Racconto di Cinzia Ricci

(Prima pubblicazione – 1 gennaio 2021)

 

 

Tutùn, tutùn, tutùn… il soporifero dondolio del treno sta ovattando i suoi pensieri, lo sguardo incollato sul finestrino. Gocce d’acqua rigano quel vetro sporco e giallastro, fuori la nebbia… e la mente vaga.

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Anche allora stava viaggiando in treno, era il trenta di un dicembre, di tanti anni fa. I campi, gli alberi, le case, erano ricoperti di neve, un manto ancora candido, quasi immacolato, che rendeva il paesaggio suggestivo, come nelle fiabe. Stava per coronare un sogno che coltivava da tempo, poter vibrare, assieme alle note, al concerto di Capodanno.

Il cuore le batteva entrando al Musikverein e il respiro, nella Goldener Saal, per un attimo le era mancato. All’istante, lo sguardo si era perso in alto, quel soffitto a cassettoni decorato con Apollo e le muse, quelle due file di lampadari di cristallo che riflettevano e rimandavano magici effetti di luce, l’avevano fatta sentire troppo piccola per tanta magnificenza.

Poi, un soffio di fiato, aveva abbassato di nuovo gli occhi ed ecco che il respiro le si era mozzato ancora. Il ballatoio che corre lungo le pareti, sorretto da solenni cariatidi dorate, aveva dato il “La”. Le era sembrato di scivolare in un’altra epoca, chissà, forse non era salita sul treno, ma aveva viaggiato nella macchina del tempo.

Il maestro d’orchestra guidava con gesti lievi, ma decisi, il suo volto si rilassava e si contraeva, come in un travaglio, in un connubio di emozioni intrise di arte e passione, un inno all’armonia del Creato. E le note di quel “Bel Danubio Blu” stavano vibrando nelle sue vene, fluivano nel suo sangue… e raggiunsero l’anima.

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Riode ora la musica ed ecco che, da dietro quell’opaco finestrino, vede prendere forma, nella nebbia, un palcoscenico un po’ sfocato. Le ballerine, esili e leggiadre, allacciate ai loro partner in una sorta di abbraccio romantico e sensuale, sembrano candide farfalle in volo, sulle note di quel valzer di Strauss.

Aveva visualizzato quello stesso scenario anche allora, ma il palcoscenico era nitido, le luci scintillavano e tutti i contorni erano ben definiti.

Emozioni…

Gli applausi scrosciarono ancora una volta, dopo “La marcia di Radetzky”, ultima esecuzione. Lei era rimasta incollata alla sua poltrona, attardandosi un po’, poi, con occhi sognanti, si avvicinò al Maestro in punta di piedi, sembrava sfiorasse il suolo.

“Ti amo” gli sussurrò, e il suo sguardo sembrava si fosse perso nell’etere.

Lui si voltò. “Tu non ami me” le rispose con un sorriso “Tu ami la mia musica”.

“Ma la tua musica sei tu” e avvicinandosi ancora un poco pose le sue labbra su quelle di lui, in un candido bacio appena sfiorato.

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Nella notte aveva stretto tra le braccia quell’uomo, dai tratti somiglianti a un antico Dio greco, un raggio di luna illuminava la stanza e le note danzavano leggere nell’aria, sotto il cielo di Vienna.

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Il vetro di quel treno è sporco e giallastro, fuori tutto è celato nella nebbia, neanche uno spiraglio di quell’antico paesaggio suggestivo, di quei campi, quegli alberi e quelle case, ricoperti da un manto di neve ancora candido, quasi immacolato.