Racconto di  Marinella Giuni

(Prima pubblicazione – 22 gennaio 2019)

 

Nadwa

E’ il primo giorno di estate ma non è ancora la mia estate. E’ quella stagione fatta di un cielo che sembra latte, con insetti fastidiosi che vorticano nei giardini dove pochi anziani si fanno compagnia. Mi guardano. Sono la maruchena, anche se in realtà sono del Cairo. Sono nata lì, ho abitato lì ed ho studiato all’Università. Chimica! Mi è sempre piaciuto conoscere la trasformazione, la struttura della materia, il nostro vivere quotidiano spiegato senza che fosse un mistero.

Il mio vivere, invece, non lo so spiegare più. Ho affrontato questo viaggio con il mio sposo in una terra nuova, così diversa. Vedevo dentro me tutti i possibili obiettivi e ad ognuno assegnavo una bandiera, come fosse un Paese che mi sarebbe piaciuto visitare.

Avrei piantato idealmente la bandierina, nella mia idea di mappa, ad ogni passo. I figli, il primo giorno di scuola, un lavoro per me, una vita insieme!

Ho 33 anni, due gemelle di otto.  Mio marito è di 15 anni più grande. Si chiama Shadi. Noi ci siamo sposati dopo un fidanzamento che mi sembrava normale. La conoscenza, l’affetto, la frequentazione tra le famiglie: Shadi è stato sempre protettivo, un signore.

Anche se ora che ci ripenso credo che avrei dovuto lasciarlo subito dopo il matrimonio

Prima di sposarci abbiamo fatto tutti i documenti ed è stato lì che ho scoperto che aveva difficoltà a leggere e scrivere: volevo parlargliene, per aiutarlo. Ma aveva avuto una reazione esagerata, mi ero spaventata.

Ne avevo parlato a mia mamma.

Ormai avevamo fatto le pratiche – mi ha detto – sarebbe stato grave tornare indietro.

Ma certo – mi sono detta – basta che sia un bravo papà per i bambini che verranno, che gli voglia bene. Cambierà.

Oggi sono andata a prendere le piccole a scuola, le porto a giocare, a fare la spesa. Tutto quello che posso fare per rimanere fuori casa. So che la pagherò. Mi riempirà di sberle come l’ultima volta, davanti a loro:  strilleranno e lui si infurierà ancora di più.

No. Non era questa la bandierina di conquista che sognavo di piantare, passo dopo passo.

 

Shadi

Non ho avuto altri esempi nella mia vita. Mio padre, i miei fratelli. Mi hanno trasmesso il valore della forza, della prevaricazione. Creare la sudditanza. Non lasciarle soldi, non lasciarla libera nelle scelte, non lasciarle la possibilità di affermarsi. Nessuna volontà.

Eppure io volevo che con lei fosse diverso; lo desideravo. E sapevo che non ci sarei riuscito, nemmeno questa volta. La famiglia di Claudia, la prima moglie, lo aveva capito o lo aveva saputo. Mi aveva chiesto di andarmene; avevo fatto un lungo  viaggio e non mi ero fatto più vedere. Altrimenti i cugini si sarebbero occupati di me. A modo loro.

Sono sparito, sono stato via per anni imbarcato sulle navi, vivendo di forza e di prepotenza. Mai un rimorso.

Mi ero sentito spesso inadeguato con Claudia; ridurla al silenzio a suon di schiaffi era l’unica scelta che avevo. Lei non si ribellava neanche più, io provavo quiete solo quando smettevo. Perché io non mi sento cattivo, per me è giusto così.

Poi è arrivata lei, giovane, bella, istruita. Ho pensato che avrei potuto avere un’opportunità. Avrei voluto essere parte di quel mondo, istruito e con un lavoro serio. E non è che non ci ho provato ma non potevo accettare che uscisse di casa, sotto gli sguardi ammirati dei vicini, che si chiedevano sicuramente perché avesse scelto proprio me.

Eppure Nadwa aveva scelto me, aveva scelto di fare dei bambini con me. Le doveva bastare. Come poteva pensare di trovare il tempo per impicciarsi di altre cose?

Il volontariato, aiutare gli anziani, cercarsi un lavoretto, bere un caffè con le altre mamme. Parlava di crescita personale. Lei voleva fare queste cose ed io ho provato a parlarle, a dire che non stava bene così.

Ma lei non obbediva e le faceva. E quando le faceva io sentivo il sangue che mi saliva alla testa! Un animale sprezzante, feroce e spietato si impossessava di me. E per trasformarmi bastava davvero poco.

Non mi piaceva che interferisse su ciò che io ritenevo meglio fare per aiutare i miei familiari. Non se ne doveva interessare.

L’avevo mandata ad aiutare un mio zio che cucinava cibi d’asporto, per qualche ora. In questo modo la potevo controllare meglio, dove non arrivavo io arrivava la mia famiglia. Ho speso molto per aiutare i miei familiari nelle loro attività. Nadwa non era d’accordo, diceva che prima venivano le bambine. Già, le bambine! Che a scuola giocavano coi maschietti. Cosa sarebbero diventate?

E poi avremmo avuto tempo per quello. Ora mio zio aveva bisogno, era giusto che lei lavorasse per noi. La mia famiglia mi aveva aiutato, ora era il mio turno. Io la mandavo ogni sera, dopo che aveva preparato tutto per me. Naturalmente.

Ecco però lei aveva troppo, era una valigia ingombrante accanto a me. Io non riuscivo ad entrare nel suo percorso, nel suo cammino. Ero un passeggero senza biglietto, sbattuto giù malamente ad ogni stazione ma che risaliva sempre, di forza.

 

Nadwa

Cambierà. Devo avere pazienza; è sempre stato buono quando eravamo fidanzati. Forse è stanco, lavorare nei cantieri lo sfinisce. E’ cambiato, questo sì. Ma cambierà.

Mi ha chiesto di aiutare i suoi familiari, dedicando qualche ora per aiutarli al lavoro. Gratis.

Io non volevo! Ha dato loro tanti soldi mentre noi dobbiamo fare tanti sacrifici. E glielo ho detto, glielo ho detto che ha fatto una cosa ingiusta! Non per me perché io posso rinunciare, per le bambine. Che crescono in fretta, che hanno esigenze, che vogliono fortemente essere come le altre bambine.

Ormai da anni è così ma io credo ancora che cambierà.

Durante il tragitto verso il Pronto Soccorso mi ha parlato duramente; mi ha costretto a dire che sono caduta in casa, mentre scendevo le scale. Anche quando lui è stato seduto in sala d’attesa io ho detto alla dottoressa che ero davvero caduta, inciampando negli scalini.

Non ci ha creduto, lo so. Mentre raccontavo cercavo di convincere me stessa che era davvero andata così; sentivo ancora le sue mani bruciarmi addosso e le lacrime volevano scendere di nuovo. Ma non potevo. Un’altra bandierina lacerata, che non potevo piantare da nessuna parte.

E’ stato un rientro silenzioso dall’Ospedale, avevo le mani sudate e  tanta paura. Avevo però ancora speranza. Cambierà.

Non mi ha portato a casa. Ha proseguito con l’auto e mi ha portato al lavoro. Era tardi ma dovevo pulire il locale, lavare le pentole, sistemare i prodotti per il giorno dopo. Mi ha lasciato 35 centesimi, per la macchinetta del caffè.

Forse stava cambiando.

 

Shadi

L’ho fatto ancora. L’ho fatto ancora. E’ così semplice! E’ così giusto. Ancora le tempie pulsavano, il sangue ribolliva ad ogni sua domanda, ad ogni suo perché placato a pugni, calci e schiaffi fino a farla rotolare dalle scale.

Sentivo le presenze dei vicini dietro le porte, sentivo la loro paura. Alimentava la mia forza, la mia cattiveria. Che poi non è cattiveria la mia, è che per me le cose si aggiustano così. Si sono sempre aggiustate così.

In Ospedale non ha parlato, ha paura. Ce l’ho in pugno. E’ stata obbediente, ha taciuto. L’ho portata in macchina al lavoro, naturalmente. E le ho lasciato i soldi per il caffè.

Perché io le voglio bene, deve essere come la voglio. Per volergliene ancora di più.

 

Nadwa

Andrà via, deve partire per affari. Non so quali affari siano. Non me ne parla. Mi ha detto solo che deve fare un viaggio, per sistemare alcune cose della sua famiglia. Io sono stata brava in tutto questo tempo, ho sempre obbedito e quando qualche volta ho alzato la testa le ho prese. Senza lamentarmi più.

Ora se ne va per un po’. Io ho le bambine, sono cresciute e hanno timore di lui. Aiuto ancora in cucina, qualche volta. Ma non potrò andare al lavoro, quando lui sarà via. E questo lui lo sa. Sa che non posso andare da nessuna parte. Sa che starò in casa ad aspettarlo, da brava, con le bambine.

Ma io sono stanca. Ho parlato ai miei fratelli, ho raccontato tutto. Sanno quando partirà; soprattutto sanno quando  e dove arriverà. E lo aspettano.

Io, invece, aspetto in casa con le bambine, da brava.