Racconto di Brillante Massaro

(Prima pubblicazione)

 

 

La signora del terzo piano

Ore 12

Mi alzo a fatica. Ieri sera, la cena con gli amici (cena poi…) è stata più lunga del solito. La casa è sottosopra, un macello! Tra un quarto d’ora arriva l’amministratore, io non so da dove cominciare se da me stessa o dalla casa. Ho un aspetto orribile, ma questo si sa è il prezzo da pagare quando esageri con il vino e diciamolo, a stomaco pressoché vuoto. Senza pressoché è meglio. I pressoché sono sempre pronti ad edulcorare le cose, un inutile conformismo ipocrita per dire le cose senza avere le palle per dirle fino in fondo. Pane al pane e vino al vino. Ecco appunto il vino!

Avere una casa mia mi fa sentire libera, fuori dagli schemi: si mangia alle… si cena alle… al mattino si fa la spesa in orario perché al Tocco si mangia. La lavatrice? Attenzione! Panni bianchi con panni bianchi guai a mischiarli con i colorati.

A casa mia gli amici vengono all’improvviso, chiacchierano, cazzeggiano con i vari strumentini musicali, si fanno le canne e poi quando si scatena la fame chimica aprono il frigo nella vana speranza di trovarci qualcosa. Qualsiasi cosa. Non sempre sono fortunati, anzi a dire il vero quasi mai, solo il lunedì si catapultano speranzosi con la testa nel frigo ben sapendo che la domenica sono stata da mia mamma e che sicuramente ho portato via qualcosa di già pronto. Il lunedì è un giorno affollatissimo.

Il venerdì è una giornataccia, e ieri era venerdì. Abbiamo cenato con pane, noci e vino, quello non manca mai.

Ore 12,10

Sempre così, più fretta ho, più ciondolo perdendomi nei miei pensieri. Colpa del numero sette: è il limite che la nostra mente ha nel processare informazioni da tenere a mente. Anzi, 7 più o meno due, dipende. Quindi 5 o 9. Io sono per il minimo spreco quindi 5.

– Sta per arrivare l’amministratore – urlo

– E allora

– Allora, allora datti da fare non lo vedi che qua è un casino?

– Finisco di scrivere sto passaggio altrimenti me lo scordo

– Appena ti alzi subito al piano eh? Ma è possibile? Dai. Datti una mossa, fai arieggiare un po’ il salone che c’è puzza di fumo, se no dove lo faccio entrare? La cucina è incasinata.

– Ok

Ore 12,12

Mi lavo i denti, mi sciacquo la faccia. Che faccia che ho! Due profonde occhiaie viola solcano il contorno occhi, un pallore livido mi retro illumina la faccia. Un veloce make up: fondotinta, eye liner, rossetto. Cerco di assumere un aspetto perbene da persona ammodo. Ammodo è un termine orribile ma rende bene l’idea. Non fargli una brutta impressione è fondamentale per la sopravvivenza: quando viene Gianni a casa, le note di Caravan, i barriti del suo sax arrivano fino al palazzo di fronte. Allora meglio non inimicarsi il nuovo amministratore.

Ore 12.15

Suonano alla porta. Apro. Sfodero un sorriso accogliente che di solito funziona, speriamo bene.

Lo faccio accomodare lui intanto si guarda intorno ed io seguo il suo sguardo, cercando di indovinare dove si poserà. Lo anticipo facendo da scudo con il mio corpo per nascondere il portacenere con le cicche di ieri sera che è ancora lì stracolmo.

– Si sieda la prego.

– Non vorrei dare fastidio. Volevo sono lasciarle il prospetto dell’ultima ripartizione dell’acqua condominiale.

– Ma si accomodi, le posso offrire qualcosa? Un caffe?

– Grazie, un caffè lo prendo volentieri

Lo lascio in compagnia di Andrea che finalmente si è degnato di onorarci della sua presenza

Faccio la macchinetta da tre tazze, preparo il vassoio, cerco le tazze. Eh… le tazze. Non ne trovo tre uguali, eccheccavolo! In casa ognuno ha delle specifiche preferenze, delle abilità nel rompere proprio quell’oggetto e non un altro. Io preferisco le tazze e non importa quante ne compro, in un modo o in un altro riesco sempre a rimanere senza. Il profumo del caffè mi distoglie, intanto prendo tre tazze diverse e le colloco sul vassoio. Prendo la zuccheriera VUOTA. Apro l’anta del pensile alla ricerca dello zucchero… Non c’è! Vado in panico. E mo? Mo miele!

– Un cucchiaino di miele va bene o ne vuole mezzo?

– Miele?

– Eh sì, sa da quando abbiamo scoperto gli effetti deleteri dello zucchero raffinato… sa provoca la steatosi epatica e danneggia le ossa… ora solo miele. E’ un ottimo antiossidante, un antibatterico e rafforza il sistema immunitario

– Ah… non lo sapevo. In effetti il sapore non è male… cioè è…buono

Si passa a discutere di altro.

Ore 12,30

L’amministratore si congeda.

– Scendo, vado a prendere lo zucchero se no ce lo scordiamo

– OK

Il bello di non organizzarsi per la spesa è proprio questo: ti tieni in allenamento, scendi più volte al giorno a prendere solo quello che ti serve. Arrivo dal salumiere all’angolo, prendo lo zucchero.

– Te lo incarto?

– Non ti preoccupare

– Ci salutiamo ma non in modo definitivo, sappiamo entrambi che la giornata per me è appena cominciata e che ci saranno ulteriori occasioni di incontro.

12,40

Entro nel parco, ho lo zucchero che troneggia nella mia mano destra. Da lontano un uomo procede verso di me sul marciapiede. È l’amministratore. Le distanze tra noi si accorciano e io non ho vie di fuga!

Il marciapiede è stretto e in due non ci stiamo, uno dei due sarà costretto a scendere. Lui avanza, io avanzo. Mi sento scoperta. Mi guardo la mano che serra il pacco di zucchero: Eridania classico, compro sempre lo stesso, un bel pacco confezione morbida rosso fuoco, bisognerebbe essere davvero cecati per non vederla. Intanto lui è vicinissimo, è quel momento in cui l’uno dà all’altro la certezza del riconoscimento. Un gioco di sguardi dà ufficialità al nostro riconoscerci.

Eccoci.

Mi cede il passo mentre io controllo la direzione dei suoi occhi. Sì sono proprio ben direzionati verso la mia mano destra. Po distoglie lo sguardo e fissa i suoi piccoli occhi azzurri nei miei.

– Buongiorno – dice

– Buongiorno a lei – rispondo

Daniele

Sollevò la testa e puntò lo sguardo al di là dal vetro. Ci vollero alcuni secondi prima che mettesse a fuoco. Succedeva sempre così quando stava per troppo tempo chinato a costruire i suoi modellini.

Intanto spuntò dal fondo del parco la giovane signora del terzo piano, una tipa un po’ trasandata ma dal sorriso cordiale, riservata. Lo salutò con un –buongiorno- veloce, come faceva sempre almeno 4 o 5 volte al giorno quando scendeva a fare la spesa. Vedeva passare le signore cariche di buste della spesa col passo pesante e il sorriso spento, qualche volta qualcuna gliele lasciava lì in guardiola e per andare a fare un ulteriore carico e lui si divertiva a curiosare: apriva la busta e lasciava cadere lo sguardo, qualche volta la sua mano scivolava lentamente all’interno per scavare sul fondo e scoprire, al tatto, un pezzo di vita, ma poi, timoroso, la tirava via.

Lei invece, la signora del terzo piano, no. Scendeva più volte al giorno sempre con quel passetto frizzante, i capelli a coda di cavallo e non un briciolo di trucco in faccia. Ogni volta la vedeva ritornare 5 minuti dopo con una busta leggera contenente sicuramente non più di due prodotti. La gente è proprio strana. Quella lì preferiva sbattersi a scendere più volte piuttosto che fare una regolare lista della spesa e comprare tutto in una volta sola. Avrebbe voluto chiederglielo. Ma non poteva. La pensava chiusa in un mondo tutto suo pieno di divieti d’accesso. Comunque gli sarebbe proprio piaciuto scambiare qualche parola con lei. Osservare le vite degli altri era per lui un’occupazione a tempo pieno. D’altronde come si fa a sopravvivere in un bugigattolo 2 metri per due per 8 ore al giorno se non ti inventi qualcosa? In fondo è solo una strategia di sopravvivenza. E lui stava imparando. Leggeva, leggeva molto, e si dedicava ai suoi modellini. Le pareti della guardiola erano completamente rivestite di mensole contenenti i suoi modellini, li spolverava con il piumino ogni lunedì e se qualche condomino si affacciava in guardiola per qualche informazione, lui prontamente lo invitava ad entrare nella speranza che qualcuno, guardandosi intorno, si interessasse ai suoi modellini. Non vedeva l’ora di parlarne con qualcuno che non fosse sua moglie, che ormai lo stoppava prima ancora che lui iniziasse a parlare della sua ultima opera, o con Giuseppe che era molto più paziente e comprensivo, ma poco loquace, gli manifestava interesse solo dimenando la coda.

 

Poi lo vide arrivare. Lo scrutò. Stava guardando nella sua direzione? Da quando era arrivato lui, la situazione si era complicata e il suo lavoro era diventato ancora più faticoso. Quindici giorni prima lo aveva anche invitato alla riunione condominiale, ma non gli era sembrata una cortesia. Anzi. Si sentiva controllato. Lo guardò ancora una volta. No. Non gli piaceva proprio. Quel suo modo di camminare a piccoli passetti veloci come se avesse sempre qualcuno alle calcagna, quel suo sedersi e accavallando le gambe stringendo le cosce, si chiedeva sempre: ma le palle dove le mette? Forse era proprio questo che più gli dava fastidio. Gli ritornò in mente il libro di Joe Navarro. Cos’è che diceva a proposito? Ah ecco che incrociare le gambe accavallando la caviglia sul ginocchio opposto è per gli uomini un modo di scoprire le parti deboli: la caviglia e i genitali. Scoprirle è un atto di forza, di supremazia è un voler dimostrare il proprio potete: io non ho paura. Lui invece, il nuovo amministratore, li nascondeva gelosamente i genitali. Perché questa cosa lo infastidisse così tanto non lo sapeva. O forse sì. Ma non se ne curava, era troppo impegnato a coltivare il disgusto per l’altro per occuparsene. E comunque se lo meritava il suo disgusto pensò. Si meritava tutto quello e molto altro ancora.

La signora del terzo piano intanto rientrava con un pacco in mano un pacco di zucchero del tipo Eridania classico, l’aveva riconosciuto subito con quel rosso smagliante, anche lui comprava sempre lo stesso. La vide rallentare impercettibilmente appena si accorse della presenza dell’amministratore e gli sembro che anche il suo colorito olivastro tendesse per un momento al bianco. Aveva sempre avuto un acuto spirito di osservazione, quel lavoro poi, e le sue letture, avevano fatto il resto. Non gli sfuggiva nulla. La vide guardarsi la mano che trasportava il pacco e gli sembrò che il pacco, nella sua confezione morbida subisse un leggero stritolamento dalle dita. Ma presto la vide distogliere lo sguardo e puntare uno sguardo frettoloso sull’amministratore accompagnato probabilmente da un buongiorno che fu ricambiato. Sparì velocemente come inghiottita dall’androne del palazzo.

Il signor Apiculo, così si chiamava l’amministratore, si avvicinò alla guardiola. Se lo vide arrivare addosso in men che non si dica con quel passetto sbilenco e quegli occhietti celesti, le palpebre sporgenti erano evidenziate ancor più da borse sottoculari davano al suo sguardo un aspetto stanco e malaticcio. Decisamente non gli piaceva.

– Qualche condomino si è lamentato- gli disse, piegando il capo verso destra per indicargli la signora del terzo piano appena andata via, la musica non tutti la gradiscono, continuò entrando nella guardiola, soprattutto la sera, la gente vuole stare tranquilla, si vuole rilassare e guardare la TV. Faccia attenzione e mi riferisca se sente suonare oltre le 11, in tal caso interverrò. Poi per la prima volta si lasciò andare ad una confidenza: Sono un po’ strani, sono andato su e mi hanno offerto un caffè con il miele e lei ha fatto tutta una storia sul perché preferissero utilizzare il miele piuttosto che lo zucchero e ora la incrocio con un pacco di zucchero in mano.

– Certamente, gli rispose formale, terrò gli occhi ben aperti, non si preoccupi. D’altronde sono qui per questo!

Il signor Apiculo si guardò intorno.

– Li fa lei questi? Indicando i modellini.

– Sì è il mio passatempo preferito.

– Belli davvero molto, e quanta pazienza e quanta concentrazione ci vuole.

Questo inatteso complimento lo spiazzò. Lo guardò meravigliato, quella faccia non gli sembrò più così riprovevole, anzi, ci trovò qualcosa di interessante, quegli occhietti sbiaditi che sapevano osservare e apprezzare la sua arte, avevano, ad osservarli meglio, una luce che illuminava tutto il volto.

Grazie, gli disse, mentre l’altro già gli voltava le spalle per andare via.