Racconto di Martina Dini

(Prima pubblicazione – 1 febbraio 2021)

 

 

Il vecchio che guardava l’orizzonte non aspettava nessuno.
Aveva tutto, aveva niente, e per questo non aspettava nessuno.
Il vecchio che guardava l’orizzonte sapeva dove trovarlo.
Sempre dove gli occhi non arrivano: oltre i tetti dell’ultima schiera di case, in fondo alla via, oltre le paraboliche, la rete elettrica dei tram, i banchi del mercato.
La strada per l’orizzonte è l’elettrocardiogramma della città, gli piaceva pensare.
E chi siamo noi, per dire che così non possa essere.
Il vecchio che guardava l’orizzonte aveva la nuca nascosta da un colletto di camicia a righe.
Ogni giorno lo stesso colletto di diverse camicie.
Chi tornava a casa per quella via poteva vederlo seduto in balcone, un braccio disteso sulla balaustra, il bottone del polsino slacciato (ma questo, in realtà, lo immaginava).
Con la testa canuta inclinata un poco verso l’alto, a guardare davanti a sé.
La gente pensava che fosse un uomo solo e ne provava pena.
Oppure pensava che fosse matto, e comunque ne provava pena.
Ma chi siamo noi, per sapere quando un uomo è solo o quando è matto.
Il vecchio che guardava l’orizzonte rispondeva a tutti con un sorriso.
A chi dal marciapiede gli chiedeva se avesse bisogno di qualcosa.
Ai monelli che gli urlavano cosa fai scemo.
A chi lo osservava in silenzio un minuto di troppo.
A chi passava dritto in fretta e furia.
Lui sorrideva a tutti mentre guardava l’orizzonte.
E la gente mormorava: “la solitudine lo ha fatto impazzire, lo ha fatto impazzire, sarà perché è solo, povero vecchio.”
Lui sorrideva a tutti mentre guardava l’orizzonte, senza mostrare i denti stanchi dal tanto fumo di gioventù.
Qualcuno attento avrebbe capito che il sorriso nascondeva un segreto e avrebbe sussurrato: “quel vecchio conosce la felicità”.
Ma chi siamo noi, per dire dove la felicità si nasconda.
E comunque, questa è un’altra storia.
Il segreto del vecchio che guardava l’orizzonte era questo: sapeva dove trovarlo.
Oltre il traffico del Grande Raccordo Anulare, oltre il Mare Adriatico, le steppe russe, l’Oceano Pacifico.
Quando il sole iniziava a tramontare e i colori a degradare dall’arancio al viola o dal viola all’arancio (non riusciva mai a ricordarlo), il vecchio chiudeva gli occhi per una manciata di secondi, e respirava così, con le palpebre abbassate e il braccio disteso sulla balaustra del balcone, il bottone del polsino effettivamente sganciato.
Allora l’aroma del caffè gli riempiva le narici e poco dopo il gorgoglio della caffettiera, da dentro la casa, gli stuzzicava le orecchie. O forse era il contrario (non riusciva mai a ricordarlo).
Chi tornava a casa per quella via poteva vederlo che guardava l’orizzonte, con gli occhi chiusi e la tazzina del caffè sotto il naso.
La strada per l’orizzonte, gli piaceva pensare, ricorda a ciascuno qualcosa di preciso, come l’aroma del caffè.
La gente credeva che aspettasse la morte e ne provava pena.
Anche se in effetti, si dicevano alcuni, aspettare la morte in balcone con una tazzina di caffè non era poi tanto male, a quell’età.
Ma l’uomo che guardava l’orizzonte, lo sappiamo, non aspettava nessuno. Neanche la morte.
E in fin dei conti, chi siamo noi per pensare che la morte si faccia attendere.
Talvolta capitava che l’uomo si addormentasse per pochi minuti, lì seduto in balcone con la camicia a righe e l’aroma di caffè nelle narici.
Allora chi passava per quella via mormorava “sarà morto?” e riprendeva la sua strada allungando il passo.
Anche mentre dormiva, il vecchio rispondeva a tutti con un sorriso.
Anche mentre dormiva, il vecchio continuava a essere il vecchio che guardava l’orizzonte.

E finalmente sentiva il suo corpo – dagli atomi alla carne – trasporsi oltre l’atmosfera, l’orbita terrestre, la gravità, oltre le nuvole di gas, le Supernove, la Via Lattea, oltre gli spazi siderali; finché di colpo la luce appariva, ed era tutto, ed era ovunque, e i suoi occhi non potevano contenerla e lui esplodeva in pulviscolo stellato, costellando galassie nuove.
Quando la vista tornava, il vecchio che guardava l’orizzonte era seduto nel suo balcone affacciato sull’Infinito. Ed era parte del tutto.

Al risveglio, ogni volta, l’uomo confidava a se stesso il proprio segreto.
La strada per l’orizzonte, pensava, è la strada dopo l’orizzonte.

Ma, alla fine di tutto, chi ci dice che questa storia sia vera.