Racconto di Ambrogio Bozzarelli

(Quinta pubblicazione)

 

Era sceso dalle colline, come ogni notte quando ne aveva voglia. Con la sua Fiat 500 blu scuro, dalla carrozzeria un po’ malandata a causa delle frequenti strisciate contro i rovi che invadevano sempre più la strada sterrata che portava alla sua casa lassù, isolata, quasi sperduta tra i boschi di castagni di Stella Corona. La luna risplendeva, immensa: l’aveva sentito alla radio che oggi sarebbe stata una luna gigante. Percorrendo la strada che portava ad Albisola rifletteva come quella notizia lo avesse spinto verso l’uscita serale. Sorrideva mentre affrontava la curva del Santuario della Pace.
“ Potrei portarla di nuovo su di qua”, lanciando una occhiata veloce alla sua sinistra. Là, attraversato i fiume, partiva la strada conduceva a Sanda ove lui aveva un piccolo monolocale, ereditato come la casa a Stella, dalla vecchia zia, l’unica parente rimastagli che lo aveva aiutato sino alla morte avvenuta due anni prima.
Erano stati anni durissimi, ma piano piano, seppur da solo, ce l’aveva fatta. Ancora uno sguardo di sfuggita al globo, davvero gigantesco quella sera, della Luna.
Non pensava di rimanere deluso, anzi, era sicuro di trovarla. Il suo viso già un po’ largo, solcato da una lunga cicatrice sulla guancia destra, a quel pensiero si distese in un sorriso ancora più ampio e subito dopo prese a fischiettare un motivo un po’ confuso, fatto com’era di due o tre canzoni messe insieme. Non poteva far altro: prima, quando era più giovane, prima di quel lontano giorno, fischiava benissimo ogni canzone che ascoltava.
Prima.
Non c’era tanto traffico, del resto era anche abbastanza tardi e, nonostante si fosse nel pieno della stagione estiva, da anni ormai Albisola, Celle e persino Varazze a quell’ora già rimanevano praticamente deserte. Non era più come negli anni sessanta quando i turisti, che erano più numerosi, rimanevano a passeggiare, anche sino a dopo mezzanotte; quando lui con gli amici facevano il bagno di mezzanotte. Adesso non lo faceva più nessuno. Il clima era cambiato anche in Liguria e alla sera l’umidità calava appena dopo un’ora o due dal tramonto del sole rendendo la sabbia come se fosse piovuto.
Superata la curva all’altezza della bellissima villa Faraggiana impegnò il rettilineo alberato in direzione mare. Giunto all’incrocio con la via Aurelia girò a destra verso Albissola Marina. Poi, nell’attraversare il ponte alla foce del Sansobbia rammentò quando, giovane, con gli amici di allora Gianni, Patty, Paolo, Giulia, Antonia e qualche altro di cui al momento non ricordava il nome, si trovavano all’altezza del ristorante “ Ai Pesci Vivi”: chi a piedi, chi con la vespa 50, chi in moto e con qualcuno che aveva preso l’auto del padre, per andare poi a folleggiare sulla spiaggia; e si beveva un po’ di vino, della birra, persino grappa, a volte c’era chi aveva portato anche la chitarra. E poi verso mezzanotte, alcuni più o meno sbronzi, altri completamente nudi, un tuffo in quel mare che complice la sera era quasi sempre immoto, privo di onde, un mare scuro, nero in cui nuotare senza nulla vedere: un atto di coraggio per vincere ancestrali paure.
“Altri tempi”, ma non nutriva rancore, gli era rimasto il ricordo e come ogni ricordo per lui era qualcosa di importante, di vissuto. D’accordo ora, a trent’anni la mente era sempre un po’ confusa, ma ce la faceva ancora, per esempio lui aveva sempre la patente, guidava.
Teneva il volante con una mano sola mentre con l’altra si grattava la nuca sotto quei pochi capelli rimastigli. La passeggiata, la celebre, una volta, passeggiata dei ceramisti era silenziosa e vuota, solo qualche anziano che portava a spasso il proprio cane sotto le luci tremolanti dei lampioni; alla sua destra superati i portici, tristemente vuoti, scorrevano i negozi tutti chiusi, una gelateria sconsolatamente deserta e ristoranti con i tavolini all’aperto privi di avventori. Guardò l’ora: le 23,30.
Superata la zona ove una volta vi era il famoso ristorante “ Ai Pesci Vivi” , praticamente l’ingresso di Albissola Marina per chi proveniva da Savona, rallentò la marcia della vecchia 500.
Era stata una mezzanotte di tanti anni prima, quando con i suoi amici era andato a fare il bagno “ di notte” sulla spiaggia della Madonnetta. Aveva compiuto 19 anni e voleva festeggiarli con qualcosa di importante. Soprattutto voleva attirare l’attenzione di Antonella. Quella piccola biondina che da pochi giorni si era unita alla loro compagnia. Gli era piaciuta subito, forse perché era l’unica ragazza bionda tra di loro, o forse per gli occhi verdi, non lo sapeva né lo seppe mai più.
Quella notte Giulio nuotò sino alla Madonnetta e sfidò i suoi amici, tutti, a tuffarsi da lassù: dal punto più alto dello scoglio. Lo facevano spesso anche se si doveva stare un po’ attenti visto che il fondo non era poi tanto profondo e sotto, intorno, non solo sabbia ma anche pericolosi spuntoni rocciosi; lui, però, era anche un abilissimo tuffatore. Ma di notte sarebbe stata la prima volta. Non ci fu mai gara. Lui fu il primo e l’unico.
Un calcolo sbagliato? Una distrazione? Quando aprì nuovamente gli occhi erano trascorsi 5 anni e al suo capezzale c’era più soltanto l’anziana zia.
Certo era stata dura, ma era riuscito a sopravvivere, anzi a vivere. E poi aveva conosciuto anche le gioie del sesso. Beh, certo solo quello a pagamento. E anche così aveva dovuto soffrire non poco.
Lui ci si buttò a capofitto, come fosse l’unica ragione della sua vita, tanto che ormai poteva considerarsi uno dei clienti più assidui anzi, senza tema di smentita, il più assiduo cliente dell’amore a pagamento. Le prime volte, per la verità, incuteva timore, forse per la lunga cicatrice che gli segnava il volto ma soprattutto per il fatto che non parlava: si esprimeva con strani versi che a fatica uscivano da quella larga bocca e molte donne si erano rifiutate di andare con lui. Paura che poi, improvvisamente, grazie al fatto che qualcuna più coraggiosa o forse soltanto più bisognosa di racimolare un po’ di contante si prestò all’esperienza, si dissolse come neve al sole. E così anche gli strani versi tra il gorgoglio e il gutturale con cui quell’uomo cercava di comunicare finirono per essere accettati anche se gli costarono il soprannome : “il cinghiale.”
Angela era stanca, stanca di ascoltare le lamentele di Luisa, la sua compagna che era appena tornata da un giro con un cliente.
« Brutta serata, non passa nessuno.»
« Ma se sei appena tornata! » Angela era bionda, lunghi capelli lisci, un viso fine e dolcissimo, due occhi incredibilmente verdi, alta, slanciata: un corpo quasi da modella.
« Beh, per quel che è servito… il solito, capisci? Tu almeno l’altro ieri hai raccolto un sacco di grana con due soli giri!» E proruppe in una risata allegra, persino un po’ sguaiata, tanto da far sussultare il suo bel seno. Luisa era più piccola dell’amica: mora, capelli a caschetto, rotondetta con un seno prorompente che non sdegnava di mostrare grazie alle sue sempre abbondanti scollature.
Loro erano due libere. Nessun magnaccia le controllava. Si erano conosciute quasi per caso all’apertura di una casa di aste in Albissola Marina, non sapevano di svolgere la stessa professione.
« L’altro ieri, già…» – parve riflettere – « Quel vecchio porco di turista torinese che è venuto qui con moglie e figlie. Di giorno al mare buon padre di famiglia e poi di notte… Mi sono chiesta cosa cavolo racconta alla moglie per tornare in albergo così tardi. Mah, comunque non lesina in spese, anzi! Ce ne fossero… »
« Eh, va beh! Questo è uno, ma l’altro?» L’interruppe Luisa che nel frattempo si era accesa una sigaretta.
«Quale altro?»
«Non fare la gnorri, poi ti ha imbarcato anche un altro!»
Angela si accomodò la corta minigonna rossa : « Ah dici… » lasciando in sospeso il discorso ma atteggiando il volto ad una espressione di complicità verso l’amica.
«Eh certo, parlo proprio di lui, mi sa che a forza di frequentarvi è nato qualcosa o mi sbaglio?».
Angela non rispose, si era avvicinata un’auto di grossa cilindrata, si trattava di una nera BMW, rallentò e si fermò a fianco delle due donne. Il finestrino del guidatore scomparve tutto entro la portiera, il viso di un ragazzo giovanissimo, poteva avere sui 20 anni, di bell’aspetto, capelli ricci, si protese all’infuori: « Senti tu, aveva una parlata tipicamente lombarda – no, non dico a Te – muovendo leggermente la testa verso Angela che aveva fatto un passo verso l’auto « a me piacciono le more». Continuò indicando con la mano protesa fuori dal finestrino Luisa, la quale con un sorriso aperto, posate le mani sul suo seno quasi a spingerlo verso il giovane. « Eccomi », lanciò uno sguardo veloce ad Angela, una strizzatina d’occhio per poi infilare la testa nell’apertura del finestrino.
Angela si ritrasse e lasciò il passo all’amica che prese a mercanteggiare.
« D’accordo, si può fare!» la porta dell’auto che si apre, Luisa che si siede a fianco del guidatore, un veloce saluto con la mano verso Angela e l’auto si avvia.
Adesso Angela era rimasta sola. Lì, all’altezza di quel vecchio night club, dall’evocativo nome di Lady Moon, oramai chiuso, abbandonato da anni, ridotto ad un parallelepipedo fatiscente con inferriate arrugginite e pareti con scritte oscene e qualche tentativo di murales, mosse due passi tanto per far qualcosa, osservò l’orologio. Quasi mezzanotte.
Lui lentamente procedeva verso Savona guardando con attenzione il marciapiede sul lato mare.  “Potrebbe essere già qui” pensava, anche se era sicuro di trovarla al solito posto, magari con la sua amica mora che lo prendeva sempre in giro. Un po’ gli dava fastidio, adesso poi non la sopportava proprio più, e pensare che era stato prima con lei. Ricordava bene quel seno volitivo, sodo nel quale immergere il suo volto, ricordava persino il suo profumo. Ma ora tutto era cambiato.
Ecco laggiù sulla destra lo scoglio della Madonnetta illuminato dalla luce di quella grande luna. Una curva a sinistra, poi a destra e lì, prima della galleria lo slargo del Lady Moon. Non passavano auto, superò la carreggiata invadendo l’altra corsia per andare a posizionarsi davanti all’entrata del vecchio night club. Angela sbucò da un lato, aveva riconosciuto la vettura.
Si avvicinò e senza proferire parola salì sulla piccola Fiat 500, gli sorrise e con un gesto della mano gli fece capire che si poteva andare.
E come ogni volta avrebbe trascorso le ore con lui, vicino a lui a raccontare un po’ della sua vita; e come ogni volta non avrebbero fatto sesso, lui voleva soltanto stare ad ascoltarla, se ne stava seduto, ogni tanto emetteva qualche suo verso particolare, spesso mangiavano insieme qualcosa. Poi lui pagava, la riaccompagnava al solito posto, a volte invece direttamente in città perché lei abitava a Savona ma non gli aveva mai dato l’indirizzo né lui le aveva mai fatto capire di volerlo. Angela non lo aveva mai detto a nessuno. Molti pensavano che tra loro ci fosse qualcosa di più di una semplice frequentazione sessuale ed era vero.

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