Racconto di Alex Roggero

(Prima pubblicazione)

 

Io con quell’albero davanti agli occhi ci sono nato. Da quando mi ricordo, è sempre stato lì, a fissarmi, guardandomi tra le inferriate color porpora della mia stanza. Quarant’anni. Quarant’anni fermo lì a fissarmi come un cazzo di fantasma. Gli anni passavano e lui non cambiava mai. È come se in qualche modo si fosse incastrato nel tempo. O il tempo si fosse incastrato in lui. Certo, ogni tanto cambiava colore, si riempiva di neve, perdeva le foglie. Ma poi tanto tornava sempre uguale a prima, come un dannato pezzo di gomma. Non faceva altro che restare lì a fissarmi, immobile, quasi per deridermi. Questo pezzo di merda è sempre rimasto uguale a sé stesso.

Beato lui. La vita scorreva e io invecchiavo, cazzo se invecchiavo, ma quell’albero rimaneva sempre lì. Ogni mattina era lì pronto ad aspettarmi. Io nel frattempo, invece, diventavo sempre più vecchio, più stanco, più pieno di merda. Lui era già così quando io in questa stanza giocavo con la Super Nintendo, quando ho visto la prima puntata dei Pokemon, quando ho baciato la prima ragazza, quando mi sono fatto la prima canna, quando mi sono diplomato, quando mi sono fatto la prima scopata, quando ho dato il primo esame all’università.

La morte dei miei genitori mi ha inchiodato qui per sempre. Senza quella morte così assurda col cazzo che sarei rimasto in questa casa. Senza volerlo mi hanno condannato a rimanere qui per sempre. Che poi in realtà non è che sia davvero così brutto stare qui. Anzi. In quanti possono dire di vivere in una villa circondata dal verde nel pieno centro di Milano? Al massimo un centinaio di persone? Forse meno? È solo che trovo vivere tutta la vita nella stessa casa un po’ deprimente. Ogni mattina mi sveglio, guardo quell’albero e mi chiedo cosa cazzo sto facendo qui. Chissà dove avrei potuto essere ora se me ne fossi andato. Ma poi, cosa accadrà ora a tutti quei soldi che ho sul conto in banca? Mi sarei dovuto comprare una macchina costosa? Di droghe non me ne faccio e le donne fortunatamente non le ho mai dovute pagare per stare con me. È che le macchine costose a me fanno proprio cagare. Vabbé ma ormai non è più un mio problema, tanto sto per crepare pure io. Quel cazzo di albero sta per schiantarsi proprio su questa casa. I tuoni di questa notte mi avevano svegliato già da un pezzo, eppure sono rimasto qui, davanti alla finestra, aspettando che la tempesta finisse. Dentro di me, sapevo che qualcosa di strano stava succedendo. Quando l’ho visto iniziare a barcollare, non ho avuto paura. Saranno passati ormai dieci secondi da quando si è staccato dal suolo e si è iniziato a dirigere verso di me. Per quarant’anni mi sono svegliato guardando quell’albero. Ogni mattina, era sempre uguale a sé stesso. Proprio come la mia vita. Forse me ne sarei dovuto andare prima.

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