Racconto di Ambrogio Bozzarelli

(Nona pubblicazione)

 

“Poteva sentirsi soddisfatto?”
Se lo chiedeva mentre in bagno, davanti ad un grande specchio rettangolare che faceva apparire molto più ampio della realtà quel piccolo locale, si stava facendo la barba.
“ Forse sì”, spostando un poco la bocca per meglio far scendere intorno alle labbra la lama del rasoio a mano libera. Un vecchio ma affilato rasoio, eredità del padre che gli aveva insegnato come utilizzarlo senza tagliarsi. Ricordava ancora all’inizio la paura che lo attanagliava, la mano tremante e suo padre, allora appena cinquantenne con quell’atteggiamento sempre sprezzante, gli occhi stretti di un nero corvino:
“ Adesso non fare l’idiota. Sii saldo, come ti ho sempre insegnato, e prova dai: ora o mai più, e ricorda che se ti tagli è solo colpa tua“.
Ordini, sempre ordini. Era un duro, lo era sempre stato, soprattutto da quando era morta la mamma. Ogni volta che ci pensava la rivedeva come in una specie di apparizione: e comunque tutto l’opposto del padre. Giulia era alta, slanciata, con un fisico perfetto, almeno quello era il suo ricordo, lunghi capelli biondi, sottili e lisci che quasi arrivavano a lambirle il fondo schiena e dolcissimi occhi celesti il cui sguardo infondeva serenità.
Con un veloce gesto fatto ormai di abitudine si passò la mano destra sul volto per sentire la pelle libera e liscia. Sciacquò il rasoio che teneva sempre saldamente con la sinistra. Sergio era mancino. Ancora uno sguardo attraverso lo specchio e poi, asciugato il viso, il dopobarba. Ci teneva particolarmente, era un suo vezzo soprattutto quando aveva un nuovo incarico da portare a termine. E probabilmente questo sarebbe stato l’ultimo: poi una giusta pensione. In fondo durante tutti gli anni di lavoro aveva guadagnato bene ed era riuscito a mettersi da parte una discreta somma che, grazie alle sue conoscenze in banca, aveva anche investito con successo. Scapolo, non aveva mai avuto una relazione. O meglio donne ne aveva avute e anche tante; era nato bello e bello era rimasto; prima da ragazzo e poi come uomo fatto: alto, longilineo, occhi di un azzurro un po’ cupo, aveva preso molto dalla madre almeno per quanto riguardava il fisico, sul carattere, invece, aveva influito di più il padre. Piaceva alle donne, ma aveva sempre preferito non impegnarsi più di tanto, del resto per il suo lavoro doveva esser estremamente libero e una relazione duratura gli avrebbe creato serie difficoltà. Si pettinò con cura i capelli biondi che portava corti, a parte un piccolo ciuffo che gli cadeva un po’ davanti sulla destra del volto e che amava aggiustarselo con un tocco della mano quando conversava con qualcuno.
Uscito dal bagno si diresse in cucina per la colazione. Osservò la vecchia panciuta sveglia, posata su di un ripiano creato appositamente per farne risaltare la bellezza antica posto sopra un moderno grosso e capiente frigorifero, che ticchettava con forza quasi giovanile.
“ Le 8,30”. Poteva dedicare alla colazione una buona mezz’ora. Aspettava una telefonata per le 9.
Comunque doveva esser sempre grato a suo padre. Se era arrivato a guadagnare bene, in fondo, lo doveva soltanto a lui. Era stato suo padre che, contrariamente al desiderio della mamma, aveva insistito per inserirlo subito, appena diciottenne, nel suo negozio di barbiere. E così, abbandonati gli studi, Sergio iniziò l’attività. Nonostante le urla, gli improperi continui e ogni tanto anche qualche forte manrovescio che il padre utilizzava per l’insegnamento, divenne ben presto un ottimo parrucchiere. Era veloce, preciso e conversava affabilmente con tutti i clienti. Sopra il negozio, posto sotto quei bassi portici di origine medioevale, campeggiava una insegna rettangolare in robusto legno di rovere dipinta di verde scuro ove spiccava la frase, in vivaci lettere allungate di un vivido colore rosso: “Da Bruno il vostro barbiere”. E tale rimase anche dopo, quando il padre venne a mancare. Sergio non la cambiò, pensò invece ad ampliare la clientela e, grazie alle sue capacità, ben presto divenne anche acconciatore, così riuscendo a incrementare notevolmente i suoi guadagni. Dovendo servire anche le donne dopo qualche anno prese con sé un ragazzo cui insegnare il mestiere, successivamente ne assunse altri due. Sergio sapeva fare tutto molto bene sia per gli uomini che per le donne, ma la sua abilità, riconosciuta da tutti, stava nel maneggiare con perizia, velocità e sicurezza il rasoio a mano libera.
Poi un giorno, era entrata una nuova cliente. Una piccola moretta, carina, dal viso leggermente tondo con un fare gioioso e nel contempo sereno che le piacque subito.
La caffettiera fischiò. Lasciò da parte quei ricordi per versarsi in una tazza da caffelatte tutto il caffè che usciva con un sordo gorgoglio da una Moka da tre tazze. Un cucchiaio di miele al posto dello zucchero e 10 biscotti all’uovo: era la sua colazione sempre prima di ricevere un nuovo incarico: quasi un rito propiziatorio. Mentre intingeva un biscotto riprese i suoi ricordi.
Angela, questo era il nome della bella morettina. E fu proprio grazie a lei, seppur indirettamente, che il suo lavoro prese una nuova direzione molto più redditizia. L’aveva invitata diverse volte a cena ma lei continuava a rifiutare, a schermirsi seppur gentilmente, adducendo ogni volta qualche impossibilità proprio per quel giorno. Poi una volta lui le aveva fissato un appuntamento per il taglio dei capelli e la messa in piega per un giorno in cui fece in modo di esser solo in negozio e senza altri clienti. Le avrebbe parlato col cuore perché oramai era completamento innamorato. E quel giorno lei gli rivelò il suo cognome.
Un altro biscotto e un po’ di caffè, una veloce occhiata alla sveglia : mancava ancora un quarto d’ora.
“Chissà se oggi sarà lui o qualcun altro?”
Perché la bella, piccola, morettina Angela era la figlia di Luigi Artotti, l’imprenditore edile più ricco ma anche discusso della regione: un sessantenne un po’ attempato, vedovo e , così si diceva, in odore di mafia; ma sempre ne era uscito completamente pulito, sempre indenne da ogni inchiesta.
«Ho parlato a papà. Gli ho detto delle tue capacità. Vuole provare.»
Quell’uomo, così discusso, così mal visto, così chiacchierato, così sempre accusato dai media di essersi arricchito con metodi a dir poco illeciti, si era invece dimostrato una pasta d’uomo, un vero signore. Era rimasto molto contento del trattamento ricevuto da Sergio. Dopo due o tre volte che lui si era recato in negozio, chiedendo espressamente di esser servito solo dal titolare, gli chiese se voleva e poteva anche svolgere l’attività a domicilio.
Sergio accettò e da quella volta, quando era andato a fare barba e capelli in casa del padre di Angela la sua vita era cambiata. Dopo tre o quattro incontri Artotti gli suggerì di lasciare i suoi dipendenti a continuare il lavoro in negozio, mentre lui avrebbe potuto svolgere la sua attività direttamente nelle case, presso amici che gli avrebbe indicato di volta in volta: guadagni puliti, senza dover pagare tasse.
E Sergio aveva seguito il consiglio.
Così, grazie all’aiuto del papà, come dopo un anno aveva incominciato a chiamarlo, poco per volta divenne, anche lui, a suo modo, importante.
Luigi Artotti, era conosciuto e conosceva uomini e donne delle più elevati classi sociali. Sergio aveva accettato anche perché sperava di poter finalmente avere una seria relazione con Angela. Ma quando il padre si accorse dell’interesse che nutriva verso sua figlia le cose andarono un po’ diversamente:
“ Caro Sergio, mi pare che adesso te la passi davvero bene, sei diventato il parrucchiere preferito di persone importanti. Ma ho visto il tuo atteggiamento verso Angela. Ecco, se vuoi continuare a guadagnare bene devo metterti una prima condizione; lascia perdere mia figlia, anche se lei sembra darti qualche speranza: lasciala stare, è promessa ad un altro e non a te.” Era quasi un ordine, un po’, ma in maniera meno violenta, come si esprimeva suo padre.
I soldi o l’amore?
La scelta risultò meno difficile del previsto. Grazie alle conoscenze del nuovo papà, Sergio si era sempre più introdotto tra le persone che contano; aveva avuto diversi “flirt” con donne bellissime, alcune ricchissime e sposate. Frequentava gli ambienti e i teatri più esclusivi e continuava ad esser richiesto ora come barbiere da uomo, ora come coiffeur per signora, ma sempre e solo in ambito di elevata estrazione sociale. Aveva rinunciato ad Angela, che andò in sposa ad un facoltoso miliardario di origine russa, e per un po’ di tempo si chiese se sarebbe arrivata una seconda condizione.
Il telefono squillò: una, due, tre volte. Lasciò la colazione e corse a rispondere. Dall’altro capo una voce che oramai conosceva da tempo:
« Sergio sei libero?»
« Sì, pronto»
« Benissimo; si tratta di andare oggi da Antonio Tazio. Abita a Torino, Via xx settembre 15/10.»
«D’accordo, grazie» E l’altro chiuse la comunicazione.
Un centinaio di chilometri: doveva prendere l’auto.
Meccanicamente osservò l’ora:
“ Toh, mancano cinque minuti 5 alle 9, oggi papà aveva fretta!”. Sorrise.
Terminò la colazione, si vestì di tutto punto con un bel completo blu scuro, indossò l’omega da polso in oro, ancora una veloce sistematina ai capelli; prese la borsa con gli strumenti del mestiere, le chiavi dell’auto sempre pronte tenute appese appena dietro la porta d’entrata, diede un’ultima occhiata all’appartamento e uscì.
Finalmente: l’ultimo lavoro e poi la pensione.
L’indomani tutti i quotidiani presentavano in prima pagina la notizia:
“ Il killer del rasoio ha colpito ancora. L’industriale Tazio Antonio di anni 65 è stato trovato sgozzato in casa…”

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