Racconto di Gigi Pietrovecchio

(Sesta pubblicazione – 24 gennaio 2020)

 

“Il mio nome è War Tryar. Sono il Vicecomandante di astronave Eiréne, l’entità biotronica. Sono un uomo, ma non sono un Kòrosian 2 come il Maggiore Thuryan, il mio Comandante; no, io provengo da Bella Randagia, l’unica grande luna del piccolo pianeta Sydmònio, una delle tre terre del sistema della gialla Uddàuna, sperso nella galassia del Minotauro danzante, veramente molto, molto distante dalla casa natale di Ran.

Perché il mio mondo si chiama così? Beh, fin da quando qualcuno ne ha memoria il nostro satellite ha sempre avuto un percorso abbastanza erratico e ciò è dovuto alla composizione estremamente variabile del corpo celeste al quale fa riferimento, Sydmònio appunto; situazione per cui la forza d’attrazione è ora incredibilmente potente e poco dopo può presentarsi imprevedibilmente labile.

Malgrado tutto questo, le condizioni dell’ecosistema si mantengono praticamente stabili; infatti la stella che costituisce il centro dell’insieme planetario è, gravitazionalmente parlando, molto forte ed assai giudiziosa.

Per vostra legittima curiosità, siamo conosciuti ovunque come i Randagi! Sarà forse anche per questo che sto con il Corsaro.

Ma andiamo con ordine.

Tanto, tanto tempo fa io (e tanti altri, e tante altre, ad insaputa l’uno dell’altro) mi imbattei in una richiesta di personale, o meglio, un qualcosa di più: una ricerca di collaboratori e collaboratrici per costituire, o per inventare, un equipaggio spaziale. Detto così spiegava tutto e niente. Eppure uno strano ed inconscio o subconscio richiamo mi invitava a contattare l’inserzionista ed a presentarmi al colloquio di selezione. Io in verità non brillavo particolarmente in nessun settore dello scibile aerospaziotemporale, però la cosa mi interessava e, soprattutto, mi attirava.

E così, dopo non molti giorni, giorni di Kòros 2, io, un uomo dalla pelle olivastra e dagli occhi verdi ed alto un metro terrestre e 90, mi ritrovai di fronte ad un altro uomo, dalla pelle blu, dagli occhi castani, dai capelli biondo scuri, alto poco meno di me e di un indescrivibile sguardo magnetico.

Mi disse solamente: “Bene arrivato, Randagio!”

Come sapesse da dove venivo…

Questo si rivelò poi un elemento assolutamente marginale perché, con mia grande sorpresa, scoprii poco dopo di essere l’unico uomo presente! Il resto dei candidati apparteneva a tre differenti popoli, solo ed unicamente a quei tre, ed assolutamente diversi tra loro. Ed in tutto eravamo un centinaio, non una decina.

Alcuni erano dei similorsi che si elevavano a quasi tre metri, grandi e robusti, ricoperti di una folta pelliccia bruna, evidentemente dotati di una forza fisica direi mostruosa; mi dissero poi che erano dei Kodd, pure loro nativi di Kòros 2. Bravissimi piloti e manutentori di propulsori intergalattici.

Il secondo gruppo apparteneva ai licantropi, i lupi saltanti, i lupi canguri: i Demanranpày, ordinariamente chiamati Déman, comunemente i Canglùpi degli spazi. Di varie colorazioni, dal bianco fino al nero, a pelo unito o maculato o striato, da un metro e 20 ad uno e cinquanta, agili, nervosi ed attenti, e tremendamente pericolosi e tutti e tutte originari di Pày Tsòn, il loro esclusivo pianeta.

E questo già vi fa capire che razza di simpaticoni siano. Loro sono specialisti in tutti i sistemi d’arma conosciuti, e tanto vi basti.

I componenti dell’ultimo blocco erano degli Ontar, gli umanoidi e le umanoidi arancio, m 1,60 – 1,70, molto leggeri, da 30 a 40 chili, ma non allampanati, esteticamente insuperabili, autentici ed imbattibili fenomeni nel campo delle conoscenze parainformatiche e psicotroniche ed a me già noti in quanto abitanti di una terra non molto lontana dalla mia: Ontar, come tutti loro aggiungono Ontar al proprio nome. Caso mai fossero in due con lo stesso nominativo il secondo, in ordine di tempo, aggiungerebbe O’Ontar invece di Ontar soltanto.

Ed il terzo? OO’Ontar! Chiaro, no?!

Ah, mi stavo già dimenticando di dire, per chi non ha famigliarità con loro, che hanno quattro dita per mano (ovviamente il pollice è opponibile) e delle ciglia sottili, nere e molto lunghe; infatti sono umanoidi e queste due particolarità li distinguono da noi uomini comunemente detti.

Capii comunque in breve tempo che i presenti non avevano risposto ad una offerta di impiego, bensì ad una cortese ed indeclinabile convocazione!

Infatti Ran Thuryan non andò al di là di un benvenuto per tutti e tutte, come sapesse fin dapprima chi fossimo, da dove venissimo, da quale vissuto, che capacità avessimo; solo ci invitò a presentarci all’astronave sulla quale avremmo in seguito spesso vissuto e volato.

Fuori, sul piazzale dello spazioporto incontrammo Eiréne. Non era niente di particolare, lunga più o meno 200 metri, con un’apertura alare di circa 150, alta alle derive sì e no 30. Insomma niente di speciale; di un grigio anonimo che più anonimo non si può.

Allora l’uomo blu ci propose di pensare intensamente alle caratteristiche che, secondo noi, secondo la nostra esperienza, avrebbe dovuto avere una spazionave per operazioni speciali, dal contrabbando all’infiltrazione, dall’attacco all’esfiltrazione, dalla difesa alla festa.

Di primo acchito rimanemmo travolti e sorpresi da una simile richiesta; poi, con calma, iniziammo a riflettere. E lì incominciò per noi un coinvolgimento del tutto nuovo ed imprevisto.

Parallelamente e contemporaneamente alle nostre elaborazioni cerebrali il velivolo ologrammizzava le nostre intuizioni, cambiava forma e colore, si illuminava in mille modi diversi ed emetteva suoni, luci e rumori da brividi.

I meno colpiti da tali manifestazioni erano, ovviamente, gli Ontar e, Thuryan, men che meno. Noi tutti percepivamo, in ogni modo, che tra Ran ed astronave Eiréne correva una relazione iposensibile ed una complicità profonda al limite della congiura.

E giusto per assestare l’ultimo colpo alle nostre coscienze, per altro già scosse dall’impegnativa giornata, il Comandante (perché ormai noi tutti lo chiamavamo così) ci lasciò la non semplice responsabilità di decidere tra noi la gerarchia.

Se, fino ad un attimo prima, si trattava di fantasticare, sognare ed immaginare ora ognuno ed ognuna di noi doveva confrontarsi, nel più assoluto silenzio, con gli altri e, soprattutto, con se stesso.

Intanto l’uomo blu salì a bordo della sua nave e dopo una decina di minuti ne ridiscese recando inusualmente un foglio di carta, evidentemente stampato, più volte ripiegato su sé medesimo.

Trascorse un po’ di tempo, ne trascorse un bel po’. Poi, su un piccolo schermo portatile, consegnammo il risultato dei nostri confronti e delle nostre decisioni.

Lui lesse attentamente il nostro elaborato, la nostra fatica di non poche ore e, con disarmante semplicità, aprì il modello di stampa e ce lo passò: i nominativi, i gradi (per altro a noi sconosciuti) e gli incarichi specifici, da noi indicati, collimavano esattamente con quanto ci aveva appena dato a verificare!

Da allora in poi sono il vice del Corsaro. Perché? Perché tutti e tutte decisero che il solo uomo facente parte dell’equipaggio (oltre beninteso a Ran Thuryan, il Maggiore Comandante Ran Thùryan, come fu subito inquadrato) fosse il naturale asse d’equilibrio fra i popoli rappresentati a bordo.

Il Capo offrì a tutti un bel bicchiere di miràba, ma con quell’intruglio fu l’unico a gradire la bella bevuta; noi ci applicammo ad altre bevande, più dolci, più amare, più piacevoli, ma meno, molto meno coinvolgenti, trascinanti ed impegnative.

E da lì non abbiamo mai avuto grossi problemi. Sì, d’accordo, piccole dispute di carattere alpha o beta; qualche piccola avventura sentimentale, soprattutto fra gente non compatibile. L’amore può anche agitare un/una Ontar con una/un Kod e viceversa.

Ma Ran e Mìneren, almeno da quando anche lei ci ha raggiunti, sanno consigliare chiunque”!

(Verso la fine)

“ … Ah, se la vostra ultima domanda avrebbe potuto mettermi in imbarazzo… vi rispondo che no! Magari non apparirà più del dovuto, forse anche di meno, ma anch’io ho una compagna: la Capitana D’doràn Ontar… I nostri due ragazzi, uno di 14 anni, anni di Kòros, ed una di 12, sono stupendi; evidentemente, tranne che per gli occhi verdi, hanno preso dalla mamma! Chiaramente hanno quattro dita per mano… e le ciglia sottili, nere, lunghissime…

Come si chiamano? Hìnny e Werùna Tryar’Ontar.

Ecco, tutti voi mi avete invitato a questo incontro. Io vi ringrazio della stima che mi avete accordato e dell’opportunità che mi avete offerto. Da parte mia spero di essere stato esauriente, e, se ci incontreremo ancora, non chiedetemi mai, ma proprio mai, di festeggiare con la miràba!”