Racconto di Giuseppe Borrelli

(Seconda pubblicazione)

 

“…. Che bello!…uuuffff!…..”.

L’azzurro lucente delle acque del Mediterraneo, in una meravigliosa giornata di mezza estate, avevano fatto risalire queste due parole, fin da dentro la pancia, del Commissario Moreno Rosso; quasi come fossero un sospiro.

I 33 gradi ed il Sole allo zenit, erano, invece, gli artefici dello sbuffo.

Il Commissario capo della Questura di Arezzo si riebbe di colpo, si girò a guardare l’ispettore Roberto Lavalle, quasi come se non volesse far trapelare il suo momento di romantica contemplazione, misto alla insofferenza per la calura.

Ma l’ispettore era proteso come un corvo, mentre osservava la sua “preda” sul ponte dell’imbarcazione; e non si era nemmeno lontanamente accorto del momento di “defaillance” del suo superiore.

“ E mollalo un poco, dove vuoi che vada, incatenato?”. Domandò Rosso, rivolgendosi sottovoce al suo collega; e girandosi di nuovo verso quell’infinito orizzonte azzurro che era il Mediterraneo.

Il Commissario fu, allora, di nuovo preso dai suoi pensieri; riprendendo ad ammirare il mare.

Navigavano molto veloci; il battello d’altura “Ginolfi”, appartenente alla classe “Corrubia” della Guardia di Finanza, letteralmente, volava sull’acqua.

Erano partiti da Malta alle nove del mattino, ma non sarebbero arrivati a Livorno prima della mattina seguente.

Rosso non vedeva l’ora di toccare terra, in Italia, e di consegnare “il bottino”, in carcere.

Erano cinque anni che il Commissario correva dietro al trafficante internazionale di armi albanese, Aldo Kobugi, trapiantato ad Arezzo nelle vesti di imprenditore tessile.

Proprio quando il cerchio si stava chiudendo, però, con la Polizia che aveva scovato i traffici di armi dell’albanese, dalle coste greche fino alle frange militari più estreme degli hezbollah libanesi; il “fringuello” era volato via da Arezzo.

Una bella botta per il Commissario e per la sua sezione“ catturandi”.

Fino a quando il mandato di cattura internazionale non aveva, però, sortito i suoi effetti, ed il Kobugi era stato ritrovato ed arrestato a La Valletta, dagli agenti della Malta Police Force.

Una bella fregatura per il Commissario.

Tanti anni di lavoro e poi tutto il merito ai “gendarmi” maltesi. E non solo. Per estradare Kobugi, era stata incaricata la Finanza con uno dei suoi battelli d’altura.

Poi, forse, al Ministero, qualcuno si era ricordato delle minuziose indagini condotte dalla sezione del Commissario Rosso, e di come, grazie ad esse, erano stati sequestrati ingenti carichi di armi; ed allora, si era, all’ultimo momento, deciso di incaricare i vertici della sezione di Polizia di Arezzo, di mettere le manette al polso del trafficante.

“ ….Ciò che conta è averlo preso…..” – Sospirò, Rosso – “…Ora speriamo di arrivare presto a casa…”.

“ Signori, credo che abbiamo un contrattempo”. Sentenziò il maggiore Salvatore Di Caro, comandante dell’imbarcazione, mentre, quasi correndo, aveva raggiunto i due poliziotti sul ponte alto del battello.

“ Che succede comandante?” replicò Rosso, mentre il maggiore della Finanza, aveva già portato il binocolo agli occhi e guardava in direzione Nord-Est.

“ Gommone alla deriva…e… quasi certamente… immigrati da soccorrere”, rispose Di Caro, con placida accettazione.

“ Che si fa in questi casi?” chiese il Commissario.

“ Verificare le condizioni dei naufraghi, allertare le autorità territorialmente competenti e, se necessario, capienza della nave permettendo, farli salire a bordo…”, replicò, quasi meccanicamente, il maggiore.

“ Per portarli dove?” continuò il Commissario.

“ Dove ci fanno attraccare – rispose Di Caro – Il primo porto italiano, ovviamente, è inutile tentare con altre nazioni, ci diranno di no”.

“ Questo ci farà perdere del tempo, e ci farà correre dei rischi… non può venire nessun altro a prendere queste persone, comandante?” chiese preoccupato Rosso.

“ Non ci sono navi vicine, altri ci metterebbero un giorno; e se intanto a bordo stanno morendo di fame e di sete? O sono feriti? Dobbiamo intervenire noi”. Sostenne convinto De Caro.

“ Capisco comandante, ma consideriamo che stiamo trasportando un criminale pericoloso, a capo di un’organizzazione internazionale”.

“ Non posso fare altro, Commissario, metteremo questi naufraghi sul ponte a prua, ed il “ passeggero” starà nei suoi alloggi o sul ponte a poppa, fino a Livorno: gli immigrati li faremo scendere prima ovviamente.”.

Dieci minuti dopo questa conversazione, il battello della Finanza era vicino al gommone alla deriva.

Dal ponte più alto dell’imbarcazione, i due dirigenti di Polizia ed il comandante videro i naufraghi in condizione di estrema difficoltà.

Erano in 10, di cui 6 uomini, 2 donne e 2 ragazzi poco più che diciottenni. Erano tutti di carnagione chiara ed indossavano delle vesti lunghe e colorate, tipiche della tradizione e del modo di vestire arabi.

“ Cavolo, ma è un Master 966!?!”, Rosso udì questa esclamazione provenire a mezza voce da De Caro, e comprese che il comandante si stesse riferendo al gommone che doveva essere un’imbarcazione di valore.

Rosso non ne capiva di barche, ma notò che, effettivamente, quel grosso canotto bianco era di una bellezza e di un eleganza notevoli.

De Caro scese sul ponte, ma il Commissario e l’ispettore Lavalle rimasero sul terrazzo.

L’equipaggio del Ginolfi era tutto sul ponte, prodigandosi nelle operazioni di attracco del gommone e di ingresso a bordo dei naufraghi.

Dieci finanzieri, compreso De Caro, erano impegnati ad aiutare i naufraghi, mentre due finanzieri erano di guardia a Kobugi, con i loro fucili d’assalto, Franchi Spas, in mano.

Il criminale albanese era seduto sul ponte, ammanettato, e guardava con calma distaccata quanto stava accadendo attorno a lui.

“Ma perché De Caro non ha trasferito prima Kobugi a poppa?” sbottò irritato Lavalle, che durante tutto il viaggio non si era mai tolto né il giubbotto antiproiettile né la mitragliatrice Beretta M12.

Rosso si rese conto dello “ stato di guerra” permanente del suo sottoposto e volle parzialmente tranquillizzarlo: “ Non si preoccupi ispettore, il comandante sembra uno esperto”.

Ma Lavalle non era d’accordo, storse la bocca in un gesto di disapprovazione per quanto stava vedendo.

Dopo circa mezz’ora i dieci naufraghi erano a bordo del Ginolfi, il maggiore De Caro fece capire loro che dovevano sedersi in terra, sul lato destro dell’imbarcazione, vicino a dove stava per essere legato il loro gommone, alla nave militare.

L’azione si svolse con estrema calma e compostezza, i naufraghi rispondevano con prontezza e collaborazione alle sollecitazioni del comandante, che intanto aveva fatto portare loro bottigline d’acqua e merendine dolci dalla cambusa.

Attenzione questa, che gli ospiti dell’imbarcazione avevano gradito molto.

De Caro cominciò a dare disposizioni, ai suoi undici membri dell’equipaggio, per preparare il trasloco di Kobugi sul ponte di poppa; in particolare ai due agenti addetti alla sua sorveglianza.

Il maggiore alzò lo sguardo verso il ponte alto, dove si trovavano Rosso e Lavalle, e con un sorriso di ammiccamento, volle confermare loro che tutto stava andando bene.

“ Signori, tra poco ripartiamo, infondo non abbiamo perso tanto tempo…”. Affermò compiaciuto, a voce alta, il comandante del Ginolfi.

Rosso si girò a guardare verso Kobugi, che intanto si era alzato scortato dai due finanzieri armati.

Il Commissario ebbe la sensazione di vedere una luce sanguinaria negli occhi del contrabbandiere, mentre questi digrignò i denti in un ghigno di malefica e sadica soddisfazione.

Fu proprio in quel momento che le urla dei naufraghi arrivarono fino al cielo.

Si alzarono tutti in piedi, si liberarono dalle lunghe vesti che indossavano, alzarono delle mitragliette Scorpio che tenevano nascoste e cominciarono a sparare all’impazzata contro i loro soccorritori.

Gli uomini, le due donne ed i due ragazzi, divennero degli sterminatori!

Il rumore dei proiettili si fuse con le loro fameliche urla di mortale giubilo.

Gli agenti caddero uno ad uno. De Caro venne crivellato di colpi.

Solo uno dei due agenti di scorta a Kobugi, fece in tempo a liberare una sventagliata di bossoli, con il suo Franchi Spas.

Colpendo a morte uno degli assalitori che fu alzato di peso dal colpo ricevuto e scaraventato in acqua; e ferendo uno dei due ragazzi.

Ma fu abbattuto anch’egli subito dopo.

Gli altri membri dell’equipaggio non fecero né in tempo a fuggire né ad abbozzare una qualsiasi difesa.

Fecero solo in tempo a morire.

Dal ponte alto, Rosso, nel vedere quella fulminea scena di insano massacro, gridò con quanto fiato aveva in corpo, poi si abbassò, nascosto dalle pareti della terrazza.

Erano rimasti solo lui e Lavalle contro gli assalitori.

Ma il Ginolfi era una nave militare, il suo scafo era corazzato, e Lavalle, sin dalla partenza, non si era mai tolto né il giubbotto antiproiettile né la sua Beretta M12.

Ora Rosso apprezzò lo zelo del suo sottoposto.

L’ispettore Lavalle, infatti, pochi secondi dopo l’inizio del massacro, si era abbassato dietro le pareti del ponte alto, ed aveva cominciato a scaricare il suo intero caricatore contro i nemici.

Qualche colpo era arrivato anche verso di lui in risposta, dal basso, ma le pareti corazzate lo avevano adeguatamente protetto.

Gli assalitori, invece, non avevano protezione.

Ed allora caddero come birilli!

3 uomini, due donne e i due ragazzi furono raggiunti dai colpi della mitraglietta di Lavalle e perirono.

Rosso vide anche un ragazzo ferito a terra essere raggiunto dal piombo della Beretta dell’ispettore e, per un momento, si dispiacque della brutalità della sua morte.

Due degli assalitori, non rimasero a tentare, invano, di colpire Lavalle dietro le pareti corazzate del ponte alto, e si diedero alla fuga, insieme a Kobugi, sul loro Master 966.

Mentre il contrabbandiere albanese accendeva e faceva partire il veloce gommone, infatti, i due suoi complici tenevano impegnato Lavalle con un fuoco di copertura.

Dopo pochi secondi, il gommone rombò sull’acqua come se stesse per decollare e si allontanò dalla scena della battaglia come un missile.

Rosso e Lavalle si guardarono. Erano inginocchiati.

Ansimavano entrambi.

Avevano ancora le orecchie che fischiavano per la intensa sparatoria.

Si alzarono quasi contemporaneamente, con circospezione.

Dinanzi a loro l’ecatombe.

Il Ponte della Ginolfi sembrava un cimitero galleggiante a cielo aperto.

Dodici finanzieri e sette assalitori erano passati a miglior di vita, trapanati da proiettili a distanza ravvicinata, ed ora giacevano cadaveri, a fare dell’imbarcazione una nave della morte.

Dopo tanto rumore, l’unica cosa che Rosso e Lavalle sentivano era il loro affannoso respiro.

Erano vivi, in mezzo a quel massacro.

Loro erano vivi, e quasi si guardavano per avere conferma di tale verità.

“Non credevo, ispettore, che l’avrei ringraziata per non aver posato la mitraglietta in cabina; e pensare che avevo giudicato questa cosa una esagerazione “, ammise Rosso.

“Me lo sentivo, dannazione, me lo sentivo che sarebbe capitato qualcosa, con quel pezzo di merda!” Ribatté, quasi piagnucolando, Lavalle.

I due poliziotti si alzarono in piedi e si girarono a guardare in basso verso il ponte.

La scena del massacro li lasciò di nuovo senza fiato.

Rosso pensò alle famiglie dei militari uccisi.

Guardò i corpi senza vita dei complici di Kobugi, e si chiese da dove venissero; chi fossero le due donne e i due ragazzi. Poi si riprese.

“ Ispettore dobbiamo riprendere Kobugi!”, affermò deciso Rosso.

“ Commissario, come facciamo? Sono lontani, chi la guida questa nave?”, replicò Lavalle.

“  Li seguiremo con quel gommone” disse il Commissario indicando il grosso gommone attaccato al lato destro della Ginolfi: “ Lei ha detto di averne uno, quindi sa come si guidano”.

“ Io ho un canotto a motore, Commissario, quello è un gommone oceanico!”.

“ Avanti Lavalle non perdiamo altro tempo”.

“ Ma Commissario, la nave? Tutti questi morti?”.

“ La nave è alla deriva in mezzo al mare, la ritroveranno certamente; per i morti non possiamo fare più nulla… ma Kobugi la deve pagare!”.

Dopo pochi minuti, il gommone era in acqua ed i due poliziotti erano a bordo, dopo essere discesi dalla scaletta fissa attaccata allo scafo della nave.

Rosso aveva preso le armi e il satellitare che aveva ricevuto dal Ministero degli Interni.

Lavalle aveva scritto e lasciato un biglietto in sala comando; ed aveva preso acqua e viveri.

Il gommone rombò come un tuono.

Lavalle dopo un piccolo momento di impasse, padroneggiò l’imbarcazione con autorevolezza.

Rosso ebbe la sensazione che procedessero ad una velocità maggiore rispetto al gommone dei fuggitivi.

Ed infatti dopo un quarto d’ora, il Commissario li avvistò con il binocolo: i due inseguitori stavano recuperando terreno.

” Commissario… sono in tre… con armi da guerra… non possiamo fermarli da soli!?”.

“ Lavalle, hanno massacrato l’intero equipaggio del Ginolfi… siamo armati anche noi… avanti!”.

Nel girarsi in direzione dell’imbarcazione inseguita Rosso notò un particolare anomalo: l’acqua stava diventando di una tonalità giallognola.

Al Commissario non sembrò, però, in quel momento, un particolare degno di attenzione.

Con il binocolo, Rosso, inquadrò un isolotto, i fuggitivi con il loro gommone dovevano per forza essersi diretti là, per poi attendere qualcuno che li andasse a prendere; forse non si erano accorti di essere inseguiti.

Anche i poliziotti arrivarono sulla piccola isola.

Era un grande scoglio con delle spiaggette che si alternavano a spuntoni di roccia che cadevano nel mare.

Il punto più elevato dell’area emersa, si trovava al suo centro ed era alto un centinaio di metri, con una discreta vegetazione.

l’Ispettore Lavalle insistette affinché il loro gommone attraccasse distante dal punto di approdo dei banditi. Rosso concordò con il suo collega.

I due poliziotti giunsero fin quasi sulla spiaggia, tirarono in secca il gommone e scesero a terra.

“ Andiamo Lavalle”, ordinò Rosso.

“ Commissario chiamiamo i soccorsi con il satellitare, questi si sono fermati perché non hanno più gasolio; non vanno da nessuna parte, tranne se non si rendono conto di potersi prendere il nostro di gommone”.

Rosso rifletté su quanto aveva detto l’ispettore.

Era una valida analisi, il Commissario la stava per porre in esecuzione.

Si udirono degli spari in lontananza.

In ripetizione.

Continui spari, a tamburo.

Rosso e Lavalle si abbassarono istintivamente, ma subito si accorsero che non erano stati attaccati da nessuno.

Gli spari provenivano dall’altra parte dell’isolotto, dove si trovavano i banditi.

“ Ispettore contro chi stanno sparando? Tra di loro?” chiese Rosso, mentre gli spari continuavano con ritmo incessante.

“ No Commissario è una Santa Barbara” replicò Lavalle, mentre era quasi a quattro zampe sulla spiaggia.

“ Dobbiamo andare a vedere” sostenne Rosso.

“ Commissario no!” urlò quasi disperato, Lavalle.

Rosso comprese le rimostranze del suo sottoposto, era veramente una situazione pericolosa, non si poteva capire cosa stesse realmente accadendo dall’altra parte dell’isolotto.

Per questo motivo il Commissario non si impose sul suo subalterno: “ Lavalle, io vado a vedere, si metta in qualche posto sicuro, non rimaniamo, così, in vista, a fare i bersagli”.

Rosso si lanciò, allora, verso le rocce alla fine della spiaggia e cominciò a salire verso la sommità dell’area.

Si mosse con circospezione nella macchia mediterranea.

Gli spari era terminati.

Rosso arrivò alla spiaggia da dove provenivano gli spari.

Si nascose dietro delle garighe.

Guardò.

La spiaggia era vuota.

Il Commissario vide il gommone, alcuni brandelli delle lunghe vesti degli assalitori, due mitragliette scorpio a terra, e niente più.

“Ma che cazzo è successo?” si chiese Rosso sottovoce.

Scese con attenzione, lentamente fino alla spiaggia.

Era una scena inquietante.

Contro cosa avevano sparato i banditi? Dove erano i corpi di quelli abbattuti? Perché le mitragliette a terra? E la sabbia che sembrava rivoltata? Rosso trasalì:“ Due mitragliette!”.

Il Commissario pensò che mancava l’arma di Kobugi.

Di sicuro il bandito doveva avere avuto un’arma, ed, altrettanto sicuramente, per qualche ragione criminale, l’aveva usata contro i suoi complici.

Ora era sparito.

“ E’ ancora qui!”, urlò Rosso, mentre si accovacciò sulle ginocchia e cominciò a dirigersi verso la vegetazione.

Arrivato al sicuro, il Commissario, si rese conto che il criminale non lo stava osservando, altrimenti avrebbe, certamente, fatto fuoco.

“ Forse non ha più munizioni”.

Di nuovo spari in lontananza.

Dalla parte dell’isola dove si trovava Lavalle.

“ Ha attaccato l’ispettore, quello schifoso!!!”.

Rosso ripercorse a ritroso il sentiero dal quale era passato in precedenza, ma stavolta correndo come un forsennato.

Giunto in prossimità della spiaggia, il Commissario sentì gridare, Lavalle. L’ispettore aveva urlato con una disperazione agghiacciante.

Poi ancora spari, poi nulla.

Rosso urlò forte mentre correva, come se volesse chiedere al suo collega di resistere, perché stava arrivando.

Il Commissario arrivò sulla spiaggia come un treno, in preda ad una furia cieca, teneva stretta la sua Beretta M12, digrignava i denti, era pronto allo scontro, lo bramava.

“ Dove sei Kobugi? Maledettocriminale! Lavalle, dove sei Lavalle!?!?!… sono qui!!!”.

Rosso si girò e rigirò intorno, ma su quella spiaggia era calato il silenzio.

Si udivano solo le onde.

Rosso vide a terra la Beretta di Lavalle.

“ Che cazzo succede!!?!?!Lavalle!!”.

Rosso indietreggiò.

Provo una spaventosa inquietudine indefinita.

Nella sua testa rivide le mitragliette dall’altra parte dell’isola.

Sentì una voce nella sua testa “… Sono morti, sono tutti morti…”.

Rosso indietreggiò ancora, sentiva di doversi andare a nascondere nella macchia.

Non sapeva da cosa doveva difendersi, ma sentiva che su di lui incombeva un pericolo mortale.

Sentì freddo alla gamba sinistra.

Abbassò gli occhi, non vide nulla, ma la coscia era bagnata, il freddo era pungente e sentì una forza che gli stringeva l’arto.

Rosso fu preso da un terrore insano.

Gridò con quanto fiato aveva in corpo.

Provò a muoversi.

Era bloccato!

Rosso si sentì mancare il respiro.

Si sentì tirare verso il mare, con una forza spaventosa.

Reagì d’istinto.

Gridando, in preda al terrore, il Commissario, fece partire una serie di colpi, a pochi centimetri dalla sua gamba sinistra.

I proiettili colpirono qualcosa di solido.

Rosso vide cadere del liquido giallo dal nulla.

Come se l’aria avesse preso a sanguinare.

La presa sulla gamba del Commissario si interruppe.

Rosso sparò ancora, seguendo, istintivamente, un’ipotetica direzione retta rispetto a dove era sgorgato il liquido giallo.

I colpi andarono a segno.

“ E’ un serpente!” Gridò il Commissario, mentre sparando si allontanava verso la vegetazione.

Prima di salvarsi, sulla roccia, Rosso vide la scena più insanamente orribile della sua vita.

Per un attimo, infatti, quella cosa che lo aveva afferrato, sembrò delineare i suoi contorni.

Pareva essere fatta d’acqua, si poteva vedere la spiaggia attraverso di essa.

Veniva dal mare.

Era… la più lunga! Per un solo attimo, infatti, il Commissario vide in prossimità dell’acqua… gli altri cinque serpenti!

Corse via disperato.

Rosso seppe, in quel momento, che fine avessero fatto i banditi e Lavalle. Lui era distante dalla spiaggia, era stato preso solo da uno dei serpenti, quello più lungo.

Ma gli altri, forse, quando erano stati presi, si trovavano più vicini al mare.

Rosso salì sul punto più alto dell’isola.

Si fermò, pensò a Lavalle, trascinato in fondo al mare.

Si mise il volto tra le mani, pianse e gridò, non poteva fare più niente per il suo collega, per i banditi, e forse nemmeno per se stesso.

Un boato.

In alto nel cielo.

Rosso guardò in alto, era qualche centinaio di metri sopra l’isola, proprio sopra la sua testa.

Il cielo sembrò contorcersi, come un vortice in mezzo al mare.

Rosso urlò disperato: “ Ma che succede?!!!? Gesù aiutami!! Siamo all’Inferno!!!!”.

Il Commissario guardò il mare.

Fu allora che li vide. Tutti!

Erano a decine.

Non erano serpenti! erano tentacoli!

Passavano in continuazione da uno stato di invisibilità ad una consistenza, semi, trasparente.

Puntavano tutti verso l’alto, verso il vortice nel cielo.

Sembravano, nella loro mostruosa estraneità, mostrare una forma di adorazione verso quel punto in aria.

Rosso perse ogni barlume di ragione logica.

Sapeva che per lui era finita.

Si portò la Beretta alla testa.

Un altro boato all’improvviso scoppiò in ogni dove.

Rosso si distrasse.

Il vortice era divenuto nero, poi sembrò collassare, e subito dopo al Commissario sembrò che si fosse aperto!

Rosso ritenne, per un attimo, di vedere attraverso quel vortice.

Ma i colori che intravide erano strani, diversi, sconosciuti.

Il Commissario non sopportò oltre. Svenne…

Quando venne ritrovato alcune ore dopo, il Commissario Moreno Rosso, era in mezzo al mare, sul gommone della Guardia di Finanza.

Il natante che avevano usato i banditi, era a poche decine di metri, anch’esso alla deriva.

I soccorritori, dopo aver trovato il Ginolfi, ed aver letto il biglietto di Lavalle, erano corsi con diversi battelli; ma non era stata trovata traccia alcuna di Kobugi e dei suoi complici.

Rosso raccontò di quanto era accaduto sull’isolotto, ma gli fecero notare che, in quella zona di mare, non ci sono isole per molti chilometri, così come gli fecero vedere che l’acqua non fosse gialla.

Le ricerche in mare rinvennero le armi degli assalitori, la mitraglietta di Lavalle, e brandelli di vestiti, sia dei banditi che del povero ispettore Roberto Lavalle.

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