Racconto di Liliana Vastano

(Decima pubblicazione)

 

L’aereo proveniente da Vienna era atterrato nel pomeriggio a Kracovia, in perfetto orario. Dopo il ritiro dei bagagli, i passeggeri, quasi tutti polacchi, si erano diretti all’uscita. Molti avevano amici o parenti che li attendevano, altri andavano verso la fermata taxi o il capolinea dei pullman per raggiungere le relative destinazioni. Tra questi una coppia di italiani: Anna e Roberto. Il cielo denso e cupo, il freddo pungente non alleviavano di certo il loro angoscioso stato d’animo che non faceva presagire nulla di buono. Non era così che doveva andare. Non erano venuti per turismo ma per organizzare un viaggio che da Kracovia li portasse ai confini con l’Ucraina e poi verso Kiev. Di lì a breve sarebbe nato il loro bambino ma l’invasione russa era arrivata prima sconvolgendo i lori programmi. Come tante altre coppie provenienti da tutta Europa si erano rivolte ad una delle tante cliniche specializzate per la pratica del cosiddetto “utero in affitto”. Anna e Roberto erano sposati da più di dieci anni e i numerosi tentativi di avere un bambino erano tutti miseramente falliti:la fecondazione eterologa e la maternità surrogata rappresentavano l’ultima chance. L’Ucraina era uno dei pochi paesi al mondo in cui la maternità surrogata era praticabile in quanto legge dello Stato e c’erano molte cliniche private e anche ospedali a cui ci si poteva rivolgere sia per le questioni mediche che burocratiche. Quando l’iter per la fecondazione eterologa era giunto a buon fine, si sceglieva la madre che si riteneva più adatta tra quelle disponibili e si stipulava un contratto. All’inizio della gravidanza, alla “madre” si versava il 50% della somma pattuita, il resto alla nascita. Il contratto prevedeva che il neonato fosse immediatamente allontanato dalla donna che lo aveva messo al mondo e consegnato ai genitori che, dopo qualche giorno, sarebbero rientrati nel loro paese con il figlio. Quando nel 2020 i voli internazionali erano stati sospesi a causa della pandemia, gli ospedali avevano raccolto tutti i bambini nati da maternità surrogata in appositi locali dove erano stati nutriti e curati in attesa di essere “consegnati” alle coppie committenti. Figli di un Dio minore, questi bambini, per mesi, non ebbero né una carezza né un sorriso da nessuna delle loro “madri”se così possiamo definirle. Come sarebbero andate le cose ora che l’Ucraina era sotto attacco russo e le notizie che circolavano erano terrificanti? Anna e Roberto alle prime avvisaglie di guerra avevano contattato la “madre in affitto” e le avevano proposto di raggiungerli in Italia per partorire ma lei aveva rifiutato avendo altri due figli e un marito nel suo paese inoltre, come tanti, pensava che la guerra si sarebbe fermata nel Donbass e non sarebbe mai arrivata a Kiev.

Anna e Roberto, arrivati nel loro albergo di Kracovia, scoprirono che lì alloggiavano anche altre coppie con il loro stesso problema, tutte decise a raggiungere l’Ucraina e gli ospedali di riferimento, dislocati in varie città non solo a Kiev. Le notizie che arrivavano non erano buone, i Russi avanzavano uccidendo civili e bombardando ogni sorta di edifici compresi chiese e ospedali. Si avevano notizie anche di esecuzioni sommarie a danno di civili inermi. Gli ospedali che ne avevano la possibilità avevano radunato nei sottopiani tutti i malati. Anna e Roberto avevano di nuovo contattato la clinica e avevano saputo che erano tutti in allarme perché si aspettava l’avanzata russa verso la capitale. Larissa, la madre in affitto, era già in clinica, il bambino stava per nascere. Nel giro di qualche giorno, insieme ad altre coppie, noleggiarono un pullmino e partirono verso la frontiera ucraina. Una volta arrivati si sarebbe trovato il modo di raggiungere le cliniche. Fu un viaggio triste, ciascuno era chiuso nei propri pensieri, gli echi dei bombardamenti e delle stragi di civili scuotevano l’atmosfera. Dalla clinica di Kiev di Anna e Roberto, però, era arrivata una buona notizia: il bambino era nato e li aspettava. Comunque, erano tutti molto preoccupati ma ancora speravano che i Russi non arrivassero fin lì. Man mano che si avvicinavano al confine il via vai di mezzi aumentava, erano tutti profughi in fuga dalla guerra, tante donne e bambini, diretti non solo nei paesi dell’Est ma in tutta Europa dove avrebbero trovato ospitalità. Arrivati alla frontiera, videro presidi della Croce Rossa, centri di accoglienza di Ong e varie associazioni umanitarie e un flusso ininterrotto di persone che fuggivano, prevalentemente donne e bambini, a volte solo bambini che venivano rifocillati, accuditi, accompagnati in luoghi sicuri dove avrebbero trascorso la notte in attesa di partire. C’erano anche giornalisti e televisioni di tutto il mondo che aspettavano di entrare in Ucraina per fare il loro lavoro. Anna e Roberto si informarono sulla possibilità di trovare qualcuno che li accompagnasse a Kiev ma fu loro risposto che sarebbe stato meglio partire con un pullman di soccorsi piuttosto che un’auto privata per evitare brutte sorprese. Insieme a tanti volontari, alla frontiera c’erano anche tanti delinquenti che non avevano scrupoli a sottrarre denaro e poi ingannare persone come loro. Dopo un giorno di attesa, riuscirono a trovare un passaggio su un camion pieno di derrate alimentari diretto a Kiev. Poco dopo la partenza si ebbe notizia che i russi si preparavano all’assedio della capitale. Una colonna di mezzi militari lunga 60 Km era alle porte. Erano iniziati anche raid missilistici e bombardamenti che avevano distrutto  la torre della TV. Lo stato maggiore russo confermava che sarebbero andati avanti bloccando ogni tipo di comunicazione per causare un totale disorientamento della popolazione. Anna e Roberto cominciarono a disperare: man mano che il viaggio proseguiva si scorgevano in lontananza colonne di fumo e incendi inoltre, le comunicazioni con la clinica si erano interrotte. Poco dopo, l’autista del camion comunicò che aveva ricevuto notizie allarmanti dalla centrale operativa, pertanto bisognava interrompere il viaggio. Anna e Roberto erano disperati: che fine avrebbe fatto il loro bambino? Inutili i tentativi di convincere l’autista del camion a continuare il viaggio, troppo pericoloso non si poteva rischiare. Tornarono indietro con la morte nel cuore e rimasero in attesa alla frontiera per giorni fin quando i russi non andarono via da Kiev lasciando morte e distruzione. Anna e Roberto non avrebbero mai visto il loro bambino, la clinica era stata bombardata, il loro sogno era svanito nel peggiore dei modi.

Una leggenda ucraina dice che esiste da qualche parte il Paradiso dei bambini. A me piace pensare che occupino un posto speciale quei bambini che, pur avendo “due madri” non abbiano potuto abbracciare nessuna delle due. Tra loro, il figlio di Anna e Roberto.