Racconto di Serena Nencioni

(Terza pubblicazione)

 

Quel luogo era la sua casa, ma lui preferiva definirlo “il suo regno”. Era così da tempo immemore: era uno spirito da così tanto, non ricordava neppure di esser mai stato umano. Forse non lo era mai stato, dopotutto.

Le anime che lì riposavano fuggivano da lui. Ogni tanto riusciva a intravederle, pallide ombre dietro ai cipressi: ma appena si accorgevano della sua presenza svanivano, preda di un terrore che poco aveva del loro stato e molto ancora di umano. Era così soprattutto per i nuovi arrivati: in loro la residua umanità era ancora forte, e spesso li vedeva attaccati alla vita che non avevano più con una pervicacia che rasentava l’ostinazione di un bambino. Non che non ci fossero anche bambini, naturalmente: quelle erano piccole anime che non si rendevano ancora ben conto di essere morte, e molte volte tentavano imprese come se non lo fossero. A volte ne scorgeva un gruppetto intento a giocare come i bambini vivi, ed era assai strano vedere fanciulli non solo di diverse età, ma anche di diverse epoche, con abiti di fogge e tessuti molto differenti. Eppure la morte li rendeva tutti uguali, formando così quelle strane adunanze.

C’erano poi altri bambini che cercavano i genitori, notte dopo notte, in un continuo e straziante girovagare senza fine. Per queste ultime creature piangenti egli provava la sensazione più simile alla pietà che gli fosse dato conoscere.

Occorreva premettere che lui non aveva mai fatto del male ad un’anima, lì dentro: non ne sarebbe stato capace e in ogni caso non ne aveva l’interesse. Loro del resto non potevano ferirlo, quindi non avevano ragione di temere l’uno degli altri. Se fosse stato capace di sentimenti, forse l’essere costantemente evitato avrebbe anche potuto renderlo triste e farlo sentire solo: ma poiché non ne era in grado, quel sacro terrore che suscitava negli “inquilini” lo galvanizzava, lo faceva sentire potente. Qualche volta si sentiva magnanimo e faceva platealmente mostra di tollerare che attraversassero la sua strada: quanto alle piccole anime tristi di cui sopra, si limitava a starne alla larga. Non poteva aiutarle, ma non voleva nemmeno spaventarle, quindi semplicemente le lasciava in pace.

Una delle sue maggiori soddisfazioni era far credere a quelle anime ciò che voleva lui. Ad esempio, loro non sapevano che poteva apparire solo di notte, ma sapevano che se voleva diventava visibile anche ad occhi umani: per questo temevano per i loro cari, quando c’erano visite nel cimitero. Lui era feroce, se decideva di esserlo: se un visitatore oltrepassava il cancello nelle ore notturne, non mancava mai di manifestarsi. Gli esseri umani erano molto più impressionabili e creduloni delle anime che riposavano in quel luogo, e terrorizzarli gli dava un enorme piacere. Lo faceva soprattutto se nel Camposanto entravano dei ragazzini, magari per qualche stupida prova di coraggio: con loro aveva gioco facile, era uno scherzo emettere sussurri al loro orecchio, o far spostare le fronde quando non c’era un alito di vento. Certo, con il tempo anche i ragazzi si spaventavano più difficilmente, ormai storditi da decine di film horror visti al cinema o in tv: ma anche lui si era messo al passo, e riusciva ancora a infondere una sana dose di fifa. Raramente tornavano una seconda volta.

Così, quando vide entrare quella coppia e il sole stava già per calare, aggrottò la fronte e pensò di trovarsi davanti a due di quegli sciocchi adolescenti, magari venuti fin lì per darsi ad atti osceni fra le tombe. Sapeva che c’era chi aveva quella assurda perversione, e si preparò a impartire loro la meritata lezione.

Ma poi gli venne uno scrupolo. Pensò che forse era meglio aspettare, tenerli d’occhio, per capire che intenzioni avessero. Poi, forse, avrebbe agito.

Li seguì a distanza, mentre si aggiravano tra le lapidi. Non sembravano giovanissimi, ma non erano neppure del tutto adulti. Si rese conto che stavano cercando qualcuno tra tutti quei nomi, ma senza riuscire a trovarlo.

Iniziava a fare buio, e il ragazzo accese una luce. Era evidente che non avesse intenzione di andarsene di lì finché non avesse trovato ciò che cercava: la ragazza lo seguiva, silenziosa, paziente. Lo spirito cominciò a temporeggiare, a darsi scuse: in fondo non stanno facendo niente di male. Vediamo cosa succede.

Li vide setacciare ogni angolo, leggere ogni nome. Pensò che non avrebbero concluso nulla e se ne sarebbero andati. Questo finché non entrarono in una delle zone con le sepolture a parete. Si fermarono davanti ad una lapide.

Dalla sua posizione egli non riusciva a vedere bene cosa stesse succedendo, quindi, si avvicinò di più, con prudenza. Si concentrò per capire cosa si dicevano, ma non c’erano parole. Semplicemente vide la ragazza avvicinarsi al ragazzo, e lui allungare il braccio per stringerla a sé.

Sapeva cosa significava quel gesto. Era un abbraccio, una cosa che aveva visto fare mille volte, ogni volta che nel suo regno arrivava un nuovo ospite. Gli umani ne facevano largo uso per confortarsi in un momento di dolore e quella sembrava proprio l’occasione.

Restarono vicini per qualche secondo. In quel momento egli si rese conto anche del perché non stessero parlando: i loro cuori stavano comunicando e non c’era bisogno di altro.

Dovettero poi convenire che era il caso di andare: il sole era ormai scomparso, e in ogni caso c’era sempre il rischio di inciampare e farsi male. Ritornarono, quindi, sui loro passi, e lui continuò a seguirli, pensando che avrebbe comunque potuto mettere loro un po’ di paura. Non molta, giusto un po’… per il suo divertimento.

Quando li vide varcare il cancello, si rese conto che non avrebbe fatto nulla. Per la prima volta nella sua esistenza aveva rinunciato a ciò che più amava fare, e li aveva lasciati andare.

Cominciò a sentirsi a disagio, percependo intorno a lui gli occhi perplessi e incuriositi delle anime. Percepì che non erano più certi di doverlo temere, che si stavano domandando se davvero fosse così malvagio.

La prossima volta, si disse. I prossimi sciocchi ragazzini che entreranno qui di notte per giocare a fare i satanisti. Darò loro una lezione indimenticabile, li farò fuggire a gambe levate. Tutti capiranno che è meglio non darmi fastidio.

Ma non oggi.

Per una volta poteva andare.

In fondo, era Natale.