Racconto di Raffaella Bagni
(Prima pubblicazione – 4 febbraio 2019)
Quella era una sera speciale, invece di essere messi a letto come ogni sera, subito dopo cena, mamma e papà portavano i miei fratelli e me, fuori, a vedere la neve. Già di per sè quello era un evento speciale perché papà non era amante delle uscite in mezzo alla gente, né di giorno ne di sera, preferiva di gran lunga trascorrere il suo tempo libero in casa con noi bambini e con mamma.
Sulla sedia a dondolo di vimini intrecciata che per noi era come una dolce giostra, la sigaretta immancabilmente stretta tra le dita, papà vegliava su di noi e dettava legge senza proferire parola.
A turno potevamo salire sulle sue ginocchia per dondolare appoggiati alla sua pancia morbida e accogliente come un cuscino, non diceva nulla, ci sosteneva col suo abbraccio forte e questo bastava a renderci felici, dal suo tocco silenzioso trapelava tutto l’amore per noi figli.
C’era tantissima neve, avevamo indossato gli stivali alti, quelli di gomma verde, brutti, ma molto utili quando pioveva e quindi adatti anche per la neve così alta di quella serata magica. Abbiamo fatto una bella passeggiata tutti insieme proprio in occasione di quell’evento atmosferico così raro nel nostro paese. La neve al mare è un’esperienza paradisiaca che raramente si ha la fortuna di vivere, raro come papà che aveva voglia di uscire.
Abitavamo in un piccolo paesino sul mare, pochi giorni prima di Natale ci preparavamo al viaggio più bello dell’anno, 300 chilometri in macchina tutti insieme per una mini vacanza dai nonni in città. Tre ore in macchina senza giochi elettronici, senza cellulari, ne stereo, erano decisamente lunghi, ma a noi bambini non sembrava così, avevamo inventato tanti giochi con quello che avevamo a disposizione, chi vedeva prima una macchina gialla o verde, chi leggeva prima la sigla della provincia scritta sulla targa delle macchine che passavano ai lati, chi sapeva dire per primo il significato dei cartelli stradali …. erano giochi bellissimi e tacitamente accettati. Papà guidava fiero e silenzioso il suo Ford Taunus color crema station wagon, una familiare che amavamo tutti e che era parte della famiglia. Lui era il pilota, il capo della spedizione, quello con tutti i privilegi perché doveva guidare appunto, noi dovevamo stare attenti a non calciare lo schienale del suo sedile, infatti il posto dietro di lui era riservato al più grande fra noi, che sapeva stare più fermo, non dovevamo urlare o ridere troppo forte, non disturbarlo insomma, una volta arrivati a Modena entravamo finalmente in città, un posto misterioso e magico per noi. Quella era la Città che lo aveva cresciuto, la città dove lui era stato bambino come noi, quando ancora non aveva tutte le risposte, quando ancora era più simile a noi perché non era un supereroe. Quella città lo conosceva meglio di noi ed era proprio lì che aveva ricevuto i superpoteri.
Noi figli avevamo sempre bisogno di lui, del suo permesso, del suo consenso, del suo parere su ogni cosa, perché lui sapeva ciò che era meglio per tutti. D’altra parte anche mamma chiedeva sempre a lui, non rispondeva mai alle nostre richieste senza prima essersi confrontata con papà, perfino nella scelta della spesa da fare e cose da mangiare lui decideva e solo qualche volta, in occasioni particolari mamma faceva uno strappo alla regola comprandoci per colazione dei biscotti secchi da inzuppare nel latte in sostituzione del pane vecchio. Quella sì che era una colazione da leccarsi i baffi! Ricordo ancora il suono dei cucchiai che affondavano nella tazza per rompere i biscotti, sarebbe bastato aspettare un minuto affinché diventassero poltiglia dolce, ma l’acquolina in bocca ci impediva di aspettare anche solo un secondo in più e allora tutti giù a scampanellare con i cucchiai per poterli gustare il prima possibile, che bontà!
Papà sapeva tutto, ma su una cosa sembrava confuso e continuava a sbagliare, o forse come tutti i supereroi sapeva solo fare il meglio per gli altri, trascurando se stesso, a suon di fare il supereroe però, a suon di mettere a rischio la propria vita, fumando tre pacchetti di sigarette al giorno, ecco, quel rischio si è trasformato in malattia e alla fine in morte. La sua morte. Se n’è andato ancora giovane, ancora bello e forte, con tante cose da dire e da insegnarci, io ero da poco diventata mamma, e papà mi aveva insegnato una cosa difficilissima, non così scontata, come pulire i carciofi. Seduto per terra, su una cunetta del campo vicino all’orto che negli ultimi anni era diventata la sua passione, con un coltello sporco di terra in una mano, mi fa sedere accanto a lui, con l’altra mano raccoglie un carciofo bello grande e spinoso, mi spiega come non farmi pungere e come poterlo trasformare in un piatto genuino per me e la mia nuova famigliola facendomi sentire privilegiata. Ci teneva alla nostra salute, sempre meno alla sua. Passa tutto il giorno in casa e nell’orto, da quando l’ennesimo infartino lo ha convinto che il casalingo è il lavoro più bello del mondo. Mamma va a lavoro ogni giorno tranne il mercoledì, fuori casa, lui si occupa di noi, cucina per tutti, viene ai colloqui a scuola, ci avvia verso il futuro. Ogni cosa che fa’ per tutti noi, trasuda amore, ancor di più di quando lo fa una mamma, proprio perché a quei tempi un Papà Casalingo non si è mai visto.
Nel periodo in cui studiavo per diventare infermiera mi sono resa conto che lui alla sua salute stava facendo proprio un gran torto, un giorno avevo persino avuto il coraggio di nascondergli le sigarette, terrorizzata dai rischi che correva come mi stavano spiegando a scuola, avevo il terrore di perderlo, ma da quella battaglia ero uscita sconfitta, ho imparato che i fumatori sono dei guerrieri testardi, irragionevoli, irremovibili. Mi aveva intimato di svelare il nascondiglio delle sigarette ed io in lacrime avevo ceduto. Non sono mai riuscita a disobbedirgli, perché avrei dovuto? Con i suoi silenzi lui trasmetteva la giustizia e correttezza di ciò che decideva per la famiglia, perché lui sapeva. Quando parlava del fumo, della morte, di quando lui inevitabilmente come tutti sarebbe morto, lo faceva con tono leggero, sapendo esattamente come sarebbe andata. Come facesse non lo so, forse perché aveva i super poteri e vedeva anche il futuro. Diceva sempre in tono scherzoso: “se muoio io? Cazzi vostri! “ io non ho mai capito quella battuta strana, fino adesso. Solo da grande ho capito che lui ha scelto di vivere la vita che voleva, a modo suo, in campagna, in famiglia, rischiando, consapevole delle proprie scelte ha vissuto una vita felice. Voleva anche sdrammatizzare sull’idea della morte, per non farci soffrire troppo, occupandosi di noi ancora una volta, voleva spostare l’attenzione da quel fatto in se a noi stessi, noi che avremmo continuato a vivere senza di lui, senza la sua guida e il suo sostegno. Cavolo! Aveva indovinato ancora una volta, quando non c’è stato più ci siamo tutti sentiti un po’ persi, si era spenta una luce forte attorno a noi, il nostro faro, la nostra stella polare. La vita va avanti ed ognuno di noi ha dovuto fare i conti con se stesso, con le proprie capacità, le proprie risorse, in fondo eravamo stati allevati da un supereroe e non poteva essere che così, Saremmo diventati supereroi anche noi, con i suoi insegnamenti e il suo ricordo nel cuore, in ogni scelta fatta da lì in poi senza di lui.
Ciao Papà 24/08/1996
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