Racconto di Maddalena Sterpetti

(Quarta pubblicazione – 24 aprile 2019)

 

I Ricordi

Erano almeno 250, se non 300 gli amici della nonna. Un gruppo di arzille vecchiette e un altrettanto bel gruppo di gagliardi vecchietti. Questo perché una ventina di anni prima nonna Costi, come la chiamava lei – (Sofia) – ma il nome era Costanza, era riuscita ad aprire insieme al suo fidato amico di sempre, Riccardo, un circolo per anziani.

Aveva lavorato a lungo ai fianchi l’Assessore alla Cultura della sua piccola comunità e alla fine, con la tenacia e la gentilezza che l’avevano sempre contraddistinta, era riuscita ad ottenere un locale del vecchio ospedale, oramai chiuso da decenni, ed aveva messo su un bel circolo dove tutti gli anziani si radunavano nelle più diverse ore del giorno e a volte anche della sera se vi erano eventi da organizzare o serate speciali a cui partecipare. Ognuno era socio del circolo, una piccola quota per ognuno per provvedere al pagamento delle bollette o di altre piccole spese e quel circolo oltre a far del bene a tanti cittadini oramai in là con l’età, aveva alla fine portato ad essere frequentato anche dai nipoti che si divertivano a giocare a carte, a bocce o qualsiasi altro evento si organizzasse lì.

Ora, ognuno di quegli amici, il fatto che la nonna era morta (e Sofia non era ancora del tutto consapevole che da quel giorno non l’avrebbe più vista né che non avrebbe potuto parlarci, chiederle consigli, o fare tutto quello che lei condivideva); tutto quello non avrebbe più avuto esistenza.

Difficile, difficilissimo da interiorizzare; la nonna era la sua migliore amica, la sua fidata amica, era lo specchio della sua anima, diceva Sofia parlando di lei ai suoi amici.

Certo era morta come Sofia aveva sempre sperato che accadesse, e sentiva di dover essere grata per questo, si era addormentata e non si era più svegliata. Un infarto, aveva detto il Dottor Medossi, un infarto che velocemente e senza dolore l’aveva portata nell’altra dimensione; Costanza era un’acerrima sostenitrice delle teorie della reincarnazione e quando parlava della morte fisica, definiva il trapasso” come un passaggio dell’energia umana in un’altra dimensione”.

Persa in questi pensieri, Sofia si rese conto che stava dimenticando perché fosse salita lassù in quella soffitta polverosa e gelida: doveva cercare oggetti, vecchi indumenti o altro da dare agli amici della nonna, perché quasi tutti avevano espresso il desiderio di avere un ricordo, un qualsiasi piccolo oggetto che fosse appartenuto a Costanza.

Così Sofia dopo tanto aspettare, perché sapeva sarebbe stato doloroso avere tra le mani pezzi di vita della nonna, era salita in soffitta dove la donna conservava ciò che per lei aveva avuto o aveva ancora un valore. “Va bene” si disse Sofia “iniziamo la ricerca”.

Ceste di tante dimensioni, vecchie borse, soprammobili specchietti da parete (erano la sua passione) e due grossi bauli, che Sofia forse non aveva mai aperto, la nonna viveva in quella casa da sempre o comunque Sofia la ricordava lì, lei era piccolina e la nonna viveva già lì da sola. La madre di Sofia, Greta, era rimasta incinta di lei in età avanzata, intorno ai 39 anni ed era deceduta quando Sofia aveva compiuto 22 anni, il papà, Ludovico non si era mai risposato, Sofia adorava il padre, lo adorava per la sua calma e la sua lucida razionalità, aveva il dono di scandagliare un problema e ridurlo a poco, e in breve risolverlo; aveva un grande senso pratico; aveva lavorato per tutta la vita come dipendente di un ente previdenziale, lo aveva fatto con passione e molte persone lo stimavano per come le aveva aiutate nel risolvere tutti i problemi burocratici e dopo pochi anni dalla morte della moglie era andato in pensione. Ora si godeva il riposo frequentando il circolo della suocera, che aveva sempre considerato come una sorella, nonostante i primi screzi quando si erano conosciuti.

Costanza era particolarmente gelosa della figlia Greta e quando i due si erano conosciuti, lei aveva voluto essere certa che fosse l’uomo giusto per lei, l’uomo in effetti aveva 8 anni in più di Greta; Costanza era una ragazza madre, nessuno sapeva chi fosse il padre di Greta, non solo, nessuno aveva la benché minima idea di chi potesse essere.

La bambina era nata subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel giugno del 1946, Costanza alcuni mesi prima aveva trovato un  lavoro come cameriera in un albergo della città vicina, i  proprietari dell’albergo erano Riccardo, quello che poi negli anni sarebbe divenuto suo fidatissimo amico e sua moglie Carla; i due coniugi avevano voluto da subito molto bene alla ragazza e quando si erano accorti che era incinta, non avendo avuto figli, l’avevano accolta nell’albergo, dandole una stanza all’ultimo piano corredata di bagno e di un piccolo spazio, dove la ragazza aveva organizzato un cucinino.

“Basta”, disse praticamente ad alta voce Sofia,” devo cercare oggetti della nonna per i suoi amici, basta ricordi, basta tentennamenti”. Aprì uno dei due bauli piuttosto impolverati che aveva davanti e iniziò a tirar fuori vecchi abiti, magliette sbiadite, borse, scialli oramai fuori moda, vecchie calze di lana, cappellini e in fondo al baule notò una grande busta di plastica con dentro quelli che sembravano fogli di carta;”Saranno carte amministrative della cartoleria” pensò Sofia, la cartoleria che negli anni ’50 Costanza aveva rilevato da una signora vedova oramai troppo vecchia e stanca per continuare a lavorarci.

Aprì la busta di plastica e si ritrovò fra le mani delle buste, buste da lettera, con dentro appunto delle lettere. “Vecchie corrispondenze, chissà con chi”? Rifletté la ragazza; “come mai tanto gelosamente conservate lassù, anzi, non conservate, ma praticamente nascoste sotto pile di abiti e altra roba vecchia”?

Erano tutte indirizzate a Costanza, e la mano che aveva tratteggiato il nome e l’indirizzo della donna era la stessa, ed erano davvero tante, almeno un centinaio; Sofia era curiosissima, avrebbe voluto aprirle tutte e capire all’istante di cosa si trattasse ma in quella soffitta si gelava, così chiuse la busta e la mise da parte, l’avrebbe portata di sotto e con tutta calma avrebbe letto il contenuto delle buste. Riprese a cercare oggetti della nonna e dopo una mezz’ora decise che per quel giorno poteva bastare. Scese al piano terra, accese il fuoco nel caminetto, Lord il gatto della nonna corse per acciambellarsi nella poltrona più vicina alle fiamme non prima però di averle gettato un’occhiataccia, si stava lamentando del fatto che il caminetto fosse rimasto spento per troppe ore dalla sera prima. Sofia con la tazza della sua tisana preferita si accomodò sul divano e sparse davanti a sé tutte le lettere di quella persona dall’elegante grafia: cercò di capire quale fosse la prima, perché aveva intuito che le lettere erano una piccola storia che le si stava snodando davanti agli occhi.

II Ewald

Tutte iniziavano con “Mia cara Costanza”, e tutte terminavano con “Ricordati che ti amo immensamente, tuo Ewald”.

Sofia era sempre più meravigliata e stupita: la nonna aveva avuto un fidanzato! E a lei non aveva mai detto nulla? Ma no, non a lei, nessuno sapeva nulla di un’eventuale storia d’amore in cui fosse coinvolta Costanza, non perché non fosse attraente, anzi, Costanza era stata una delle donne più belle della cittadina ed aveva avuto moltissimi corteggiatori, nonostante fosse una ragazza madre. Ma a nessuno la donna aveva concesso di avvicinarsi più di tanto, solo Riccardo, una volta divenuto vedovo, iniziò a frequentarla regolarmente, ma i due avevano un affetto davvero solo fraterno, erano due caratteri molto in simbiosi e probabilmente se si fossero incontrati da ragazzini si sarebbero potuti innamorare ma la guerra, come per molti, aveva stravolto i loro destini.

Ewald, l’uomo delle lettere si firmava solo con il nome e non c’era mittente nelle buste. Comunque la ragazza cercò di riordinare le lettere per data, secondo il timbro dell’ufficio postale, poi si rese conto che c’erano anche lettere della nonna. Erano tornate indietro, non ritirate dal destinatario.

Con il cuore in trepidazione aprì la prima lettera, era datata marzo 1944 e Ewald scriveva dal fronte, sulla linea gotica.

Sofia passò gran parte delle ore pomeridiane e quasi tutta la sera prima di cena a leggere; verso le 20 tornò il padre dal circolo e con grande entusiasmo iniziò a parlargli delle lettere ritrovate e di tutto quello che aveva scoperto fino a quel momento. All’inizio Ludovico fece fatica a starle dietro, la ragazza sembrava essere in preda ad un attacco di entusiasmo viscerale:

-“Ti prego cara, calmati e cerca di essere più tranquilla nel raccontare il contenuto di queste lettere. Allora la nonna ha avuto una storia d’amore con questo Ewald, un soldato della Wehrmacth che era di stanza qui?”.

“Si papà, così”.

“Ok vado per ordine”. Allora nel settembre del ‘43 in città arrivarono le truppe tedesche, si insediarono in quello che oggi è il municipio, un tempo lì c’erano le scuole elementari; lui, il soldato, faceva da tramite, conosceva l’italiano perché era stato studente della facoltà di architettura a Tubinga ed era stato in Italia alla fine degli anni ’30 per perfezionare la laurea, aveva conseguito una specializzazione a Venezia.

Ewald aveva incontrato Costanza che faceva la fila davanti ad un forno per la quota del pane giornaliero, avevano iniziato a parlare e si erano subito intesi; Costanza aveva frequentato per due anni la facoltà di storia dell’arte ma poi era scoppiata la guerra e tutto aveva avuto termine.

Avevano molto di cui parlare e ogni volta che Ewald aveva qualche ora libera dal lavoro di interprete o di traduttore andava a cercarla nella sartoria dove all’epoca la nonna lavorava.

I due giovani si erano innamorati perdutamente. Si cercavano con la disperazione di chi sa che quel tempo vissuto insieme avrebbe potuto essere l’ultimo tempo avuto per amarsi nel bel mezzo di una tragedia; tra la morte e la disperazione si aggrapparono a quel sentimento che era nato in modo del tutto inaspettato ma con il desiderio di coltivarlo, tanto era il bene che faceva ad entrambi in tanto dolore assurdo.

Ewald era distaccato presso il comando della Wehrmacth e non aveva incarichi pericolosi ma se tutta la sua compagnia si fosse spostata altrove lui sarebbe partito e allora nonna Costanza avrebbe aspettato invano forse un uomo che non sarebbe più tornato.

“La nonna deve essere stata davvero innamorata sai di Ewald, papà perché lui dal modo in cui scrive la tratta come fosse stata la sua principessa, la cosa più preziosa che lui abbia mai avuto nella sua vita. Si sono amati per alcuni mesi, proprio qui tra i nostri concittadini”.

Ewald era ben voluto perché era buono e gentile e per nulla convinto delle idee del nazismo. Era stato chiamato in guerra quando aveva 27 anni, era contrario all’uso di qualsiasi arma o violenza sugli esseri umani, per fortuna grazie al suo italiano perfetto fu affidato alla segreteria di un generale che aveva contatti con le forze armate italiane e la guerra vera e propria la visse marginalmente. Poi dopo circa dieci mesi di questo amore unico e appassionato la nonna restò incinta, Ewald però dopo poco più di un mese partì con la sua compagnia ed allora iniziarono a scriversi.

“Fin qui ho capito questo papà, ora devo finire di leggere le altre lettere che riguardano il ritorno in Germania di Ewald, perché per fortuna lui non è morto durante il conflitto e capire cosa è accaduto poi. Ma papà se la mamma è nata a gennaio del ’45?! Papà la mamma è figlia di questo Ewald? Papà io ho sangue tedesco nelle vene? Oddio papà si spiegano i miei occhi azzurri in una famiglia con tanti occhi neri? Si spiegano i capelli biondi della mamma?”

-“Tesoro non correre, finisci di leggere tutte le lettere e poi ne parliamo, va bene? Ora però io vado a dormire, le mie vecchie ossa chiedono una posizione più adeguata, cioè orizzontale, tu per favore non stare sveglia tutta la notte, cerca di riposare, leggerai le lettere rimaste domani con la luce del sole. Buonanotte tesoro”.

Sofia non ascoltò neppure il padre.

Avevano praticamente cenato sul tavolinetto davanti al divano tanta era stato l’entusiasmo della ragazza di raccontare tutto e subito al padre; portò allora i piatti in cucina, lavò tutto velocemente poi torno in soggiorno, attizzò il fuoco nel camino e riprese la lettura.

Alle 7.30 del mattino dopo Ludovico la trovò sotto un plaid sempre sul divano, circondata da lettere, buste e con Lord acciambellato tra le gambe, per fortuna il fuoco nel camino non si era del tutto spento. Con dolcezza, l’uomo coprì meglio la figlia, mise altra legno sul fuoco e andò in cucina a preparare la colazione. Poco dopo sentì Sofia che gli cingeva le spalle da dietro e lo abbracciava sbadigliando:

-“Oh papà sapessi!”

-“Beh credo che a brevissimo saprò tutto. Non credo che ti terrai tutto per te neanche se ti obbligassi. Forza siediti mangiamo e raccontami cosa hai trovato in quei fogli della nonna”.

-“Papà la nonna ed Ewald si sono scritti per mesi, si parlavano per lettera continuando ad amarsi. Si scrivevano come se fossero a pochi chilometri uno dall’altra e con la fiducia che presto si sarebbero ritrovati per poi amarsi fino alla fine della loro vita. Papà il loro era davvero un amore incredibile, si scrivevano come fossero stati sempre insieme, come se la loro storia fosse nata sui banchi delle scuole. Erano due anime gemelle, due cuori talmente affini da avere a volte gli stessi pensieri, le stesse aspirazioni. Oddio papà io voglio incontrare un amore così nella mia vita!”

-“Tesoro tu hai tutte le carte in regola per poter avere una storia d’amore che ti faccia sognare e costruire la vita che desideri”.

-“ Ti voglio bene papà” disse Sofia scoccando un sonoro bacio sulla guancia di Ludovico.

-“Allora papà. La nonna nel maggio del 1944 era incinta. Io sono la nipote di questo Ewald. È così. Perché la mamma è nata esattamente 9 mesi dopo. Ma ci pensi papà, la nonna non ha detto nulla a nessuno per tutti quegli anni, ma sai perché? Nonna Costanza era convinta che Ewald sarebbe tornato da lei, perché le ultime lettere del nonno, e sì papà, lui era mio nonno, le sue ultime lettere, mi sembra le ultime 9, le ha scritte dalla Germania, e le lettere che gli ha scritto la nonna, quelle tornate indietro, sono indirizzate a Ewald Lehmann a Tubinga; il nonno era tornato a vivere nella città dove aveva studiato da giovane soprattutto perché sperava di avere un lavoro proprio in quella Università. Aveva ritrovato un suo vecchio professore rientrando dalla guerra e con il lavoro che questi gli aveva proposto sperava di far arrivare in Germania nonna Costanza con la bambina, la mamma.

Anzi in una lettera Ewald scrive che sarà lui a venire in Italia, per abbracciare finalmente sua figlia e per portare mamma e figlia in Germania con lui. Purtroppo ad un certo punto le lettere della nonna hanno iniziato a tornare indietro e non ci sono più lettere di Ewald all’indirizzo della nonna nell’albergo di Riccardo. Papà io devo andare lassù, io voglio capire cosa è accaduto. Abbiamo l’indirizzo di Ewald, qualcosa si saprà, al municipio o magari proprio all’Università.”

-“Sofia cara, io non mi sento di fare nessun viaggio”

-“Papà non devi venire con me, io posso andare tranquillamente da sola, davvero. Oramai so viaggiare anche sola e lo sai, ho fatto più chilometri con gli aerei che in auto nell’ultimo anno.”

-“Lo so cara, lo so. Va bene. Quando vuoi partire?”

-“Ho già prenotato online un aereo stanotte per domani sera, mi accompagni in aeroporto vero?”.

Ludovico guardò la figlia senza troppa sorpresa, oramai conosceva la caparbietà che metteva nel raggiungere un risultato; aveva conseguito a 23 anni una laurea magistrale in lingue quando le sue amiche erano ancora ai corsi della laurea triennale. Era davvero tenace, se si metteva in testa un obiettivo non c’erano difficoltà di alcun genere che potessero fermarla.

Sofia partì con l’entusiasmo di una scolaretta al suo primo giorno di scuola, voleva scoprire tutto di quell’uomo che aveva fatto innamorare la nonna. Sapeva di avere poche speranze ma era fiduciosa, non si sa mai nella vita, disse tra sé e sé in aereo.

Arrivata a Tubinga si fece portare con un taxi all’indirizzo che aveva trovato sulle lettere della nonna.

Si trovò davanti ad un vecchio palazzo, sembrava ad occhio e croce costruito alla fine dell’800, al massimo ai primi del ‘900. Avevano fatto alcuni lavori di restauro ma nel complesso era una bellissima costruzione: elegante ma non sfarzosa ed era vicino l’università; Sofia si avvicinò al grande portone, prese coraggio ed entrò.

C’era in fondo all’androne una porticina: doveva essere l’appartamento del portiere, spesso queste vecchie abitazioni ne erano provviste. Bussò e poco dopo un giovane alto con gli occhiali tondi aprì.

Sì, suo padre era il portiere, disse il ragazzo aggiustandosi il ciuffo di capelli biondi sulla fronte, ma in quel momento non c’era. Poteva aiutarla lui? Sofia spiego il motivo della sua visita e mentre parlava si rese conto che il ragazzo sgranava sempre di più gli occhi.

-“Ewald Lehmann è mio nonno”.

I ragazzi si guardarono negli occhi e all’istante si resero conto di assomigliarsi.

Quasi come due gocce d’acqua.