Racconto di Charles Krevigoskji

(Prima pubblicazione)

 

(Dio si fa un giro nel quartiere)
Erano giorni in cui si diceva che nel quartiere girasse una macchina sospetta. Un attentatore forse, ma chi veniva ad attentare la vita di disperati come noi? Le bombe se ci vedevano, sarebbero implose da sole. Allora l’ipotesi più accreditata, era che poteva essere un maniaco. Io ascoltavo questi discorsi dal finestrino del mio cesso perché le pettegole parlavano dai loro balconi. Dal mio seminterrato dagli infissi divelti, non potevo fare altro che ascoltarle contro la mia volontà. Fosse stato per me il maniaco poteva pure portarsele tutte, ma guardando la loro bruttezza non ne avrebbe avuto mai il coraggio. Allora andavo al cesso e le sentivo per forza parlare, e poi uscivo per strada e guardavo i capannelli di gente che parlavano, ma l’auto sospetta ancora non l’avevo vista. Quindi un giorno che uscii per andare dal tabaccaio e provare se mi facesse credito, vedo spuntare dal fondo del vicolo una macchina bianca che mi si avvicinava leggera senza sentire il rumore del suo motore, quasi scivolasse sull’asfalto, senza attrito… come sarebbe godibile una vita senza attriti, pensai. La carrozzeria era di un candore mai visto e non era stata la freccia del lavaggio e nemmeno la cera, la macchina sembrava una nuvola che mi si parò di fianco. “Scusi lei” mi si rivolse un tipo barbuto con i capelli lunghi e bianchi come la macchina, ben pasciuto con due belle gote riempite di sostanza, forse da bei pasti sostanziosi. “È questo il quartiere del Salice?” “Così dicono” gli risposi. Aveva un sorriso di carta leggera stampato sulla faccia. Era una vera beatitudine guardarlo. “Scusi, è lei il maniaco?” Avrei voluto chiedergli, ma così diventavo un pettegolo anch’io. Quando gli diedi la risposta, si guardò intorno stupefatto, il sorriso della beatitudine e della speranza iniziò a spegnersi sul suo volto come una lampadina che ha finito la sua vita.

Ai lati delle strade c’erano carcasse di macchine incendiate, altre ridotte a rettangoli ammaccati, infissi gettati come ordinaria spazzatura, e poi piastrelle, mattoni rotti, risulta di edilizia, cani scheletrici che ci pisciavano sopra, insieme ai bambini nei loro vestiti sporchi e ricoperti di pulci e pidocchi, scheletri di motorini rubati e ogni altro genere di rifiuto umano e materiale. Il barbuto si girò verso di me con gli occhi sgranati, mi diede una scorsa e anche se con qualche sdrucitura da qualche parte ero alquanto pulito rispetto agli altri. “E lei dove va? Cosa fa?” mi chiese. “Scusi, ma è nuovo della polizia?” domandai. “Perché qua la madama non è di casa, quando può è felice di evitarci, e ognuno fa quel che gli pare”. “Io sono il capo di tutto” mi rispose. “Si spieghi meglio, capo della polizia o è un boss?” “Io sono capo della polizia e di tutti i boss”. “Ah capisco, è il presidente!” risposi dando un’altra occhiata al suo abbigliamento, alla macchina fuoriserie non c’era dubbio, e all’autista immacolato che usava lo stesso suo candeggio. “Io sono il capo di tutti i presidenti” mi ribatte ancora lui. Allora iniziai a fissarlo pronto a prevenire una sua improvvisa mossa dato che sicuramente era un matto pensai, o proprio il maniaco che tutti dicevano, ma di certo il presidente non sarebbe mai venuto da queste parti. A volte le pettegole ci azzeccano. “Ok, ok amico, ti saluto”. “Perché vai di fretta figliolo, la vita si assapora piano piano” mi disse con un sorriso ammiccato. Ok pensai, questo è un frocio del cazzo, maniaco degli uomini e qui ha terreno fertile tra la povertà di noi derelitti. Gli guardai una mano che aveva con tutto il braccio appoggiato alla portiera della macchina, bianca peggio di una nuvola, era una mano che non aveva mai raccolto pomodori o preso in mano una chiave inglese, era una mano da ricco, si vedeva. Coi suoi soldi avrebbe potuto permettersi tutto. Avevo capito… era un politico, veniva pagato per fregare la gente e più lo sapevi fare, più ti pagavano. “Cosa fai?” mi domanda. Magari gli serve un segretario. Ma all’inferno, non potevo trovarmi un lavoro io, almeno non un lavoro comune come quello. “Sono una specie di scrittore umoristico, ma sono fallito già in partenza, la gente non è ironica!”. “Oh oh!” lo feci ridere. Aveva una risata familiare, tipo quella di Babbo Natale. “Sì, Babbo Natale l’ho creato io” mi disse all’improvviso, come fosse un manager dello spettacolo. “E non pensare più di mandarmi all’inferno, che con me non è proprio il caso.” Ma come cazzo aveva fatto? “Ehi amico sei un mentalista? Ma sì, lo dovevo pensare prima. Anche David Copperfield si veste in maniera ridicola come te” scoppiai a ridere. “David Copperfield è solo un mio imitatore” mi rispose sicuro di sé. Cazzo, questo deve essere proprio uno grande! Uno famoso. “Come ti chiami amico?” “Dio!” mi rispose. “Si tu, tu incalzai”. “Dio” ripete’. “Sì amico, ho capito che dici io, ma il tuo nome?” “Io sono Dio!” tuonò più forte. “E io sono Mosè” dissi. “Ma io sono il più grande” ribatte’ mister “Candore”. “Tutti possiamo essere grandi, tutti possiamo gareggiare, ma non ce ne danno l’opportunità. Leggi dei campioni del mondo del calcio, dell’automobilismo, del ciclismo, quando ci sono grandi parti del mondo in cui non si conosce il calcio, né le auto, né le biciclette e quella gente non ha possibilità di gareggiare. E chi ti dice amico che il campione del calcio, della bicicletta o il miglior pilota non sia uno che attualmente si spacca la schiena in una risaia? “Forse non hai capito amico, io sono il capo di tutti” iniziò a scaldarsi Dio. Solo dopo scoprii che ero stato in grado di fare incazzare pure Dio. Nella mia vita facevo incazzare gente non appena mettevo la mia penna su un foglio. Ma ripeto, era solo perché la gente non sapeva ridere, gente che litigava con sé stessa nello specchio. “Ok amico, non ti scaldare” cercai di assecondarlo. Doveva essere un esaltato con tutti i soldi che aveva. “Io sono Dio cazzo!” Allora a quel “cazzo” mi si aprirono gli occhi. Quel Dio poi non era poi tanto distante dall’umanità regressa di questo mondo, aveva qualcosa degli uomini che aveva lui stesso creato, e non meno l’incazzatura. “Se sei un Dio allora fammi un miracolo” dissi. “A me nessuno può mettermi alla prova, nemmeno il diavolo” disse incazzato. “Ok amico, il diavolo in questo quartiere si darebbe a gambe levate, mentre io resisto ancora e sono più nel fuoco di lui”. “Va bene” mi fa con il fumo che gli usciva dalle orecchie, e alzando una mano trasformò tutto in verdi prati e le macchine si verniciarono di fresco, e i bambini si spidocchiarono all’istante e diventarono lindi e profumati, ed io mi ritrovai addosso un bel vestito e denaro a sufficienza in una tasca, ed ero più bello di Rodolfo Valentino. “Wow” riuscii solo a dire. Quel Dio benedetto aveva trasformato tutto in un paradiso, e ci aveva messo solo un attimo. Un attimo solo, che ci voleva, mentre sindaci e amministratori da anni radicati alle loro belle poltroncine non erano riusciti nemmeno a sradicare le erbacce dai marciapiedi. “Ti piace tutto questo?” mi chiese Dio. “Certo, che razza di domande fai?” “Hai visto allora?” domandò alzando di nuovo un braccio e facendo risparire tutto lentamente, mentre ritornava tutto alla stessa merda di prima. Stavo iniziando a bestemmiare quando questo Dio mi precedette. “Lo so a cosa stai pensando, ma tutto ha un disegno, un disegno di Dio, cioè mio”. “E’ pure artista, pensai”. “Se dessi tutto questo a tutti, chi resterebbe povero poi? E chi popolerebbe il paradiso se tutti fossero ricchi?” “Cazzo, fai un ricco in più, almeno io”. “Tu sei in un mio disegno” mi rispose. “Brutto figlio di una vergine” iniziai a infierire”. “Vai Gabriele” ordinò al suo chauffeur mentre questi sgommava a tutta birra. “Vai Gabriele, qua la gente ancora non riesce a capire i misteri divini”.
“Brutto figlio…”
E da allora nemmeno più le pettegole del rione avevano un argomento diverso di cui sparlare, e ritornarono ai soliti discorsi, alle solite robe del quartiere.
In questa fogna di città, non cambia mai niente!

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