Racconto di Maurizio Laurenti

(Prima pubblicazione)

 

Quella mattina piovosa, la voglia di non fare nulla attanagliava le membra, ero già stanco appena sveglio. Squilla il cellulare, intontito ed assonnato rispondo con un: “Eccomi” che sembrava venire dall’oltretomba. Subito una voce squillante: “Sono arrivata alla stazione, tutto ok, ora prendo la metro e vado al lavoro. Ricordati di comprare il pane, perché ne sono rimaste solo due fette, e sono dure come il marmo”. “D’accordo, ma non so se uscirò per comprarlo. Io ne ho una fetta mangiabile, per oggi mi basta e avanza. Ci devo pensare.” risposi schiarendomi la voce. “Ma dai, esci così prendi un po’ d’aria! Stai sempre chiuso in casa, ormai fai parte dell’arredamento. Con l’occasione metti in moto e muovi la macchina. Lo sai che si rischia di dover sostituire di nuovo la batteria?”. “Ok, ok, vedrò il da farsi. Baci” risposi troncando la conversazione.

Girovagando in mutande per casa come un’anima in pena, rimuginavo: esco o non esco? Esco! Faccio la lista della spesa, sul mio smartphone, come dicono quelli bravi e tecnologici, io lo chiamo cellulare, mah sarò all’antica. Rotti gli indugi mi reco al supermercato, al suo interno, tiro fuori dalla tasca il “cell” e inizio a leggere quello che devo comprare. In pochissimo tempo, acquisto tutto il necessario, anche il pane e mi avvio con passo deciso verso le casse. Questo è un nuovissimo supermercato tecnologico, dispone di nove casse, che fanno di tutto, dalla conta degli articoli posti sui rulli, al peso dei cibi, allo scanner laser delle etichette, apposte sulle buste. Bello e funzionale. Ma se l’ingranaggio si inceppasse? Eccomi in fila, tra poco sarò fuori, mentre la cassiera chiede: “Carta del supermercato, grazie”. “Un attimo” rispondo mentre deposito i prodotti sul rullo. “Ma ce l’ha la carta?”. “Sì, che ce l’ho, se mi dà un attimo la prendo”. Con insistenza irritante la cassiera continua: “Ma l’ha presa sta’ carta?”. Indispettito e per non risponderle male, apro di scatto il borsello e prendo il portacarte, ma, come spesso accade quando c’è concitazione, la tessera sanitaria schizza fuori infilandosi in una fessura tra i moduli della cassa.

“Oddio! La tessera sanitaria nuova, quella con il Chip, se non la recupero è un guaio. Rivolgendomi alla cassiera esclamo: “Per la fretta che mi ha procurato, è caduta la Tessera Sanitaria all’interno di questa fessura”. “Quale fessura?” risponde lei. “Questa qui, la vede? Tra la cassa ed il piano con il lettore ottico”. “Non si preoccupi, ora la tiriamo fuori”. “Vede davanti a lei in basso, c’è una levetta, la deve alzare in modo da sbloccare la fascia che trattiene questi due moduli”. “Va bene, ed ora che devo fare?” risposi chinandomi ad alzare la leva. “Deve far scorrere il primo blocco, quello alla sua sinistra sul binario”. Poi chinando il capo e bofonchiando aggiunge: “Non è mai successa una cosa del genere, che tipo…”. Faccio quanto detto e come per incanto, il blocco rettangolare scivola verso di me, lungo circa settanta centimetri e alto novanta, di uno spessore di venticinque centimetri. “Ed ora?”.

Lei guardandomi dall’alto in basso mi segnala con un cenno della mano di piegarmi sul blocco, a penzoloni a testa in giù per cercare di recuperare la carta, ma tra la cassa e il binario, porcaccia la miseria, c’è un ulteriore microscopico spazio e la carta è lì che si andata a infilare, tanto che risulta impossibile arrivarci. La situazione ha del paradossale: una fila interminabile ed una cassa ferma da mezz’ora, per un’inezia. Non sarebbe accaduto nulla, utilizzando una piccola striscia di nastro adesivo sigillando gli spazi.

“Vittoriooo, qui, cassa due…”. “Vittorio, l’inserviente, inizia subito la sua azione, anche lui a penzoloni sul cubo, ma stavolta con un attrezzo in acciaio, lungo e fino il quale dovrebbe portare al risultato finale: la tessera sanitaria”. Infatti, dopo pochi istanti di alacre lavorio, Vittorio si rialza e getta sulla cassa la carta trovata dicendo: “Eccola qua, finalmente”. Tiro un respiro di sollievo e mi appresto a prenderla, quando mi accorgo che la carta recuperata è di un colore bianco con una scritta arancione, con il nome del supermercato. Addirittura con un pennarello rosso: c’è la firma di una certa Cesarina Rossi, certamente non è la mia Tessera Sanitaria.

“Ha visto, signora cassiera, che non sono l’unico a cui è capitato?” le dico fuori dai denti.

Messa alle strette ne prende atto e indica a Vittorio di cercare ancora. Pochi istanti dopo, la tessera sanitaria quella vera è finalmente in mio possesso. Ringrazio il solerte aiutante, faccio quel metro per prendere la borsa della spesa e quindi uscire dal supermercato, ma nel momento in cui alzo il braccio per prendere la sudatissima borsa, me la vedo sfilare da sotto il naso: il cliente che era prima di me se la sta portando via!

“Mi scusi, quella borsa è mia!” gli intimo.

“Scusi Lei, pensavo che mia moglie l’avesse dimenticata sullo scivolo”.

“Di nulla, si figuri. Questa giornata è così strana che tutto può accadere”.

Nel parcheggio la macchina e lì che mi attende, premo il tasto del telecomando, per aprire le portiere, il suono inconfondibile me ne indica l’apertura, infilo la chiave nel cruscotto e la giro, in modo che la centralina inizi a fare i controlli di rito. Di tutta risposta, le frecce cominciano a lampeggiare, lo stereo si accende e l’ultimo CD inserito inizia a suonare a tutto volume, i finestrini si abbassano e si alzano, e poi tutto ritorna alla normalità. Giro di nuovo la chiave per l’accensione, ma il quadro è completamente nero, la batteria è scarica. Prendo il cellulare e…  “Pronto meccanico?”. Io la odio la tecnologia.