Racconto di Levia Messina

(Seconda pubblicazione)

 

 

 

Adesso le chiamano famiglie allargate, ai miei tempi eravamo semplicemente due povere bambine a cui era morto il padre. Poi siamo arrivate là e abbiamo trovato lei che aveva perso la madre. E già qui, parliamone. Perché sì, noi eravamo le povere orfanelle che non avevano più un papà, ma vuoi mettere perdere la mamma? Eh già! Se noi eravamo “Povere!”, lei era automaticamente “Poooooveraaaaaa!”, capite come la cosa potesse scocciarci giusto giusto un attimino?
E poi, lei era bella. C’è poco da dire, era bella. Non voglio fare come quelle che cercano sempre il millimetro di cellulite sulle foto delle modelle, era uno schianto di ragazza, per non dirlo con i termini che usate voi adesso, perché sono una signora e non ho ancora capito perché la moglie di uno gnocco al ragù debba essere una bella donna. Ma non voglio andare fuori tema. Era veramente bella, alta, bionda, con gli occhi azzurri e noi? Noi no molto semplicemente. Cioè, per mia sorella non voglio parlare, le voglio bene, cosa credete, ma, dal momento che siamo gemelle… Madre Natura non è stata molto clemente con noi, con il nostro naso adunco, il mento sfuggente, l’acne giovanile che non è stata solo giovanile e ‘sti piedazzi lunghi come l’anno della fame che ci hanno sempre costrette a comprare scarpe da uomo.

Adesso, capite anche voi come, arrivando là e trovando questa Miss Italia che tutti coccolavano perché le era morta la mamma, noi ci siamo sentite appena appena come il brutto anatroccolo, giusto per restare in tema di fiabe e favole.
Ed era buona. Era buona, non so se rendo l’idea! Cioè, di quel buono gelatinoso che fa quasi schifo, sempre sorridente, mai una parola di troppo, sempre gentile, obbediente e sempre dietro a cantare. E lalalà di qua e lalalà di là e mai un attimo di tregua. E cantava bene, ovviamente, perché le disgrazie non vengono mai sole. E sempre fissata con gli animali. D’accordo, passi per cani e gatti, ma parlare e cinguettare anche ai topi? Ai topi, dico io, ai topi! Ci rendiamo conto? Riuscite a capire come mai questa cara emule di San Francesco ci stesse cordialmente sugli attributi? Le persone troppo buone non sono simpatiche, fanno venire il vomito, fanno venire voglia di stuzzicarle, di vedere fin dove puoi spingerti prima di farle arrabbiare. Ed è quello che abbiamo fatto noi. Anche perché abbiamo capito subito, mia madre, Genoveffa e io, che, qualsiasi cosa le si chiedesse di fare, lei l’avrebbe fatta.
Poi ha perso anche il padre. E invece di prendere zaino e giacca a vento, cercarsi un lavoro e andarsene per la sua strada, come avrebbe fatto qualsiasi ragazza con un po’ di sale in zucca (Ah ahah, ho fatto la battuta!), è rimasta qui a fare la serva a noi! Ovviamente, sempre sorridente, senza mai lamentarsi, senza mai protestare. Lava i piatti! Spazza la cenere del camino! Lava i pavimenti! Pulisci la stalla! Vai a dormire in soffitta! E lei faceva tutto, non si è mai sognata di dire di no. Siamo sinceri, come si poteva non approfittarne?
Non ricordo, onestamente, come si chiamasse. Di sicuro, avrà avuto uno di quei nomi smielosi e budinosi quanto lei, tipo Aurora, Stella, Allegra o qualcosa del genere. Non me lo ricordo, perché noi abbiamo iniziato da subito a chiamarla Cenerentola, sempre sporca di cenere com’era. Anche perché, d’accordo, io voglio bene a mia madre e va bene che le nostre nonne si chiamavano Genoveffa e Anastasia, ma avrebbe anche potuto, per una volta, non seguire la tradizione!
E poi, come da copione, ci ha bellamente fregate. Sì, come da copione, perché l’acqua cheta corrode i ponti, avremmo dovuto aspettarcelo. Sempre buonina, carina, ciccina, gentile e sorridente persino con i topi … e poi trova il modo, non si sa bene come, di rimediarsi un abito da sera meraviglioso, che noi non ci saremmo neanche lontanamente potute sognare, una carrozza da principessa e arrivare chissà come al ballo del principe dove noi eravamo state invitate. Noi, non lei! Se ne arriva bella bella, nel vero senso della parola e il principe, che, essendo un uomo, si fa fare su come una pera cotta, basta, la vede e non capisce più niente. E noi tutte quante a restare lì come delle povere sceme, a bocca aperta davanti a questa qui che nessuno sa chi sia (mica l’abbiamo riconosciuta, all’inizio!), che balla, leggera come una piuma, come se niente fosse, con i suoi piedini piccoli e le scarpette di cristallo che forse sarebbero andate bene a una bambina di cinque anni. Forse.
Ballava bene, ovviamente, cosa ve lo dico a fare. Manco avesse fatto scuola di danza, invece di spazzare la cenere del camino.
E ci ha fregate per benino, anche perché, per chi ancora non lo sapesse, il principe poi se l’è anche sposato e vivono ancora felici e contenti con centocinquanta bambini tutti meravigliosi (a detta degli altri, a me i bambini mettono la nausea) e trallallero trallallà, mentre io sono rimasta zitella e Genoveffa è divorziata.
Perciò, prima di etichettarci come le “perfide sorellastre”, cercate di capire un attimo la situazione della nostra famiglia allargata, abbiate un attimo di pietà, grazie.
Anastasia