Racconto di Maddalena Sterpetti
(Seconda pubblicazione – 7 febbraio 2019)
Si era convinta che l’idea di restare sui suoi propositi era giusta.
Era una ragazza e come tale sentiva di doversi comportare, per lei e per tutte le altre giovani donne o adulte che si erano trovate o si sarebbero trovate in una orribile storia come quella che era capitata a lei.
Un uomo, più grande di lei di almeno 20 anni l’aveva palpeggiata. Aveva con forza spinto le dita nelle sue parti intime. Aveva 13 anni, in quel dannato giorno, una vita da adolescente spensierata davanti, che lei voleva vivere serena.
Voleva innamorarsi, voleva baciare un ragazzo, stringersi a lui, come facevano già molte sue amiche.
Non voleva per nessuna cosa al mondo perdersi la dolcezza di quei momenti in cui il cuore batte all’impazzata alla sola vista del ragazzo che ti piace e per il quale potresti fare follie anche solo per conoscerlo.
Ma era sola in quella storia, maledettamente sola, non poteva certo dirlo ai suoi fratelli: Luigi, il più impetuoso dei due avrebbe preso un coltello e fatto di quel giorno la fine della sua vita; non che lei non approvasse. Avrebbe voluto ucciderlo lei quel bastardo che nei giorni dopo il primo oscuro evento, aveva provato più volte poi a restare sola con lei. E Carlo era troppo piccolo per potergliene parlare. Mamma e papà poi sarebbero morti di vergogna.
Quel giorno, oramai 1 anno prima, l’aveva raggelata sentire la mano di quell’uomo, non sapeva cosa volesse dire neanche una carezza da un ragazzo.
Lei in realtà non era per niente piacente: altezza nella media, cicciottella, capelli, occhi normali.
Niente, dai suoi coetanei non aveva ancora ricevuto niente neanche uno sguardo di minima approvazione, ma lei aspettava.
Calma ma non troppo serena, perché avrebbe voluto già essere innamorata e farsi amare e coccolare da un giovane ragazzo come lei.
Si era perdutamente innamorata in quinta elementare di un ragazzino dai capelli neri come il carbone e due occhi scuri, nerissimi come una notte senza stelle, ma di una lucentezza mai vista.
E voleva tornare ad innamorarsi perdutamente di un altro ragazzino, voleva sognare ad occhi aperti e costruire castelli in aria pensando all’amore e a quello che si prova.
E ora quel bastardo le stava togliendo la voglia di farsi avvicinare da un coetaneo, anche solo di parlarci, di avere su di sé una minima attenzione;
quel bastardo con le sue viscide mani, le stava togliendo la sicurezza nel parlare, nel muoversi, nel sorridere e scherzare quando era in mezzo a giovani adolescenti come lei.
Aveva allora preso una decisione: voleva incontrare quell’uomo e tirare fuori davanti a lui tutto il dolore e l’angoscia che stava provando da quel giorno.
Tutta la paura che stava vivendo ogni volta che un uomo adulto le se avvicinava.
Tutti gli orribili sogni che da quel giorno stava facendo, ogni benedetta notte.
Tutte le ansie che aveva, nel cuore soprattutto, riguardo al suo futuro di giovane donna.
Voleva incontrarlo e vomitargli addosso tutto questo e anche di più, avrebbe sputato rabbia nel parlargli, avrebbe graffiato con parole forti, avrebbe lasciato che l’istinto più basso di sé si potesse sfogare e buttare fuori ogni pensiero profondo ma ricolmo di dolore che le aveva attanagliato l’anima in quei 365 giorni.
E poi lo avrebbe convinto ad autodenunciarsi, doveva farlo, doveva assolutamente scaricarsi la coscienza e pagare il prezzo in prigione.
Lei sapeva di essere un po’ ingenua in questo, che forse lui non avrebbe passato neanche un giorno dietro le sbarre, ma voleva costringerlo a pentirsi e a pagare.
Lo aveva chiamato. Gli aveva dato un appuntamento in un bar che lui frequentava. Era arrivato con la sua solita ari arrogante e sicuro di sé, troppo sicuro.
Poi lui le aveva offerto un gelato, lei aveva accettato per pura cortesia, infine erano usciti e lei aveva preso il coraggio e gli aveva detto che voleva parlare di quello che era accaduto un anno prima. Lui sembrava ben disposto e le aveva consigliato di spostarsi in un posto meno affollato, erano saliti in auto e lei aveva iniziato subito a parlare. Anzi aveva iniziato a sputare fuori con violenza tutto quello che aveva covato e ingigantito tra i pensieri.
Parlava con foga.
Parlava e un po’ piangeva anche.
Ma accidenti non voleva piangere! Avrebbe voluto essere più forte, più adulta e padroneggiare meglio quelle emozioni, ma era ferita. Sì sono ferita a carne, diceva tra sé mentre parlava, è per questo che piango, l’importante è che io gli dica tutto, tutto fino all’ultima parola, non devo in nessun modo dimenticare nulla.
Non si era accorta che l’uomo aveva preso una stradina isolata, aveva spento la macchina e la guardava. Anzi no, non la guardava, le fissava il seno. Con occhi che lei non seppe riconoscere, perché non aveva mai visto una bestia in calore. In una frazione di secondo le era sopra. Le mani ovunque. Il peso sulla pancia. Il fiato caldo sulla faccia.
Parole lei non ne ebbe.
Nemmeno pensieri, figuriamoci di urlare.
Figuriamoci di farlo pentire.
Stava subendo una violenza, lo sapeva solo perché aveva sentito alla radio una ragazza che raccontava la sua di violenza.
Sapeva che in molti non le avrebbero creduto, come non avevano creduto a quella ragazza della radio, anzi l’avevano incolpata, perché andava in giro con pantaloni troppo aderenti.
Questi pensieri le affollavano la testa e molti altri quando un dolore lacerante, simile al taglio di un coltello, la fece tornare in sé. Poi il dolore tra le gambe era passato ora il dolore era nel basso ventre.
Dolore e lacrime.
Lacrime e dolore, mentre lui ansimava con la sua bocca vicino alle orecchie. In quel momento lei ebbe un moto di rabbia, furia. Gli diede uno schiaffo, una botta fortissima, o almeno a lei parve così, tra l’orecchio e la guancia. Poi un altro e un altro ancora; non sapeva dove stesse prendendo la forza ma lo picchiava con la forza che non aveva.
Durò poco.
Il buio calò nei suoi occhi dopo pochi istanti.
Sentì il suo respiro rallentare e lui che gridava: “brutta puttanella che cazzo meni, ti faccio vedere io”.
Poi nulla. Buio. Silenzio.
“Trovato il cadavere di una ragazza adolescente in una stradina isolata”.
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