Racconto di Lori Marchesin

(Ottava pubblicazione)

 

Il bar era deserto, fatta eccezione per il vecchio, cliente abituale, che ingollava un brandy dopo l’altro e osservava il cielo oltre i tetti. Sedeva là tutti i giorni della settimana, esclusi il sabato e la domenica quando i giovani invadevano la terrazza e non se ne andavano fino a quando venivano obbligati a uscire da Luigi e Mario, i due camerieri del turno serale.
Luigi, il più giovane dei due, era irrequieto, insofferente. Lui avrebbe sbattuto fuori il vecchio che era già ubriaco senza pensarci troppo.
Mario, l’anziano dei due, gli toccò il braccio.
̶  Abbassa la voce. Non sono sicuro che il vecchio sia sordo come sostieni tu. Ho una proposta per te: puoi andartene subito. Manca meno di un’ora alla chiusura, resto io, finisco le pulizie e aspetto che lui se ne vada.
̶  Sicuro? Ricambierò il favore, stanne certo. Se me ne vado ora, avrò tutto il tempo di raggiungere i miei amici al Night 88, è aperto tutta la notte.
̶  Vai tranquillo. Me la sbrigo io con lui.
Rimasto solo, Mario si avvicinò al cliente, prese il bicchiere vuoto e pulì il tavolo; la pulizia era la sua ossessione, i tavoli li voleva lustri, neppure una goccia gli sfuggiva.
̶  Mi può portare un altro brandy, per favore?
̶   È sicuro? Deve percorrere due isolati, al buio, da solo.
̶  Già! Due isolati, ma lei come lo sa?
̶  Faccio la stessa strada per raggiungere la mia abitazione. L’ho vista entrare in una delle villette a schiera qualche sera fa.
̶  Capisco. Non si preoccupi per me, comunque; posso percorrere la strada a occhi chiusi; se poi una vettura m’investisse, sarebbe una benedizione.
Alzò il volto verso Mario; un sorriso sghembo increspava le profonde rughe attorno alla bocca, ma gli occhi avevano una fissità umida.
̶  Avrei un’altra richiesta, se possibile. Giacché sono l’unico cliente, perché non si siede qui con me? Ho poche occasioni di parlare con qualcuno e se parla forte riesco a sentirla. A volte mi fingo più sordo di quel che io sia per evitare conversazioni futili, specialmente con la badante che devo sopportare dalla mattina fino all’ora della cena quando finalmente se ne torna a casa sua.

Mario, sorpreso dall’inaspettata richiesta, spostava il peso da un piede all’altro, indeciso se andarsene o accettare l’invito. Negli occhi del vecchio lesse una tristezza profonda, un’accorata richiesta di aiuto. D’altra parte non è che avesse faccende urgenti. Il ritorno alla sua stanza abbarbicata al terzo piano non prometteva che ore d’insonnia e un’irrequietezza che non riusciva a calmare. Ascoltare la tristezza di un altro, forse, gli avrebbe fatto dimenticare la propria.
̶  Le prendo il brandy e le farò un po’ di compagnia.
Tornò al tavolo con il brandy e una bottiglia d’acqua. Si sedette di fronte al vecchio che ora fissava il bicchiere facendo scorrere le dita lungo il vetro.
̶  Lo sa che il buio ha una sua voce? Ci sono vibrazioni che sono messaggi, forse sono udibili solo quando la mente si sostituisce agli orecchi. Per questo amo il buio, ci sono scambi con presenze invisibili, mi sforzo di capire, tradurli.
Mario s’irrigidì; il vecchio dava i numeri; forse, oltre a sordo, era anche fuori di testa. Non sapeva come reagire, cosa dire.
̶  Sta pensando che sono matto, vero? Non è così. Sento la voce di mia moglie al buio, lei mi rassicura, mi ha perdonato, ma sono io che non riesco a perdonarmi.
Mario non riusciva a spiaccicare una sola parola. Che cosa poteva dire? Quel vecchio lo stava coinvolgendo nel suo mondo privato e lui non credeva di essere pronto, era già una fatica immane affrontare il suo presente.
̶  Ho tradito mia moglie, – vedendo la costernazione del suo interlocutore, aggiunse, ̶   niente a che fare con il sesso, ma l’ho tradita, l’ho uccisa io.
Mario s’irrigidì. Voleva allontanarsi, ma una forza superiore alla sua volontà lo inchiodava alla sedia.
̶  È la prima volta che ne parlo con qualcuno; essere ubriaco mi dà il coraggio. Non se ne vada per favore.
C’era disperazione nel suo tono e negli occhi ora velati dalle lacrime.
̶  Una malattia degenerativa durata anni. Nessuna cura è riuscita a debellare quel mostro che le divorava il fisico e l’anima. Poi, gli ultimi mesi a casa e morfina a dosi sempre maggiori. Ma era con me e la sua presenza mi dava il coraggio di continuare a vivere.
Poi mi chiese di aiutarla…aiutarla ad andarsene, a lasciare quel corpo che non le apparteneva più.
̶  E lei, lei? ̶  Mario balbettò, non riuscì a finire.
̶  No! Per vigliaccheria, paura, egoismo. Ho prolungato la sua sofferenza mentre ogni giorno i suoi occhi invocavano aiuto. Quegli occhi li vedo nel buio, imploranti, tristi.
Lei mi parla nei sogni, vuole che perdoni me stesso. Non ci riesco.
Il vecchio si alzò, pagò le consumazioni e se ne andò, la schiena curva ma il volto sollevato a fissare il cielo. Salutò con un sussurro e un cenno della mano.

Mario pulì i tavoli ancora una volta, li voleva lucidi da specchiarsi. Poi spense le luci e s’incamminò verso il vuoto della sua stanza, della sua esistenza. Provò quasi vergogna nel pensare che il vecchio era più vivo di lui, soffriva e amava ancora.
Il vecchio viveva. Lui, Mario Bergamo, esisteva soltanto.

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