Racconto di Giorgio Rinaldi

(Quarta pubblicazione – 22 maggio 2019)

 

Avevamo aspettato tanto quel viaggio ma quando arrivò la data della partenza io rimasi muto per tutto il giorno, come se, dopo anni di progetti, rappresentazioni e simulazioni, mi fossi messo da una parte in silenzio ad osservare la scena.

L’agenzia ci aveva parlato di questo viaggio come di qualcosa che fai una sola volta nella vita, di quei viaggi avventurosi dove ti può capitare di tutto, dove puoi decidere di scappare dopo una settimana o perderti per tutta la vita. Forse per questo avevamo atteso tanto tempo.

Ti ricordi alla stazione? Il treno era fermo al binario 11. Era blu e lucido, tirato a specchio.

Siamo arrivati come al solito di corsa, ci siamo fermati davanti alla locomotiva e con il fiato grosso abbiamo aspettato che i nostri cuori rallentassero, aspirando a pieni polmoni quell’aria che avvolge tutte le stazioni e che sa di metallo, di muffa, di altrove e di mille altri odori mescolati insieme. Uno sguardo, un bacio sulle labbra e siamo saliti. Seconda classe, carrozza 001, posti 29 e 30. Il capotreno ci ha accompagnato ai nostri posti, ci ha augurato buon viaggio ed è tornato in cabina, dandoci il benvenuto a bordo con un potente fischio. Lo faceva per ogni coppia di viaggiatori che saliva sul treno.

Appena ci sedemmo mi chiedesti fino a dove saremmo arrivati, per quanto tempo, qual era la destinazione, ma io non seppi proprio cosa risponderti.

Sospendemmo la nostra ansia appena il treno si mise in movimento, all’inizio lento, poi sempre più veloce, fino a quando non uscì dalla stazione e un’esplosione di luce ci colpì in pieno.

Eravamo in viaggio, non sapevamo fino a dove, né per quanto tempo, ma eravamo in viaggio, in due.

Sei stata tu a scegliere il posto vicino al finestrino, volevi gustarti il panorama mi hai detto. E il panorama era bellissimo, mari azzurri, pianure verdeggianti, fiumi, laghi, dolci colline e cielo stellato, ed era ancora più bello vederlo riflesso nei tuoi occhi.

Non una nube all’orizzonte.

C’erano altre coppie di viaggiatori sul nostro vagone, ma non tutti si godevano il viaggio. Discutevano per il posto o perché non c’era nessuno a dare informazioni, qualcuno addirittura azionò il comando di emergenza per fermare il treno e abbandonare il viaggio, preso da un insolito attacco di claustrofobia.

Iniziò a girare una voce tra i viaggiatori, che il viaggio non sarebbe stato sempre così tranquillo, che presto sarebbero iniziate le difficoltà, avremmo attraversato zone impervie e distese aride e che il cielo prima o poi avrebbe cambiato colore. Così dicevano, ma noi non ce ne preoccupammo un granché.

Ti ricordi quando scopristi che quelle voci erano fondate? Venisti da me impaurita e con mille domande, ma io non seppi proprio cosa risponderti.

Arrivarono i momenti difficili e ce ne accorgemmo dalla luce del mattino. Anzi, ce ne accorgemmo dalla sua mancanza, perché ci svegliammo ed era quasi buio. Il treno arrancava, ostacolato da muri di pioggia, grandine e fulmini. Provammo a guardare dal finestrino ma non c’era altro che una spessa coltre grigia a ricoprire tutte le cose. Il treno rallentò sempre di più, fino a fermarsi con un cigolio sinistro. Ancora ricordo la tua faccia quando il capotreno fece quell’annuncio, zittendo momentaneamente il coro di lamentele che si levavano dai viaggiatori. Bisognava scendere e spingere il treno. Incredibile. Avevamo preso quel treno pensando di viaggiare tranquilli e adesso ci toccava scendere e spingere. Che razza di viaggio era quello? Ci rispose il capotreno: “Signori, se volete potete anche scendere e rinunciare, perché non posso proprio assicurarvi che questa sia l’unica difficoltà che incontrerete. Io non ho mai parlato di un viaggio comodo, vi ho detto solo che sarebbe stato un viaggio unico, irripetibile. E se pensate che questo non valga qualche sforzo, scendete pure!” In molti decisero di rinunciare, da soli o in coppia. Scesero dal treno e tornarono indietro verso le verdi pianure. So di alcuni che le hanno raggiunte e di altri che le stanno ancora cercando. Qualcuno invece ha deciso di cambiare il treno in corsa e salire sulla prima coincidenza disponibile. Scesi anch’io e mi diressi, però, verso l’ultimo vagone per provare a spingere e riprendere il viaggio. Una lama di vento mi tagliava la faccia, mentre la pioggia gelida si infilava in ogni minimo spazio libero. Provai e riprovai senza riuscire a muovere il treno di un millimetro. Alla fine ti chiamai e tu scendesti subito, raggiungendomi in fondo al treno. Poggiasti le tue mani sopra le mie e spingemmo insieme. Il peso si alleggerì improvvisamente sotto le nostre mani e il treno riprese a muoversi lentamente, così risalimmo su per riprendere il viaggio.

Ti ricordi poi… come li chiamava il capotreno? “Viaggiatori straordinari”, ecco come li chiamava. Ci spiegò che, a un certo punto sarebbero saliti sul treno dei “viaggiatori straordinari” i quali, se fossimo stati disponibili, avrebbero potuto scegliere di condividere un bel tratto del nostro viaggio, prima di intraprendere il loro. Ma sì, ci dicemmo, e salì la prima “viaggiatrice straordinaria”, seguita a ruota dal secondo “viaggiatore straordinario”, due forze della natura, due meraviglie. Sono scesi anche loro qualche volta a spingere il treno e in quattro è stata tutta un’altra cosa. Qualche volta, invece, hanno assistito ai nostri sforzi dal finestrino, comunque hanno sempre fatto il tifo per noi. Insieme a loro due è stato come un viaggio nel viaggio, un po’ come la crema dentro una brioche.

Ti ricordi quanti ostacoli abbiamo superato? Ogni volta che risalivamo sul treno scoprivamo che qualcuno aveva abbandonato il viaggio ed ora siamo rimasti davvero in pochi. Pochi viaggiatori pronti ancora a scendere e spingere il treno, convinti che il viaggio valga sempre più la pena degli sforzi.

E quando il treno procedeva veloce senza intoppi? Ci piaceva tirare giù tutti i finestrini e farci scapigliare dal vento ad occhi chiusi e, dal profumo che arrivava, tiravamo ad indovinare se eravamo al mare o in montagna o stavamo attraversando una vallata rigogliosa. Questo ci piaceva, e ci piace ancora.

Ma tu continui a chiedermi dove andrà a finire questo treno, quale sarà il punto di arrivo. Io, sinceramente, sono stanco di non avere risposte e approfitto di un momento di relax del capotreno per entrare in cabina. Con le mani ai fianchi e le gambe ben divaricate mi piazzo davanti a lui e gli dico che ormai siamo in viaggio da tanto tempo e che abbiamo il sacrosanto diritto di sapere la destinazione. Ai suoi occhi devo essere apparso ridicolo perché, per tutta risposta, lui scoppia in una risata fragorosa, tutto lì, una grande e rumorosa risata. Poi si trattiene appena, si avvicina e mi sussurra all’orecchio: «Vieni con me» e sbotta di nuovo a ridere.

Mi prende sottobraccio, mi accompagna al nostro scompartimento e indicando te, completamente assorta a guardare il paesaggio, mi dice sottovoce: «Questa è la tua destinazione, ci sei seduto accanto dall’inizio del viaggio. E tu sei la sua.»

In quel preciso istante ti sei voltata e mi hai sorriso.

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https://www.ibs.it/eppure-senso-c-ebook-giorgio-rinaldi/e/9786050405590