Racconto di Giuseppe Borrelli

(Terza pubblicazione)

 

 

“Lo so… Lo so, nemmeno lei mi crederà… ma le giuro… io ho sentito… l’ho sentito veramente… ha parlato!!”.

Loris si guardò i piedi, quasi come a voler constatare che, effettivamente, stava camminando da tanto tempo e adesso cominciava a stancarsi.

Poi alzò lo sguardo verso la cima Manera, e la sua anima si riempì ancora una volta della luce meravigliosa di quei luoghi.

Il Monte Cavallo colmava gli occhi e l’anima con la sua ordinata e gentile bellezza; ma dava in ogni sua immagine, in ogni sua luce, una sensazione indefinita di remoto e di antico.

Una luce arcaica e perduta di ciò che era stato un tempo, molto lontano da adesso, e che ti faceva sentire straniero ed estraneo a ripercorrere sentieri, valli e percorsi che erano appartenuti a uomini di un tempo ormai perduto.

Poi Loris si riebbe da questi pensieri e, tornato nel presente, guardò il Sindaco Giovanni Carli, che stava camminando, da due ore, insieme a lui.

Sospirò sommessamente.

Gli venne quasi da ridere, ma con fatica si dovette trattenere.

Loris conosceva il Sindaco Carli da poche ore, a parte le telefonate intercorse nei giorni precedenti per fissare il primo accesso alla Baita della signora Tinke.

Si erano dati appuntamento al Passo Pramollo, dove avevano parcheggiato le auto e, da lì, erano saliti in direzione delle Crete di Pricot, fino quasi alla Torre Winkel.

Era un’ascesa di circa due ore, ma il Sindaco di Nieve al Colle, Giovanni Carli si sentiva in dovere di accompagnare il custode nominato dal Tribunale di Pordenone, per inventariare la cospicua eredità giacente della sua concittadina Clotilde Tinke.

E nonostante loro due fossero dei perfetti estranei, il primo cittadino, stava raccontando a Loris, placidamente e doviziosamente, di quella volta in cui, lui era convinto di aver sentito… una cornacchia…parlare!?!

Loris fermò il suo cammino improvvisamente, si girò di scatto verso il suo compagno di viaggio ed entrato completamente nella paranormale dimensione paranoica del suo interlocutore, gli chiese: “……..Mi scusi Sindaco… se è lecito domandarle… cosaaa??Sì, volevo dire cosa avrebbe…detto…insomma,…che parola ha detto la sua…cornacchia?!?”…”.

E con questo, Loris non riuscì più a trattenere la sua ilarità e proruppe in una fragorosa risata.

Ma il Sindaco Carli,  che intanto aveva ripreso il suo cammino con un atteggiamento enigmatico e quasi profetico, sembrò non essersi nemmeno reso conto della crassa risata di Loris, tanta era la soddisfazione che finalmente qualcuno avesse preso sul serio la sua vicenda, e gli avesse fatto quella fatidica domanda.

Il Sindaco Carli mise le mani dietro la schiena, alzò lo sguardo con il fare dell’uomo gravato dal fardello di un destino ineluttabile, e disse: “…Regione! ha detto Regione!”.

Poi, con espressione grave, il primo cittadino si fermò, e, giratosi verso Loris, soffermandosi su ogni sillaba, proferì la sua esortazione: “ Avvocato Crisci, comunico a lei, per primo, la mia intenzione di candidarmi alle prossime elezioni regionali. Lei mi accorderà la sua fiducia concedendomi il suo voto?!?”.

Loris si soffermò a riflettere sul fatto che si trovasse in luogo sperduto, in compagnia di una persona che aveva deciso di candidarsi alle elezioni regionali, solo perché asseriva di aver udito da una cornacchia, proferire, in maniera nitida e distinta, la parola: Regione!

In quel frangente, allora il custode giudiziario non ci pensò nemmeno a rispondere al suo interlocutore che lui vivesse a Carmagnola, in provincia di Torino e che, quindi, pur volendo, non avrebbe potuto, comunque, votare per le elezioni regionali in Friuli Venezia Giulia: “…Ci conti pure, signor Sindaco”.

Il Sindaco Carli ricevette la notizia con estremo compiacimento e, d’incanto, sembrò dissolversi quell’aria seriosa che si era materializzata, nella tranquilla passeggiata che stava portando i due uomini verso la Baita della signora Tinke.

Loris si girò, allora, di nuovo, in direzione delle poderose pareti del Monte Cavallo e rifletté in silenzio: “ Questo è matto da legare, ma guarda chi cavolo dovevo incontrare”.

Subito dopo, però, il giovane avvocato, mentre riprese la salita, fu di nuovo avvinto dalla particolarità del luogo in cui si trovava: vide le vette del Cavallo, le sue poderose pareti. Ripensò a quanto aveva letto di quel posto, sin dal giorno in cui aveva avuto l’incarico di inventariarel’eredità giacente.

Il custode dell’eredità Tinke si era, infatti, meravigliato del fatto che il nome Cavallo non fosse dovuto ad una presunta somiglianza con l’animale equino, semmai l’insieme della vette dava più l’immagine del volto di un uomo coricato; ma derivasse dal celtico “Keap al”, che significava cima alta.

Il giovane avvocato aveva, poi, letto di come tra quelle montagne fossero stati ritrovati insediamenti risalenti all’era glaciale ed anche prima.

Addirittura si parlava di 40.000 anni fa e di uomini di Neanderthal!

Loris considerò che, anche oggi, quei luoghi sono impervi e difficilmente raggiungibili, pertanto non riusciva ad immaginare cosa potesse significare il trovarsi in quel luogo durante l’era glaciale. Quando i confini freddi e silenziosi del Polo Nord erano arrivati fin su quelle montagne.

L’Avv. Crisci guardava quei luoghi e si chiedeva per quale motivazione un popolo avesse deciso di vivere in luoghi tanto lontani e remoti da ogni altro insediamento umano? Per quale recondita ragione, quelle genti abbiano deciso di affrontare i rigori di una montagna, anche quando, in quel luogo, tutto il loro mondo era divenuto di ghiaccio?

Come avevano fatto a sopravvivere?

Perché non erano andati via in luoghi più caldi?

Come avevano affrontato la notte fredda, oscura e ghiacciata; lì, lontani da ogni altro essere umano?

In una landa di buio e di freddo senza fine.

Improvvisamente Loris si accorse che la vegetazione era scomparsa, gli alberi ed il bel paesaggio di montagna avevano lasciato la scena ad un paesaggio quasi lunare, fatto di  fredda roccia levigata e modellata da millenni di ghiaccio.

La sola cosa che rendeva più confortante la vista di quei luoghi era lo straordinario panorama che si poteva ammirare da quell’altezza.

Tanto da poter scorgere nitidamente anche i territori di altre nazioni come Austria e Slovenia.

Poi Loris la vide.

L’eredità giacente della sig.ra Clotilde Tinke.

Un complesso abitativo che nessuno aveva richiesto, in quanto l’anziana signora non aveva familiari rinvenibili entro il sesto grado di parentela. “…Come faceva la signora Tinke a vivere qui da sola? “ chiese Loris mentre si avvicinava all’ingresso della grande casa a due piani.

“ La signora Clotilde non amava molto la confusione”, rispose il Sindaco Carli sospirando, in tono rispettoso, quasi come non volesse disturbare la quiete di quel posto.

Il complesso abitativo era composto da una abitazione fatta di pietre vive e cemento, con delle pareti spesse e massicce, e con un grande tetto di legno.

Alle spalle della casa vi era una grande serra con le vetrate trasparenti, sui tetti di entrambi i manufatti, c’erano i pannelli solari, mentre alla destra della serra, vi era un piccolo, fabbricato, perfettamente squadrato, che Loris aveva letto essere un impianto domestico di biomasse, per smaltire i resti della serra e per produrre metano.

Il muro di cinta ed il grande cancello, che il Sindaco Carli aprì con le chiavi che gli erano state consegnate dai carabinieri che erano entrati nella casa, alcuni giorni dopo la morte della anziana signora; davano pienamente il senso di un bastione inaccessibile, stanziato in quei luoghi lontani. Lì nel freddo della notte di quei monti.

“ Quando pensa di scendere, Avvocato Crisci?” chiese il Sindaco Carli una volta che furono entrati nella grande sala d’ingresso della casa, e dopo aver consegnato le chiavi al custode.

“ Devo fare l’inventario, Sindaco” rispose Loris guardando la grande scala che saliva giusto al centro dell’atrio e le due stanze poste ai due lati di essa, al piano terra: “ Quindi non credo prima di domattina”.

“ Ricordi avvocato che qui non vi sono telefoni, né fissi, né cellulari, perché siamo troppo in alto”.

“ Lo so, Sindaco, ma devo fare questo lavoro, e non posso venire in un posto così lontano altre volte, quindi devo cercare di farlo in giornata, e siccome finirò in tarda serata; non credo sia opportuno scendere da qui con il buio”.

“ No, assolutamente”. Gli fece eco il Sindaco.

Poco dopo sull’ingresso del cancello i due si salutarono ed il Sindaco Carli, seppur Loris avesse assicurato di ricordare la strada per scendere, confermò che al massimo entro le dieci del mattino seguente, si sarebbe trovato dinanzi al cancello; anche perché gli faceva bene camminare in montagna.

Loris chiuse il cancello prima, e la porta poi, entrando così definitivamente nel piccolo mondo della sig.ra Tinke.

Il custode verificò che l’impianto elettrico fosse funzionante e che il serbatoio del metano da biomasse della serra fosse pieno, come gli aveva confermato il primo cittadino di Nieve al Colle.

Loris pensò che era incredibile come in un luogo tanto lontano, si potesse avere la corrente e l’acqua calda per cucinare e lavarsi.

Un urlo terrificante.

Loris saltò letteralmente per aria.

Veniva da fuori.

Era la voce del Sindaco.

Perché era ancora lì? Loris corse fuori dalla casa come un fulmine, aveva una forte inquietudine nell’animo, temeva un pericolo indefinito e letale.

Ma doveva correre.

Seppur non comprendendone i motivi, il custode chiuse dietro di sé sia la porta che il cancello.

Come a voler preservare la propria fortezza, in caso di un repentino ripiegamento.

Il giovane avvocato corse per qualche decina di metri in mezzo al grande pianoro, tra l’erba e le rocce.

Ma non vide nulla.

Ansimante si fermò, si girò a 360 gradi.

Non vide nulla.

Poi trasalì, lì a pochi metri da lui, sulle pietre… sangue… chiazze di sangue… per alcuni metri… poi più nulla fino a perdita di sguardo. Loris non sapeva cosa fare, non sapeva cosa temere.

Doveva scendere di corsa dalla montagna? Cosa era successo? Il Sindaco dov’era? Era fuggito? Era stato catturato? E da chi?

Il custode rivide ancora nella sua testa la stessa immagine di quando erano entrati nel grande altopiano.

Vide la notte. Vide la Luna che brillava nel grande altopiano.

Sentì il freddo della Notte.

Vide l’oscurità, il ghiaccio del Polo Nord, quegli uomini antichi che vagavano nel ghiaccio.

Lì in quel pianoro, persi nel tempo e nel ghiaccio, anime ibernate dai millenni.

Loris corse via.

Provò immenso sollievo nell’aver poco prima chiuso sia la porta che il cancello. “…la casa era sicura…” .

Il custode perimetrò la casa intera come un forsennato, come un cane che in un recinto cerca il gatto del quale ha fiutato l’odore.

Ma era tutto chiuso.

Tutto sbarrato.

Lì dentro Loris seppe di essere al sicuro.

Prese a piagnucolare da solo: “…Dannazione! cosa cazzo è successo? Che devo fare? Come chiedo aiuto? Questa, ce l’avrà avuto qualche radio o qualche impianto di trasmissione radiofonica da qualche parte? Se le succedeva qualcosa, come diavolo chiamava aiutooo!?”.

Poi rimase in silenzio per qualche secondo, e riprese, con tono di accettazione: “…D’altronde è rimasta qui morta per cinque giorni; quindi figurati se avesse il modo di chiamare aiuto!?!”.

Nella frenesia, non sapendo cosa fare, Loris, prese il verbale dell’inventario e cominciò a scrivere velocemente tutto quello che aveva visto nella concitata corsa di prima.

Poi, mentre scriveva, di tanto in tanto, si metteva la testa tra le mani o imprecava a voce alta.

Fece questo per l’intera giornata. Fino a quando non fece buio.

Poi si fermò, quasi tramortito dalla fatica e dallo stress.

Si fermò davanti alla finestra del primo piano, in camera da letto, si sedette a terra e guardò oltre il muro di cinta.

La Luna piena faceva brillare l’altopiano come fosse giorno.

E Loris sembrò calmarsi per un attimo.

Pensò ancora a quei luoghi migliaia di anni fa, all’era glaciale, ad una notte come quella, piena della silenziosa luce della Luna.

Si aspettava, da un momento all’altro, di scorgere le figure di quelle genti dimenticate, transitare e ripercorrere i loro antichi domini fatti di ghiaccio e di oscurità.

Il custode si aspettava di vedere anche la salma del Sindaco Carli, portata di peso da quegli esseri freddi, per un antico rituale di sacrificio a Dei Perduti e Dimenticati.

Loris sorrise della sua stupidità, abbassò gli occhi.

Poi li rialzò e vide il bagliore…

Il custode gridò, sbattette la faccia contro il solido vetro dei doppi infissi della finestra, ma non se ne preoccupò minimamente.

Perché quel bagliore si muoveva verso di lui.

Era una luce fredda, dalle tonalità bianche ed azzurre.

Un lampo freddo e sinistro in una terra vuota e deserta. E veniva verso il cancello.

Loris pensava di dormire, cercava di risvegliarsi in tutti i modi. Quel bagliore si stava avvicinando al cancello. Loris gridò: “…E’ un cane, Mio Dio!, è un cane!!!”.

Un cane o un lupo, Loris non riusciva a stabilirlo con certezza.

Era grande.

Si muoveva con austera autorità, come fosse il sovrano incontrastato di quelle terre solitarie.

E brillava nella notte. Brillava di una luce gelida e glaciale.

Il cane fantasma, sembrava ibernare ogni cosa al suo passaggio.

Il giovane avvocato notò che la luce del suo bagliore, ora che la creatura si avvicinava al cancello, era composta da una foschia luminosa: urlò: “…Che razza di mostro infernale sei…?!?”.

Il cane fantasma, davanti al cancello, guardò Loris dritto negli occhi.

Lo sguardo della creatura non era malvagio.

Era antico, freddo e austero.

Loris seppe di essere uno straniero in quella terra lontana e remota.

Cadde a terra esausto.

Si svegliò, era giorno, la luce riempiva la stanza.

Sentì una voce, da fuori.

Era il Sindaco Carli che lo chiamava.

Loris volò per le scale, aprì la porta e, poi, il cancello.

Il primo cittadino si mostrò quasi stufato, tanto aveva dovuto urlare per svegliare il custode.

Giovanni Carli aveva una vistosa fasciatura alla fronte.

Loris chiese con tono frustrato: “ Mio Dio! Sindaco ma cosa è successo? Io pensavo a una tragedia!!”.

“ E’ stata una poiana, Avvocato, una poiana maledetta… deve sapere che, da giovane, sono stato un valente falconiere.

Ebbene, ho visto quella poiana, ho allungato il braccio, e quella vigliacca è scesa a posarsi.

Mi ha guardato negli occhi, e mi ha mollato una beccata sulla fronte.

Mi ha fatto uscire il sangue a frotte.

Quella traditrice, poi, continuava il suo assalto, e sono dovuto correre via: c’è voluta parecchia strada e parecchi pugni per farla andare via…ma eccomi qui…puntuale…anche se ci ho messo mezz’ora per svegliarla??!”.

Loris rimase senza parole.

“ Ha fatto l’inventario, Avvocato?”.

Loris annuì con la testa, esausto: “…una specie…”.

Pochi minuti dopo, i due erano in cammino per ridiscendere dal pianoro.

Il custode si fermò un attimo, si girò verso la Baita della signora Tinke, poi guardò l’altopiano.

“ E’ tutto a posto Avvocato?” chiese il primo cittadino.

“ Sì, Sindaco, non si preoccupi”, rispose il custode sospirando, e poi chiese: “Mi dica una cosa…quella sua…quella sua cornacchia…le avrebbe, per caso, detto anche in quale partito deve candidarsi??!!?”.

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