Racconto di Mario Rigli

(Quarta pubblicazione)

 

Eppure le finestre sono chiuse.

Quassù a “Poggio al Vento” il vento tira spesso e forte, non per nulla si chiama così, e anche d’agosto, ma oggi no, oggi il cielo promette pioggia e fuori non si muove foglia e le finestre sono chiuse. E allora cosa è stato quel soffio improvviso, freddo e repentino?

Boh, non lo so proprio. Lisa ed io non vediamo l’ora di finire, di rifare i letti e spazzare e lavare nell’agriturismo dove lavoriamo il sabato. La vita ci ha fatto anche questo regalo e noi l’abbiamo accettato di buon grado. Pensavo che bastasse conoscere le lingue per avere quel lavoro ed invece bisognava fare altro che conversare, ma la paga è buona ed allora il sabato a pulire e nel resto della settimana a fare lavatrici, tendere e stendere lenzuola, stirare e ripiegare. Ma la paga è buona.

E dunque, gli spifferi improvvisi cosa c’entrano?

Stavo pulendo quel davanzale che mi fa tribolare da due anni. È un davanzale in cotto. Interno al salone, sulla finestrella che dà sul patio, proprio dietro il televisore. Stavo pulendo quella macchia strana quando ho sentito un alito freddo sulla nuca.
È una macchia rossastra, a rilievo, quasi squamosa. Tutte le volte che la pulisco la mattonella di cotto torna perfetta ma la settimana dopo, la macchia è ancora lì con il suo colore rossastro e le sue squame. Sembra quasi una voglia, come se il cotto avesse al suo interno una imperfezione. Sono due anni che adopero varechina, acido muriatico, viava, polish. ace, la macchia se ne va e puntualmente ritorna. È diventata un’ossessione ormai ma come farei senza la mia macchia rossastra? È la prima cosa che vado a vedere quando arrivo a “Poggio al Vento”. E quando passo nel salone lo sguardo mi si sposta puntualmente lì e mi sembra di udire sibili, soffi, suoni, melodie. Non ho detto niente a Lisa del mio rapporto con la macchia, non voglio mi prenda per scemo. Lo spiffero strano l’ho sentito la settimana scorsa. Da allora ho chiesto un po’ in giro. Ho sentito il giardiniere che conosce la casa da prima dei proprietari odierni e di quelli prima di loro. Del resto non è solo il giardiniere ma è colui che si occupa dell’oliveto, dalla potatura alla spremitura delle olive fino all’imbottigliamento dell’olio.

Una quindicina di anni fa, mentre si stava ristrutturando il casolare, un giovane muratore è caduto dal tetto. Era aperto per il rifacimento e così, l’uomo è sprofondato all’interno del salone sbattendo violentemente la nuca sul davanzale in cotto della finestrella che dà sul patio, proprio quella dietro a dove ora è il televisore.

<<E Poi Franco?>> Poi l’ambulanza è arrivata tardi in questo luogo in culo al mondo, la soglia era piena del sangue del ragazzo, 24 anni pensa, veniva dall’Albania. L’ambulanza è arrivata tardi, il muratore è stato quattro – cinque giorni in coma e poi è morto.

Oggi è ancora sabato, sto per andare all’agriturismo ma stavolta so con chi parlare. Lo chiamerò in italiano: Sergio, non conosco l’albanese, ma Sergio è la traduzione del suo nome. Penso che mi risponderà, non credo abbia niente contro di me. Se potrò fare qualcosa per lui lo farò senza problemi. Non ho paura, penso di aver trovato un nuovo amico.

Sto aprendo il portone, entro quasi tranquillo. Lisa non sa nulla.

Salgo le scale quasi di corsa. La macchia è ancora lì, più vivida di sempre. Mentre laguardo sento ancora lo spiffero freddo sulla nuca. “Sergio parlami” come a dire ad alta voce. Lisa non mi può sentire, sta facendo la lavatrice e la lavastoviglie giù a basso, poi deve pulire il bagnetto di servizio, ho un po’ di tempo. Comincio a sentire dei brusii, un mormorare leggero e indistinto, dei sibili quasi degli stridori, dei soffi, bisbigli e borbottii. Niente è intelligibile, nessun filo logico, nulla di comprensibile ma sono melodiosi nonostante tutto.

Chiudo gli occhi e lascio la macchia. E allora, senza alcun suono, sento rimbalzare alcune parole dentro, fra gli anfratti della mia anima e lungo le pareti ripide del cuore.

Volevo solo tu parlassi di me, anzi non di me, ma dei ragazzi che hanno lasciato la loro terra per qualcosa di più, a volte solo immaginato. Sono partiti disposti a tutto, anche a sfidare la morte per una vita pensata diversa. Molti non ce l’hanno fatta, anche chi come me ha trovato un lavoro apparentemente sicuro. Volevo che la gente sapesse di me per comprendere coloro che ora attraversano il mare, molti dei quali non toccheranno neppure le sponde del tuo paese. Volevo tu dicessi di me per dire di loro.

“Già fatto Sergio, ho solo parlato di te, però”.

“Grazie è tutto, posso ritornare alla mia terra, dove sono sepolto accanto a mio padre e a mia madre”.

Ho aperto gli occhi. La macchia non c’era più e penso definitivamente.

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