Racconto di Daniele Rossi

(Sesta pubblicazione – 27 novembre 2020)

 

 

 

Dopo aver perso tempo e denaro portandomi a casa penna a sfera di ogni stile e valore, ho rispolverato vecchissime stilografiche che più di mezzo secolo fa mi furono regalate con grande generosità da parenti e amici di famiglia, una volta quando tutto era differente funzionava anche così.

Le vecchie stilo avevano bisogno di essere restaurate, le portai dal pennaiolo top class di città, top anche nel conto che pagai, niente affatto top il risultato.

Da lì inizio a consultare siti di pennofili scoprendo un mondo di recensioni su questi strumenti di scrittura.

I siti e-commerce poi ti danno la possibilità di avere sulla scrivania la penna scelta dopo poche ore, se poi vuoi aspettare un po’ più tempo puoi farti arrivare penne asiatiche dal costo di una penna a sfera economica.

Inizio quindi cosi e la stilografica diventa quotidiana la uso pure per lavoro, la si veda come una sorta di ribellione del digitare su tastiere pc o smartphone, un riappropriarsi della scrittura corsiva, e non apro qua il discorso sulla scelta dei colori degli inchiostri, ce ne sono da considerare “privati” quando si scrive cose proprie ed altri che è possibile “esibire” in pubblico con clienti o per un semplice biglietto di auguri.

Leggo poi che si possono fare esercizi per migliorare la propria grafia, per cercare di migliorare la propria grafia, una o più pagine al giorno, inizio a riempire quaderni nel tentativo appunto di migliorare la mia scrittura.

Gli esercizi non è che posso farli riempendo le pagine di frasi tipo viva l’Inter o vota partito comunista, inizio a scrivere pensieri, stati d’animo, le mie visioni sul mondo che ci circonda e via così.

Via così si, finchè la cosa mi mette a disagio, mi scopro a scrivere di me, dei miei sentimenti, dei miei orizzonti, delle mie luci là in fondo.

Diventa sofferenza, diventa che scopro di non volermi dare delle risposte, troppo difficile dirsi la verità, ci giro attorno.

Diventa che scopro quanto si cerchino negli altri le risposte che stanno dentro sta testa qua che per difesa cerca solo parole da scrivere per finire la pagina.

Ogni nuova pagina che voglio riempire per gli esercizi diventa una guerra, combatto la guerra cercando di eludere le risposte, prendo tempo, uso parole, l’esercizio prevede di finire la pagina mica è un interrogatorio, poi chiudi il quaderno, ci giro intorno e la pagina arriva alla fine, chiudo il quaderno e lo metto li, al suo posto, ma mi guarda, lo vedo con la coda dell’occhio li sulla mia scrivania, mi guarda, chiama, esige, lo ignoro, brucio l’ennesima sigaretta, accendo la mia musica, sto ritmo di bachata che mi attraversa pure lei distoglie confondendo solo un pochetto le vie dei pensieri, solo un po’, il quaderno è li guarda esige e io ora vorrei solo alzare il volume e ballarla sta bachata che attraversa tutto quel che c’è o che è un po’ più in là se guardo verso quel punto cardinale che so, lui mi chiede di farli sti esercizi di grafia, allenati dice, ma non giocare con l’ipocrisia scrivi le risposte che sai ma dalle quali scappi, aprimi e scrivi la verità che sai e da cui scappi anche ora scappi proprio tu che porti un leone tatuato sul braccio destro per onore e uno nel cuore per amore, scappi, e dilla la verità, tanto sti esercizi di grafia li vuoi fare, unica libertà concessa, usa quell’inchiostro grigio che ti ricorda le tue vecchie pagelle scolastiche, e la voglia di ballare sappilo, è già una risposta.