Racconto di Dino De Lucchi

(Prima pubblicazione)

 

C’era una piccola parrocchia sempre in sospeso riguardo la sua esistenza: non si sapeva se ammetterla in un’altra più grande, perché aveva pochi abitanti e ancor meno fedeli che la frequentavano, o lasciarla così.

Un giorno arrivò in questa parrocchia un prete che fu chiamato Don Galera, non perché fosse stato carcerato, ma perché alla sua messa andava anche gente che sarebbe potuta stare benissimo in galera.

Erano le sue prediche ad attirare i fedeli e lui in questo era originale e geniale.

Raccontava sempre storie brevi con tanti aneddoti e aveva il particolare che lasciava sempre in sospeso il finale e la morale implicita.

Caso unico a vedersi, sopra il pulpito aveva una clessidra che, quando finiva il suo percorso con la caduta dell’ultimo granellino, gli segnalava di sospendere l’omelia.

La gente era costretta così ad andare alla domenica successiva per sapere l’esito e c’era addirittura chi faceva scommesse su ciò.

Alle sue funzioni venivano fedeli anche da altre parrocchie creando gelosie tra gli altri parroci.

Furono costretti quindi anche loro a fare le prediche meno barbose e più incisive come Don Galera.

In incognito il vescovo mandò un’ispezione, ma Don Galera rispettava i canoni della chiesa Cattolica e del Vangelo. Non si sapeva più come fermarlo.

Una domenica alla sua predica venne anche un pastore che aveva lasciato fuori il gregge dalla chiesa con i cani.

La sorpresa fu che gli animali non belarono e i cani non abbaiavano così che il sacrestano aprì i portoni della chiesa perché anche loro ascoltassero.

Era il periodo del fascismo e Don Galera disse in predica che sarebbero crollati regni e imperi e solo Cristo Re alla fine avrebbe regnato.

Fu accusato di disfattismo dal regime e mandato al processo.

Non fu condannato per intervento del vescovo, ma trasferito a fare il cappellano in un carcere.

Così Don Galera meritò appieno questo titolo.