. E per un secondo sentì una punta di fastidio, non era dell’umore giusto per sentire persone allegre.
«Guardo la TV» le mentì, continuando a fissare quella foto di Claire.
«Dalla voce ho l’impressione che sia la TV a guardare te!» e sorrise.
Non voleva rispondere, era sempre più infastidito.
La tua migliore amica è morta un mese fa e tu sei con l’adrenalina a mille?
«Sì, in effetti sì…» le aveva detto, spento.
«Ti va di uscire?» gli chiese Laura.
Daniele, per un attimo, ebbe l’impressione di essere dentro la foto. All’improvviso notò un particolare sconcertante. Aprì l’immagine con un programma di grafica e la ingrandì. Il volto della ragazza seduta accanto a Claire, su quel muretto maledetto, adesso occupava tutto lo schermo. Sorrideva all’obiettivo che la ritraeva. Alle spalle le grotte rupestri millenarie e sulla testa occhiali da sole a specchio. Sul riflesso si vedeva quello che accadeva dalla sua prospettiva, anche se in maniera distorta dalla curvatura della lente. Però quella figura al centro era chiarissima e con un ulteriore ingrandimento divenne perfettamente riconoscibile.
Non è possibile!
Daniele, per alcuni secondi, sentì il cuore accelerare e il respiro diventare corto, le mani gli tremavano, ma cercò di ritrovare il controllo.
«Ehi… Daniele… ci sei?» la voce di Laura lo scosse da quell’impennata di rabbia, ma respirò e riprese in parte a gestire il suo corpo.
«Laura…» deglutì a fatica «posso farti una domanda?»
«Certo!»
«Dov’eri il giorno in cui Claire è morta?»
Un silenzio innaturale sembrò aver riempito la telefonata.
Daniele sentiva la presenza dall’altra parte.
«Che domanda è?» la voce di lei si era caricata di una tensione dura che non mentiva.
«Rispondi alla mia domanda!»
Altri secondi di silenzio, lunghissimi.
«Lo-lo sai… ero in giro a fare da guida… pe-perché me lo chiedi?»
Daniele ingrandì ancora l’immagine, fino a vedere bene chiaro il volto di Laura. Dietro di lei c’era un gruppetto di persone, ma lei sembrava stesse guardando proprio in direzione di Claire.
«Dov’eri?»
«No-non lo ricordo…»
«Io invece credo lo ricordi benissimo!» Daniele si sentì avvampare «eri lì, in vico Solitario!»
«No-non capisco… pe-perché… mi stai dicendo questo? Perché?»
«PERCHÈ? MI CHIEDI PERCHÈ?» le urla gli graffiarono la gola «perché non hai detto la verità alla polizia? Magari tra le persone attorno a te c’era chi ha spinto giù la mia Claire!»
«Perché pensi che qualcuno l’abbia spinta?»
«E perché TU non lo pensi?» nuovamente silenzio.
Il sangue gli sembrava bollisse facendo pulsare le tempie «non mi rispondi? Cosa dovrei pensare? Eh… Laura?»
«Non puoi pensare che c’entri qualcosa… non starai parlando seriamente!»
«In questo momento penso qualunque cosa… ma sono convinto che …la mia Claire non si sarebbe mai suicidata! MAI! E tu hai mentito, mi piacerebbe capire il motivo!»
«Io non…»
«Non voglio più sentirti, mai più! E adesso chiamo l’ispettore… deve sapere anche lui!»
«CLAIRE NON ERA LA DONNA PER TE!» urlò all’improvviso Laura.
Questa volta fu Daniele a tacere. L’ombra di un atroce sospetto coprì la sua esistenza in un solo istante.
«Laura… tu sei malata!» e chiuse, smorzandole la voce.
Non può essere… non posso credere che… che lei c’entri qualcosa!
Un turbinio di pensieri gli attraversarono la mente, chiudendogli lo stomaco. Non appena le mani smisero di tremare, lentamente compose il numero dell’ispettore Cancelliere che seguiva le indagini.

«Grazie ispettore!» disse Daniele. E chiuse la comunicazione.
Laura era stata chiamata in Questura e interrogata di nuovo. Sotto la pressione degli agenti e del PM aveva spiegato di aver mentito per rabbia e gelosia. Lei aveva sempre cercato di diventare la sua donna, già dai tempi dell’università, prima che partisse per Parigi, ma senza risultati. Invece Claire, quella sessantottina scaduta, l’aveva definita così, ci era riuscita senza che avesse niente di affascinante, senza un briciolo di bellezza.
Laura era l’esatto opposto di Claire, corpo scolpito da ore di sport e una cura dell’abbigliamento quasi maniacale, ma la testa non era perfettamente in ordine, se aveva taciuto su una cosa del genere.
“È solo arrabbiata e gelosa” gli aveva detto l’ispettore “ma oltre ad aver omesso alcune informazioni, la signorina è innocente!” aveva concluso.
Daniele stava ancora fissando il cellulare, quando suonarono alla porta. Ebbe un soffio al cuore, sperava davvero non fosse Laura, non aveva alcuna intenzione di rivederla. Mai più. E con un groppone in gola, si alzò dal divano, spense la TV e andò alla porta.
«Il signor Daniele Alba?»
«Sì».
«C’è un pacco per lei!» il postino gli diede una spessa busta gialla.
«Da dove arriva?»
«Bologna… è scritto sulla busta!» disse l’uomo, trafficando con la sua borsa, per cercare una penna.
Clinica privata “Ai colli”.
Non aveva idea chi fosse il mittente, ma il destinatario era lui, inequivocabilmente. Daniele firmò la ricevuta di ritorno, salutò il postino e stava per chiudere la porta, quando vide, dall’altra parte della strada, il randagio. Era appena scattato in piedi e lo stava fissando. E per la prima volta abbaiò, ma più un guaito ripetuto come il pianto di un bambino, straziante.
«Sembra un essere umano» disse il postino, fermandosi a guardare nella sua stessa direzione, mentre indossava il casco.
«Già!»
Il tizio delle poste salì in groppa al suo due ruote e scappò via, lasciando una scia di smog flatulente. Daniele continuava a fissare il cane e lentamente si mosse verso di lui, come ipnotizzato dal suo lamento struggente. Il cagnolino smise di piangere e si accucciò, come chi sta per subire una punizione. Per un attimo Daniele ebbe quasi la sensazione che guardasse il pacco appena arrivato. Allungò la mano e per la prima volta, quell’essere così misteriosamente intelligente, si lasciò accarezzare la testa. A quel tocco amico si lasciò andare, come se provasse piacere. E con un istinto naturale, un gesto di cuore, Daniele lo prese in braccio e lo portò in casa.
«Non aver paura, piccolo, sono qui!» gli sussurrò, e una volta dentro casa, lasciò il pacco sul divano e andò direttamente in bagno. Preparò la vasca, riempiendola di acqua tiepida. Seduto sul bordo riprese ad accarezzare il cagnolino sulla testa e lasciò che si rilassasse. Quando l’acqua era pronta lo calò dentro, lentamente. Il suo nuovo amico non oppose resistenza. Non avendo prodotti per la pulizia degli animali, usò il suo bagno schiuma, sembrò apprezzare anche quello.
«Adesso dovrei darti un nome!» disse Daniele, notando quanto i suoi occhi fossero pieni di una sofferenza quasi umana «ci penserò!»
Finito di asciugarlo pensò che doveva dargli da mangiare. Di sicuro amava il cibo per gatti. Daniele sorrise e guardò la porta, solo una persona poteva aiutarlo. Uscì e bussò alla porta di Anita, di fronte. Dopo alcuni secondi lei aprì e gli sorrise. Era una donna che brillava di luce propria, aveva una doppia treccia che partiva da sopra le tempie e teneva fermo il resto dei capelli dietro la nuca. Indossava un grembiule da lavoro sporco di argilla, anche le mani erano sporche e alcuni punti del viso. Era un’artista anche lei, aveva un piccolo negozio di souvenir di argilla e ceramica. Era bravissima. Ovviamente aveva del cibo per gatti e glielo portò. In casa con lei vivevano due enormi siamesi sornioni e silenziosi.
«Ora pensa a dargli un nome… anche se un domani deciderà di andarsene» aggiunse «nel tuo cuore deve rimanere… ecco perché devi dargliene uno!»
«Ci stavo pensando!»
Lei fece spallucce e lo salutò.
Quando rientrò in casa, Daniele sobbalzò nel vedere il suo nuovo inquilino a quattro zampe tirare con i denti il plico appena ricevuto da Bologna, forse con l’intento di aprirlo.
«Ehi, ehi… che fai?» nell’istante in cui si chinò per strappargli il pacco di bocca, la busta si aprì e ne uscirono fuori una serie di lettere scritte a mano, con una grafia ordinata ed elegante. Daniele ne prese una.
«Ma che diavolo…»
Prese a leggere.
“Ciao mamma, come stai?” iniziava così. La lettera chiedeva dello stato di salute della mamma e poi le raccontava di come si trovasse bene con la sua nuova vita a Matera.
«Claire… sono lettere della mia Claire!» Daniele sentì gli occhi riempirsi di lacrime. Sedette per terra e continuò avidamente a leggere.
Risalivano al periodo del loro trasferimento a Matera. Claire parlava del suo amore per lui, di quanto fosse romantica e tranquilla questa città, di come era certa di poter trovare nuova ispirazione tra il giallo dei Sassi. Daniele piangeva, senza più fermarsi. E quando lesse la frase in cui Claire fugava ogni dubbio sul suo desiderio di mettere radici lì per sempre, il suo cuore si gonfiò di dolore.
Mi sbagliavo, non volevi andare via da Matera, non ti sentivi affatto incatenata a me e a questa città!
Daniele si fermò, aspettò di ritrovare il controllo di sé stesso. In quel momento il cane gli si avvicinò e prese a piangere assieme a lui.
«Non ci sono lettere di risposta!» disse Daniele, cercando tra gli altri fogli sparsi per terra. Le raccolse alla rinfusa e tornò a leggere, in assenza dell’originario ordine cronologico.
Ne trovò una scritta con un’altra grafia. Era la direttrice della casa di cura che diceva di aver ricevuto l’ordine, da Claire, di rispedirle indietro le lettere appena la madre fosse deceduta. Tutto questo solo qualche giorno prima che Claire morisse, pertanto nessuno, nel frattempo, l’aveva aggiornata. Nella lettera, la direttrice diceva che la madre di Claire era stata affetta da demenza senile grave e non aveva alcuna cognizione del mondo esterno ormai da anni.
«Ecco perché non ci sono risposte, forse non le ha mai neanche lette queste lettere!»
Daniele riprese a leggere e tutto ebbe una svolta improvvisa e cupa quando Claire iniziò a parlare a sua madre di un certo François. E la curiosità crebbe, assieme al timore.
François era l’ex fidanzato di Claire dal quale era scappata.
«… gli ho rubato tutti i soldi che si è guadagnato vendendo quella schifezza ai ragazzi!» lesse ad alta voce «ma anche se sono il ricavato di azioni meschine, io ne farò qualcosa di buono, pagherò la tua casa di cura, mamma, ma dovrò lasciare Parigi, qui non potrei mai nascondermi da lui… anche per questo ho accettato di cambiare vita con il mio Daniele… che amo tantissimo!»
Daniele, paralizzato dalla paura, vide la data. Era una settimana prima che si trasferissero a Matera. Lasciò andare la lettera e si portò le mani ai capelli.
«Dio mio… è stato lui… ne sono sicuro! Era qui…» e adesso era chiaro il motivo di quello sguardo di Claire in quella foto scattata dal turista, aveva visto François a Matera, aveva paura e sapeva di dover scappare nuovamente o denunciarlo, ma questo voleva anche dire: confessare quello che lei aveva fatto a François. Da quello che aveva scritto Claire, questo tizio era un pusher!
Daniele prese il cellulare, si alzò e iniziò a cercare il numero dell’ispettore.
In quell’istante il suo cane iniziò a ringhiare «aspetta, non adesso» gli disse, continuando a muovere le dita sul cellulare. Alla fine trovò il numero e fece partire la chiamata.
«Dannazione, è spento!» abbassò il cellulare e si rese conto che il suo randagio stava ringhiando con tutte le sue forze contro la porta. Nello stesso istante in cui Daniele capì che stava per succedere qualcosa… accadde!
La porta fu spalancata da un calcio. La maniglia fece un buco nel muro. Apparve un uomo, poco più alto di lui. Indossava una camicia un paio di taglie più grande. Pantaloni slavati e logori. Scarponi da militare senza lacci. Le braccia scoperte, magre, con vene in rilievo e lividi. Il volto emaciato con occhi infossati e guizzanti. I capelli cortissimi lasciavano intravedere segni di croste e cicatrici. Era François e gli stava puntando contro una pistola. Mettendo il dito sulla bocca, per intimare il silenzio, richiuse la porta alle sue spalle, senza perderlo di vista.
«Dammi le lettere» gli disse, con il suo italiano misto ad un francese biascicato, facendo un gesto con l’altra mano tremante.
«L’hai uccisa per queste, vero?»
François sorrise, mostrando denti marci.
«Oh no… non per quelle… perché era una ladra! Ha rubato dei soldi che non erano miei, CAPISCI… stupido italienne? Ora le persone alle quali devo restituirli mi stanno cercando per uccidermi!»
«O-ok… ma quei soldi non ci sono più… Claire li ha spesi per le cure mediche di sua madre!»
«PAS VRAI, MERDE ITALIENNE!» rifiatò un secondo «dove li ha nascosti?»
«No-no… davvero… con quei soldi ha pagato la casa di cura dov’era sua madre… a Bologna..» e gli fece notare le lettere «è scritto qui… io… io non sapevo neanche di te… prima di queste!»
François mostrò un sorriso ebbro, con occhi semichiusi «allora mi darai tu quei soldi…!!!»
«Co-cosa? Credimi non ho molti soldi… tutto quello che avevo l’ho speso per questa casa… e poi non so di quanti soldi parliamo…»
«Ottantamila euro…» fece un passo verso di lui «e tu domani vai in banca e chiedi un prestito… è un bel po’ che sono in questa città de merde… ho visto dove abitano i tuoi genitori… loro sono anziani… sai… potrebbe capitare qualche incidente alla loro età» e rise ancora.
«Non ci prov…» nell’istante in cui fece un passo verso di lui, François mosse la mano armata, ma quello che nessuno vide fu il balzo incredibile che fece il randagio contro il francese. Gli azzannò la mano armata. Un colpo partì, ma la traiettoria venne deviata dal morso e il proiettile colpì Daniele alla clavicola, facendolo cadere sulle lettere di Claire e sporcandole di sangue. Poco prima di perdere i sensi, vide François cadere rovinosamente indietro e andare a sbattere la nuca allo spigolo di un tavolo di cristallo, l’unico mobile che la sua Clarie aveva voluto portare con sé da Parigi… l’unico oggetto d’arredo che non voleva lasciarsi dietro. François era morto sul colpo.
Daniele vide il cane ringhiare contro il cadavere e poi tutto divenne buio.

Anita stava aiutando Daniele a entrare in casa, di ritorno dall’ospedale, dopo l’intervento di asportazione del proiettile dalla spalla. Dietro di loro, in strada, suo padre e sua madre che prendevano le valige dall’auto. L’ispettore aveva chiuso il caso di Claire, grazie alle lettere che provavano la morte non accidentale della sua amata.
I due si fermarono davanti la porta. Mentre Anita prendeva le chiavi dalle sue mani, Daniele si girò e vide il suo randagio dall’altra parte della strada che lo fissava. Anita guardò nella stessa direzione.
«La tua cagnetta è stata lì tutto il tempo, non si è lasciata avvicinare neanche da me».
«È una femmina? Non sono molto pratico di…»
«Si… è una femmina!»
Daniele fissò quel cane «Claire!»
«Sì, credo sia il nome più adatto» disse Anita.
Daniele invece era convinto che in qualche modo fosse lei, era tornata per salvarlo, ne era convinto, ma tenne per sé quel pensiero.
Il cane lo guardò un altro istante e poi si avviò per andare via.
Daniele accennò un lieve sorriso e avvertì forte la convinzione che non sarebbe più tornata.
«Non la rivedrò mai più, vero?»
Anita lo guardò «no, credo proprio di no, ha fatto quello che doveva fare» poi fece girare la chiave nella toppa e aprì la porta.
Addio Claire!

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