Racconto di Costanza Lanzillo

(Quarta pubblicazione – 6 novembre 2020)

 

 

Al momento opportuno, il Vento di Levante tornò per rinnovare la sua umile fedeltà a Taleju.

La Dea lo accolse presso di sé con animo benevolo e, ancora una volta, gli dimostrò la propria gratitudine affidandogli il proprio sguardo sulla valle.

Il Vento di Levante, assunto con onore l’incarico, si sollevò in una spirale d’aria armoniosa e unita, pronto a prendere la direzione di Kathmandu.

Un intero giorno spirò il Vento di Levante, fra rocce, ghiacciai e crepacci, prima di riuscire a raggiungere la valle. E un intero giorno aspettò lo sguardo di Taleju prima di poter scorgere il luogo del suo eterno futuro.

All’alba del secondo giorno il Vento di Levante raggiunse la sua meta e annunciò la sua presenza soffiando sulla valle. In particolare, si curò di farsi notare nelle case di tutte le famiglie prescelte, accarezzandone con insistenza i tetti e i giardini.

I padri e le madri, sentendo i freddi vortici d’aria, capirono subito che il momento era nuovamente arrivato.

Tutti corsero a prendere le proprie figlie, le vestirono coi loro abiti più belli e le portarono fuori innalzando le più piccole verso il cielo, in modo che lo sguardo ventoso di Taleju vi si potesse meglio posare.

Alcune bambine scoppiarono in lacrime, poiché non avevano ancora l’età per capire quello che stava succedendo. Le più grandi, invece, erano state adeguatamente istruite in merito allo straordinario onore che avrebbero potuto ricevere e, perciò, si sentivano emozionate come i loro genitori. Molte di loro mandavano indietro la testa e puntavano il mento verso il cielo più in su che potevano, sperando di riuscire ad essere notate prima delle altre dallo sguardo della Dea.

Quando tutte le bambine furono portate fuori, il Vento di Levante iniziò il suo giro.

Vorticò intorno alla prima bambina, visibilmente dotata di grande bellezza. Allo sguardo di Taleju, tuttavia, non sfuggì una piccola cicatrice sulla coscia sinistra, segno ineluttabile che il corpo non era puro. Riscontrò, inoltre, una certa eccitazione nel carattere, cosa che non poteva in alcun modo addirsi allo spirito quieto di una Dea.

Il Vento di Levante soffiò allora verso nord, dove si trovava la casa di un’altra famiglia prescelta. Lì, una bambina ben più grande lo stava aspettando col mento all’insù, pronta a farsi accarezzare dal suo freddo alito.

Taleju posò il suo sguardo sulla seconda bambina e constatò che questa possedeva la bellezza esteriore, la calma interiore e l’integrità della pelle. La sua bocca però, appena socchiusa nel puntare il mento verso il cielo, mostrava già dei piccoli denti appuntiti, segno certo che l’età della purezza stava già abbandonando quel corpo.

Il Vento di Levante seppe subito cosa fare. Si levò alto nel cielo e prese il volo verso ovest, dove una terza casa di prescelti lo attendeva.

Una volta raggiunta la casa, lo sguardo di Taleju esaminò la terza bambina. Doveva avere circa tre anni, era radiante di bellezza e purezza e i suoi denti erano quelli di una creatura incontaminata.

Non piangeva né mostrava alcun moto dell’animo, semplicemente, stava lì ad aspettare. Taleju, allora, decise: illuminò la fronte della bambina con la sua lieve luce rossastra ed esternò così la sua decisione.

Il Vento di Levante, ancora una volta, seppe cosa fare. Con un soffio deciso penetrò nel corpo della bambina e, quando ne uscì, attese un istante in segno di riverenza verso Taleju.

Dopodiché prese congedo e spiccò il volo verso est.

La Dea, nel suo nuovo corpo, si voltò verso i genitori della bambina per mostrargli il suo viso e dargli conferma di quello che era appena successo.

Il padre, tremante per l’emozione e con gli occhi pieni di lacrime, si apprestò ad andare verso di lei.

Arrivato al suo cospetto si inginocchiò e, quasi vergognandosi, disse sottovoce: “Kumari”.

Poi la prese in collo per far sì che non toccasse più terra e, facendo ben attenzione a non stringerla troppo con le sue braccia indegne, si avviò verso il Palazzo Reale, il luogo in cui le Dee viventi dimoravano in solitudine.

In quel sacro momento, nessuno spazio fu concesso alla moglie né ai suoi sentimenti terreni.

Alla donna non rimase che prendere posto dietro al marito e unirsi a lui nel lungo pellegrinaggio verso il Palazzo.

La sua bocca sorrideva, ma i suoi occhi piangevano e, improvvisamente, seppe di essere un’ingrata.

La sua bambina aveva ricevuto il più grande degli onori diventando una Kumari, eppure doveva confessare al suo cuore che non avrebbe mai messo il corpo della figlia a disposizione della reincarnazione della Dea, se avesse potuto scegliere.

Pensò, allora, che forse Taleju aveva preso sua figlia per punire il suo profondo egoismo e capì di aver meritato questa punizione.

Perciò si asciugò le lacrime, ripromettendosi di non disperarsi e di imparare a gioire per tutto quello che era successo.

Dopo tutto, avrebbe riabbracciato ancora la sua bambina.

Doveva solo aspettare qualche anno, fino a quando il suo corpo non si sarebbe macchiato per la prima volta del sangue delle donne.

Allora, la Dea Taleju avrebbe abbandonato quel corpo impuro e la sua bambina avrebbe smesso di essere una Kumari, tornando ad essere soltanto la sua piccola Bidya.