Racconto di Elena Passoni

(Prima pubblicazione – 8 aprile 2021)

 

 

 

Eccolo qui, un altro pomeriggio afoso da riempire. Per fortuna quest’estate il caldo non è stato soffocante come l’anno scorso; solo qualche notte passata a rotolarsi tra le lenzuola, cercando il centimetro quadrato non ancora umido di sudore. L’anno scorso era arrivata a dormire sul pavimento, cercando refrigerio nelle piastrelle fresche.

Elisa sta pensando di fare una passeggiata, dalle sue parti ci sono un sacco di posti bellissimi; il lago, la montagna… ovunque si punti lo sguardo, il panorama è mozzafiato.

Oggi poi il sole è splendente ed è bellissimo vedere le barche che ondeggiano attraccate al pontile. Ci sono i gabbiani, i cigni che si voltano quando vedono passare le canoe e poi riprendono indisturbati a beccare le briciole gettate dai bambini.

Elisa sorride, pensando quanto sia curioso che si gusti la bellezza del luogo in cui si vive solo quando si è stati lontani e si è rischiato di non vederli più.

Si riscopre il valore di quello che ci circonda, delle persone, delle emozioni, di tutto quello che prima ci sembrava scontato.

È così che Elisa si sente: come un gatto che si stiracchia dopo un lungo sonno. Eppure non ha dormito, anzi, ha passato tante notti insonni a contare le crepe nei muri, le rughe delle mani, i segni bianchi sulle unghie…

Si attaccava a qualsiasi cosa potesse farle dimenticare, dimenticare tutto quello che le era capitato.

È curioso come ora faccia persino fatica a visualizzare il volto di chi le ha fatto così male: è come se fosse davvero calato il sipario, alla fine di una tragedia della quale non avrebbe mai voluto essere la protagonista.

Sforzandosi, adesso riesce solo a ricordare gli odori. Non i visi, non le voci. Solo gli odori. Quel misto acre di sudore, di fumo, di animale.

Le avevano detto, qualche mese più tardi del giorno in cui l’avevano ritrovata, che la persona che le aveva fatto male aveva l’abitudine di maltrattare i cani: li picchiava e poi li lasciava in macchina, senza cibo e senza acqua per giorni. Un po’ come aveva fatto con Elisa. Evidentemente per lui non c’era alcuna differenza tra lei e un cane.

Ripensandoci, non riusciva proprio a capire perché quell’uomo avesse scelto proprio lei: non era giovane, non era nemmeno carina, non era ricca né appariscente; probabilmente si era solo trovata nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Ed era stato proprio tutto così sbagliato.

Una macchina che si accosta, un finestrino abbassato, una richiesta di informazioni stradali e un sorriso come risposta. E, dopo la curva, l’incubo.

L’uomo che frena e scende all’improvviso dalla macchina, lei che lo guarda dapprima con stupore e poi con terrore.

E quel pugno, il primo di tanti, che blocca qualsiasi possibilità di reazione e la fa cadere a terra. Il dolore, un viaggio di qualche ora e l’unico pensiero irrazionale al quale si attaccava strenuamente era quello che avrebbe fatto tardi all’appuntamento con la sua amica. Solo quello. Probabilmente la sua mente si rifiutava anche solo di immaginare l’orrore che la aspettava.

Era sdraiata sotto una coperta lercia, sentiva il motore della macchina ma non riusciva a percepire nessun altro rumore, niente che potesse farle capire dove erano diretti.

Uno dei pochi flashback che ogni tanto le ritorna è che durante il viaggio aveva visto un monumento di un cimitero e aveva pensato per un momento che le sarebbe piaciuto trovarsi già lì, piuttosto che affrontare quello che temeva le avrebbe riservato il futuro.

Adesso Elisa un po’ si pentiva di quel pensiero… se non fosse sopravvissuta non avrebbe mai saputo cosa si provava ad amare di nuovo. Non avrebbe mai provato il conforto dell’abbraccio di chi l’aveva ritrovata.

Era stata nelle mani di quella creatura spregevole più di due settimane. Aveva vissuto come un animale. Non poteva lavarsi, non mangiava nulla se non le briciole dei pasti che lui consumava e soprattutto doveva subire ogni genere di violenza, fisica e psicologica.

Probabilmente, quello che l’aveva salvata dalla pazzia era stato riuscire a fare volare la sua mente. Ogni volta che lui si avvicinava e la toccava, lei partiva per un viaggio diverso.

Una volta chiudeva gli occhi e si ritrovava bambina, vestita con la gonna scozzese con la spilla mentre andava a scuola, attraversando il paese con la sua cartella blu, ripetendo ad alta voce la poesia che aveva studiato a memoria.

Un’altra invece si trovava a Rimini, in campeggio, nella vacanza che aveva fatto subito dopo la maturità con i suoi compagni e in quella pineta dove aveva dato il suo primo bacio.

Oppure a Londra, passeggiando sulle rive del Tamigi, passando per le bancarelle e fermandosi ad applaudire i ragazzi sugli skateboard e gli artisti di strada.

Ovunque.  Ma non dove si trovava nella realtà.

E la prima sensazione di calore umano che aveva provato, dopo quei lunghissimi giorni di semi incoscienza, di fame, di sofferenza e di dolore, era stata la mano dell’uomo che adesso condivideva la sua vita.

Quello sguardo, che non avrebbe mai più dimenticato, che l’aveva accarezzata e trascinata di nuovo nel mondo reale.  Quello che in un attimo aveva cancellato l’orrore e lo aveva trasformato in forza.

Quell’abbraccio che l’aveva riscaldata quando pensava che avrebbe avuto freddo per sempre.

L’unica persona che le era stata accanto e le aveva permesso di non impazzire. E che aveva lasciato il luogo in cui viveva per prendersi cura di lei, con pazienza, lealtà e amore, anche se Elisa per un bel pezzo si era sentita sporca, contaminata, e non pensava di meritarsi più niente dalla vita.

Invece eccolo qui, accanto a lei, in questo pomeriggio afoso da riempire.

A tenerle la mano, mentre guardano insieme il lago e le montagne, le barche e le canoe e gettano le briciole ai cigni.

E a gustarsi un luogo, un tempo e un’emozione che sono ancora più preziosi dopo avere corso il rischio di perderli, ringraziando con un sorriso la vita per aver ricevuto una seconda chance.