Racconto di Antonio Semproni

(Prima Pubblicazione)

 

«Procedendo lungo la tredicesima corsia, spingevo il mio carrello con più energia di quanta abitualmente si addica a un uomo di garbo e compostezza: la tredicesima corsia è dedicata agli smartbox per coppie (benessere, divertimento, fuga, etc.) e a me quegli articoli risultano penosi, anzi, innervosiscono perché io so benissimo sorprendere la mia ragazza senza che altri mi dicano cosa fare, dire o pensare e infatti stavo giusto cercando una confezione di Baci Perugina con gli haiku. Ecco che le rotelline del carrello sono scivolate via sulla cera come slittini sulla neve fresca e io, perso il controllo del mezzo, come un inerme pupazzo di neve mi sono schiantato addosso ai colli di birra. Non è stata versata una goccia né di sangue né di alcool, ma il sottoscritto ha tutte le ragioni (e gli acciacchi) per credere di essersi lussato una spalla. E anche il mio ginocchio non sta tanto bene: riesco a stento a muoverlo».

Questa più o meno la versione dei fatti che rendo ad Alcerto, mio lesto soccorritore, il cui nome leggo sulla targhetta sbreccata. Ha indosso la polo d’ordinanza gualcita e una palandrana garzata che gli dona l’aspetto di un capo magazziniere evoluto in scienziato pazzo.

Alcerto, di tanto in tanto, alza gli occhi al soffitto, anzi solo il destro, perché il sinistro gli resta immobile sul volto come un minerale incistato nella roccia. Pare di cristallo e scintilla nella stanza al neon. Intanto annota il mio resoconto su carta intestata “IperIdeal h24” chiazzata di caffè e lo inserisce in un raccoglitore sporco di tabacco, quindi mi spiega che per questo genere di incidenti esiste un apposito ufficio reclami, ma la piramide burocratica è tale da scoraggiare – anzi schiacciare, mi lascia capire battendo il pugno sulla scrivania – qualsiasi intrapresa solitaria.

«Ma guardi che io so farmi valere benissimo» protesto.

«Vedrà come sanno farsi valere quelli dell’ufficio reclami».

Sto per passare all’offensiva quando avverto – giurerei dal reparto dei salatini – una salva di scoppi liberatori, come tappi che saltano.

L’occhio vitreo di Alcerto si inietta di sangue, facendomi correre un brivido lungo la schiena, mentre con l’occhio sano ammicca e mi fa cenno di seguirlo: dice che potrebbe avere la soluzione al mio caso nell’ufficio c.d. proclami.

D’emblée assocerei questo ufficio al relitto di qualche rappresentanza sindacale aziendale; lui intanto mi spiega che, come l’ufficio reclami serve a dar voce ai clienti – a farli sfiatare, direi piuttosto –, così per i prodotti si è pensato all’ufficio proclami.

Il punto – prosegue Alcerto – è che le merci non hanno né voce propria per illustrare le proprie rimostranze (chi crede altrimenti è un disneyano), né appendici per trascriverle su carta protocollata. Tuttavia Alcerto, munito dall’IperIdeal h24 di sistema fotocellulare onnisciente – la lucetta rossa, appuntita come stalattite e impenetrabile come le pupille di un robot, di cui s’è animato il suo occhio di vetro –, riesce a decifrare la volontà e le passioni, il pensiero e gli umori nascosti nei loro – a noi clienti impercettibili – gesti e così può, in qualità di plenipotenziario dell’IperIdeal h24, decretare e promulgare: ecco cos’è l’ufficio proclami.

Proclami di unione in una sola carne per i prodotti prossimi alla scadenza: a tutti gli effetti un matrimonio, però senza il manto borghese di spurio romanticismo né l’anelito a perdurare tutta una vita. Rappresenta l’ultima spiaggia, l’estrema salvezza dalla muffa e, dunque, risponde a una rigorosa logica di efficientamento e riduzione degli sprechi: i prodotti verranno consumati entro l’imminente scadenza così che non potranno neanche concedersi una luna di miele al prossimo ortofrutta.

Laddove nell’essere umano la passione carnale avvizzisce al volgere dell’esistenza verso l’ombroso fosso, viceversa nell’essere inscatolato (o impacchettato o imbustato) il fuoco della libidine zampilla vieppiù all’avvicinarsi delle tenebre della data di scadenza.

A una settimana dalla scadenza il prodotto indica la propria preferenza per uno o più partner: solitamente ne traccia marca e tipologia sulla lavagna, cioè sulla condensa delle vetrate del banco frigo. I corteggiati, quando la nomination ne lede la riservatezza o il pudore, possono ingaggiare un panno Swiffer per far rimuovere i loro dati personali.

A tre giorni dalla scadenza i corteggiamenti si fanno sfacciati: le patatine in busta si gonfiano fin quasi a scoppiare per lo spasimo (mentre le Pringles fanno saltare il tappo e lo ricalzano sulla sommità), le olive in salamoia disegnano orbite celestiali, i maccheroncini scalpitano e quelli sul fondo del pacco tamburellano al ritmo di My Sharona.

Alla vigilia dalla scadenza, interviene salvifica un’app antispreco sviluppata da programmatori scandinavi, efficienti come esige l’azienda ma dai palati di dubbio gusto, così che i prodotti – e c’è ragione di ritenere pure i consumatori – si lamentano spesso e volentieri degli accoppiamenti. Il solo, che non ha mai niente da ridire, è quel ficcanaso dell’avocado, che tra gli inquilini del reparto frutta e verdura s’è fatto la nomea d’essere come il prezzemolo. Per saggiare la profondità delle lamentele chiedetene ragione al melone a fettine, le cui braccia hanno cinto del salame dolce, o al muesli, affogato nel vin santo.

Alcerto provvede al sacro ufficio avvalendosi di un chierichetto navigato: uno shaker, cimelio di qualche azienda familiare assorbita dall’IperIdeal h24. Sulla sua base incrostata sono montati ammennicoli quali: spirale per cavatappi, occhiello e rampino per sturabottiglie, lama a disco per aprilattine. Lo shaker non si perde in indagini sul reciproco consenso dei promessi congiunti: è deciso e soprattutto affilato. Sbuccia e mischia, affetta e omogeneizza, dopodiché Alcerto passa lo sformato di piccioncini nel fornetto, che li unisce sotto una crosticina croccante e patinata – sigillo dell’una caro – in una vaschetta monouso, alcova utilitaria, sotto un tetto compostabile.

La fine peggiore che i congiunti potranno fare – mi confida Alcerto, abbozzando con la mano un segno della croce – è tra le tende di un circo, dove verranno sacrificati come torte-munizioni su clown-bersagli.

Proclami di indipendenza per i prodotti arbitrariamente accoppiati da due o più multinazionali secondo un’ingegnosa quanto bizzarra joint venture. Così è per grissini e nutella, cerali e yogurt, salamini e crackers: spossati dalla forzosa convivenza in promiscue vaschette monoporzione, sospettosi gli uni di vivere all’ombra degli altri e gelosi gli uni delle dita appiccicose che si fionderanno sugli altri, fremono per sparigliarsi. Ottenuta la reciproca indipendenza, vanno affrontate le questioni poste dalla dicitura “prodotto non vendibile singolarmente”: ci pensa Alcerto con la sua pistola etichettatrice, che marchia ciascun prodotto con codice a barre e prezzo. Spesso e volentieri la somma dei prezzi dei singoli prodotti è superiore al prezzo che questi avevano quand’erano appaiati: le dichiarazioni di indipendenza costano care ai consumatori!

Proclami di espatrio per prodotti che intendano far ritorno alla terra d’origine. Beniamini in madrepatria, dove sono insigniti dei blasoni DOP (D’Onor Patrio), DOC (D’Orgoglio Campanilista), etc. e catalizzano il senso di identità nazionale fino a esserne baluardo in occasione di crisi costituzionali, sono stufi di essere strapazzati tra sagre, fiere ed expo e di dover riequilibrare il colossale ago della bilancia commerciale. Alcerto mi mette a parte che molti di loro sono convinti protezionisti e mi ingiunge la riservatezza almeno su questo particolare.

Proclami di permesso di soggiorno nel banco frigo per prodotti da “conservare in luogo fresco e asciutto e lontano da fonti di calore”. La burocrazia è quasi nulla: basta che i clienti mollino nel banco frigo i prodotti dei quali intendano sbarazzarsi e non ricordino corsia e scaffale di provenienza. Almeno il refrigerio gioverà alla loro conservazione.

Al termine della visita all’ufficio proclami la mia salute è in netta ripresa: Alcerto non solo mi ha concesso di pernottare, con grande beneficio per la mia povera spalla, nel banco frigo, ma mi ha anche fasciato la gamba con dei tubi pringles: una bendatura comoda, che mi consente di piegare il ginocchio senza dolore, avvertendo soltanto un liberatorio “pop”.

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https://www.controluna.com/prodotto/rime-in-prima-copia/