Racconto di Silvio Fazio

(Quinta pubblicazione)

 

Fingo di leggere a letto.

Ma fingo con chi? Sono solo!

Fingo, sì, perché anche se leggo, i miei pensieri cercano nel libro parole come semi per far germogliare visioni, sogni, ricordi, desideri, tutti impastati tra loro. Ma questi impasti, lo so, sono incoerenti con quello che dovrei pensare. Incoerenti e anacronistici. Dovrei pensare alla salute, alla serenità, a come essere felice ogni mattina perché sono vivo e mi faccio la barba e la doccia da solo. E invece no! Continuo in quell’impasto a rivivere e a creare sogni come se il mio tempo fosse senza fine ed infinita la mia forza.

Tolgo gli occhiali e stendo il braccio per spegnere la luce. Lo guardo: è un braccio che non mi appartiene, un po’ mollo, con pochi muscoli, attaccato a una mano con le macchie dell’età e le vene che vengono fuori dalla pelle. Non è il mio braccio! Decisamente no!

Spengo la luce e rimango a pensare. Faccio bene a non guardarmi più allo specchio, se non di sfuggita, come se si riflettesse un’altra persona, che passa all’improvviso per poi scomparire.

Per me io sono ancora com’ero: bello, giovane, aitante, capo carismatico e direttore adulato da tutte le migliori agenzie di cacciatori di teste. Super intelligente, super bravo, risolutore di problemi, fine psicologo, amato dai collaboratori e temuto dai concorrenti.

Non mi sono mai sposato ma ho avuto molte donne belle e affascinanti con le quali sono rimasto sempre in buoni rapporti e ho generato figli, tanti, affettuosi, colti, educati. Ma perché allora mi sento così solo?

I cavalli dei miei pensieri corrono e vanno per strade che nessuno ha mai battuto. La mia sensibilità, intelligenza, cultura, fantasia, superano quella di chiunque altro. Mi è stato difficile relazionarmi con gli uomini: sono così poveri di conoscenza e di visione, così pieni di sé, ma li amo lo stesso e cerco sempre di fare qualcosa per loro, senza umiliarli. Certo, l’ho fatto e lo faccio con discrezione e nascondendomi: non posso rivelare tutto il mio essere e le mie vere origini.

A qualcuno ogni tanto confido di essere di Giove, anzi, più precisamente del suo satellite Ganimede, ma lo faccio quasi per scherzo, con il desiderio di dirlo, ma nel contempo di non essere creduto. Se mi fossi scoperto, sarei sicuramente finito in qualche clinica speciale, vivisezionato da un’umanità mediocre, meschina, invidiosa che non sopporta specie di vita a lei superiori.

Avrei potuto eccellere in ogni campo. Quando guardo film, documentari, sport, programmi politici, quando mi confronto con i “primi della classe”, mi viene proprio da sorridere. Avrei potuto essere premier anzi il Premier. Se avessi voluto sarei stato il più grande tennista, il più rinomato dei fisici, l’attore più premiato, l’artista più ammirato, il chimico più innovativo, insomma, il non plus ultra in ogni branca, settore, campo della vita. Ho però dovuto, e devo, tenermi nascosto, non palesarmi apertamente. Solo nella letteratura ho potuto svelare senza rischi la mia immensa capacità. Tra poche ore, infatti, ho un aereo che mi porterà a Stoccolma: almeno un Nobel me lo merito. E quindi sto preparando la valigia dove ho accuratamente piegato il mio frack da cerimonia.

Un bel riconoscimento voglio portarmelo a casa. Ma, mi fermo a pensare: come fanno ad assegnarmi il Nobel per la letteratura se non ho pubblicato mai nulla? Sono perplesso. Forse mi hanno letto nella mente, o forse hanno raccolto qua e là qualche frase, qualche pensiero che ho scritto, vecchi quaderni di scuola, appunti di lavoro, note per la spesa.

Non importa, IO vado! Per qualcosa, qualunque cosa, ma il premio me lo merito e me lo devono dare. Prendo la valigia, esco di casa.

Improvvisamente una voce mi ferma: “Ehi! Nonnino, dove vai con quel trolley? Lo sai che non si può uscire e poi, così, di notte, in pigiama.”

Cerco di parlare, ma non ci riesco, sento un braccio che passa sotto il mio e che dolcemente mi fa invertire il cammino, mi riporta nella camera e mi fa sdraiare sul letto.

Sento una mano calda che mi accarezza la fronte e la stessa voce dolce di prima che mi dice: “Non diciamo niente a nessuno, rimane un segreto tra noi. Poi domani mi racconti tutto. Eri sempre in partenza per Stoccolma? Se fai il bravo domani, a colazione,  ti faccio mettere il frack”.