Racconto di Rossella Bisceglia

(prima pubblicazione – 26 agosto 2020)

 

 

Ventuno meno sedici. In colonna, il sei sta sotto all’uno, l’uno sotto al due, decine sotto decine, unità sotto unità. Uno meno sei non si può, mi faccio prestare una decina dal due. E quello non protesta, gliela presta senza fiatare. È incredibile, ogni volta resto stupito da tanta generosità.

Non mi sembra proprio che in classe funzioni così, ogni volta che mi manca qualcosa e provo a chiederla in prestito ad un compagno, ottengo sempre delle rispostacce, e la maestra mi mette la nota per la dimenticanza.

È strano il mondo, a scuola ti assillano perché tu impari certe regole, e poi nella vita succede tutto l’opposto.

Ecco, l’uno rimpolpato si presenta sotto tutt’altra veste, ora sì che vale, vale ben undici da cui è facile sottrarre il sei: scrivo cinque e passo alle decine. Qui, però, succede una stramberia; il venti, ridimensionato dopo il prestito al suo vicino, si trova in grande difficoltà e si annulla quando gli sottraggo la decina del sedici: resto zero.

Poverino, mi fa molta pena e per me è uno dei due eroi che tengo nel cuore: si è sacrificato per il suo vicino, e l’ha fatto in silenzio.

Purtroppo, quando faccio i conti, impiego sempre troppo tempo perché mi perdo a pensare a tutte queste cose, e i numeri diventano persone che mi parlano delle loro avventure.

È strano, ma papà mi dice sempre il contrario, cioè che in fabbrica sono le persone che diventano numeri, ma forse sono ancora piccolo per capirlo.

In effetti sono tante le cose che non riesco a comprendere, ad esempio come in classe tutti trattano Ahmed, il mio compagno ripetente.

Nessuno gioca con lui, le femmine dicono che puzza ma non è assolutamente vero. Gli altri compagni lo prendono sempre in giro per come si veste, in effetti indossa sempre maglie e pantaloni che sembrano vecchi, e forse lo sono.

A me invece Ahmed è simpatico, anche se molto taciturno, e ci gioco volentieri insieme.

Ahmed qualche settimana fa ha fatto una cosa strana, che mai avrei pensato capace di fare.

Manuela, al rientro dall’intervallo, ha trovato il portapenne tutto tagliato, il problema è che il portapenne era nuovo, così lei ha cominciato a strillare e piangere.

La maestra allora ha chiesto a tutti noi chi fosse il responsabile. Nessuno ha parlato, anche se io penso di sapere chi possa essere stato: non farò mai la spia, ma Diego ha detto molte volte che il portapenne di Manuela fa schifo e lui lo odia, invece so che lo desiderava tanto. Dicevo, siccome nessuno ha parlato, la maestra ha detto che per il lunedì ci avrebbe dato da studiare a memoria due poesie. Due poesie lunghissime! Un incubo senza ritorno.

Eppure nemmeno così il colpevole si è convinto, e la maestra ha aggiunto venti divisioni e venti moltiplicazioni.

Mentre tra di noi si sentivano lamenti di disapprovazione, Ahmed si è alzato e, con gli occhi bassi per la vergogna, ha detto: “sono stato io”.

Ci sono rimasto molto male, ho provato delusione e molta tristezza.

La maestra l’ha guardato con uno sguardo particolare, forse non gli credeva o forse chissà cosa stava pensando. Però gli ha detto di portarle il diario, dove ha scritto una nota da far firmare ai genitori. Nella nota, io l’ho letta, diceva che avrebbero dovuto ripagare il danno.

Infatti così è stato. Due giorni dopo Manu aveva un nuovo portapenne, identico a quello rotto.

Se penso che Ahmed un portapenne vero non ce l’ha, e tutti i pennarelli e le matite li tiene in un sacchetto di stoffa che gli ha cucito sua madre, beh insomma, mi viene un nodo alla gola.

All’uscita da scuola, Ahmed ha però ritrovato il sorriso: c’era sua mamma ad aspettarlo, i capelli nascosti da un foulard colorato e gli occhi disegnati di nero. Anche lei gli ha sorriso scompigliandogli capelli, ed io mi son detto: purtroppo la proprietà commutativa vale solo nelle addizioni perché, se fossi stato io il colpevole, la mia mamma mi avrebbe messo in punizione per almeno tre giorni. Misteri dell’aritmetica.

Quel famoso giorno Ahmed ha pianto solo un attimo, non quando ha preso la nota, neppure quando tutta la classe gli ha detto in coro: “sei stato tu-u, sei stato tu-u!!”.

Due lacrime gli sono scese solo quando Manuela l‘ha guardato male dicendogli: “sei cattivo, non ti faccio più amico”, come se fino a quel momento avesse sempre giocato con lui, mentre non era mai successo.

Credo abbia pianto perché a lui Manuela è simpatica, e spera da sempre di poter andare a casa sua a fare i compiti come molti della nostra classe hanno fatto tante volte.

A dire il vero io so un segreto di Ahmed, che non ho detto nemmeno a papà quando mi dice che tra uomini ci si può fidare: Ahmed da grande vuole sposare Manuela e portarla in un palazzo d’oro e diamanti, per farla diventare una regina.

E poi ne so un altro, di segreto, ma questo è segretissimo e lo sappiamo soltanto io e i suoi genitori, e non possiamo dirlo a nessuno per il resto della nostra vita.

Il portapenne di Manuela non l’ha rotto Ahmed, ma l’ha confessato solo per salvarci dal compito di punizione, ed è per questo che lui è il mio secondo eroe, insieme al due che ha ceduto la sua decina.