Racconto di Teodoro Di Leva

(Quinta pubblicazione)

 

 

Ogni mattina, la mia cagnolina mi attende impaziente di uscire vicino alla porta; appena mi sente muovere balza giù dalla cuccia e non si capacità perché io non possa uscire in pigiama e ciabatte. Ancora qualche anno e potrà capitare che mi dimentichi di indossare i calzoni; ce ne andremo a scorrazzare nel prato con le nostre gambette secche e pelose finché non arriveranno gli infermieri.

Mi fa fretta uggiolando al di là della porta del bagno mentre mi lavo, viene in camera a controllare come mi vesto e poi mi precede sull’uscio. Mi aspetta sul vialetto mentre indosso giacca e mascherina.

La porto nel prato, in un recinto adibito alla sgambatura per cani, la lascio libera dal guinzaglio e se ci sono altri cani nel recinto ce ne stiamo alla larga; gli altri cani, specialmente i cuccioli, vogliono giocare, la mia cagnolina vuole essere lasciata in pace di annusare in giro. Con alcuni cani va d’accordo con altri no, non so il perché di questa discriminazione e non lo saprò mai, è una cosa loro. Odia i levrieri ed è odiata a morte dai Jack Russel, si puntano da lontano e si avventano l’uno contro l’altro appena sono vicini, a stento trattenuti dai rispettivi guinzagli.

Tempo fa in quei paraggi ho incontrato un odiatore di cani. Gli odiatori di cani, oltre i cani, odiano i bambini che giocano, i fidanzati che si baciano sulle panchine e un mucchio di altre cose che hanno a che fare con la serenità e con la pacata consapevolezza o rassegnazione del vivere.
Sceso dalla sua macchina mi apostrofò: «Voi con i vostri cani dovete raccogliere le deiezioni, questo prato è pieno di deiezioni!»

Lui aspettò la mia replica per rincarare la dose, ma io gli raccontai che il giorno prima una ragazza era stata investita sulle strisce da una macchina che s’era allontanata sgommando.

«Era lei che l’aveva investita?»

«Io, perché?»

«Ho visto che guida un’auto.» con tono acceso.

«Solo perché ho l’auto sono un pirata della strada?»

«Appunto.»

«Appunto cosa?» con uno sguardo perplesso, rimase solo con sé stesso.

Chissà se ripensandoci, avrà capito l’antifona, ma su di un tizio che dice “deiezioni” invece di merda, non c’è da farsi troppe illusioni.

Che razza è la mia cagnolina?

Quando me lo chiedono rispondo che è un incrocio tra un toporagno e una nutria di fiume; in realtà è bellissima, anche se i miei amici mi prendono ancora in giro da quando hanno saputo che ho sborsato dei soldi per averla:

«Davvero l’hai anche pagata?»

Si recarono a ritirarla al canile, mia figlia Alice e mia moglie.

Andò così: appena arrivate una torma di cucciolotti corsero loro incontro e, solo dopo un po’ uscì dalla cuccia sbadigliando, questo piccolo cane e mia figlia decise: «quello!»

Si rivelò poi essere una femmina alla quale Alice diede il nome Maya. Perciò la mia cagnolina non è mia, ma è di Alice che me l’ha rifilata quando è andata a vivere a Torino!

Lavoravo ancora nell’ufficio scolastico della scuola media, quando me la portarono a vedere e Maya si accovacciò nell’atrio della scuola e fece pipì; capii subito che saremmo andati d’accordo.

La mia cagnolina è bellissima, ha uno sguardo dolce e fiducioso.

Quando piove se ne sta nella sua cuccia, sa già che non la porterò con me, soprattutto per non farle indossare quel ridicolo impermeabile di cui ci vergogniamo entrambi.

Prima di uscire le do un biscotto e le dico che torno subito.

Quando rientro mi accoglie come se fossi stato via anni; salta, ruota su sé stessa, corre, s’allontana e ritorna, poi salta sul divano dove aspetta di essere coccolata e consolata per averla abbandonata.

Per farmi sentire in colpa poi piange, guaisce, finché non le dico:

«Maya, ora basta, stai esagerando, non sono andato in guerra.»

Normalmente usciamo la mattina e arriviamo fino al lago dove la libero e la istigo a catturare le papere.

Lei corre svogliatamente: sa con non le acchiapperà, le anatre scendono in acqua e si allontanano placidamente di qualche metro: sanno che non saranno prese. Arrivata con le zampe in acqua, Maya mi guarda come se cercasse il mio aiuto o mi dicesse: «Beh, cosa vuoi? Io ci ho provato.»

Le faccio un po’ di complimenti: «Brava, stavolta stavi proprio per catturarla.»

Questo serve alla sua autostima.»

Dopo la battuta di caccia, passeggiamo sul lungolago; la faccio andare libera senza guinzaglio.

Se vedo in lontananza uno di quei cani aggressivi (di solito li tengono al guinzaglio dei brutti ceffi palestrati e tatuati, più minacciosi di loro) oppure quei cagnolini di razza pregiati bianchi e vaporosi come batuffoli di cotone, le cui padrone ci guardano schifate se Maya si avvicina ad annusare il culo, del cane intendo, allora dico alla mia cagnolina: «Aspetta, cane brutto che si avvicina», lei si ferma e si lascia mettere il guinzaglio.

Le nostre passeggiate durano poco più di un’ora, torniamo a casa stanchi, gli anni si fanno sentire.

La mia cagnolina, contando i suoi anni da cane, ha più o meno la mia stessa età: questo mi fa pensare, “chi morirà per primo? Chi sopporterà meglio l’assenza dell’altro?”