Racconto di Liana Cinelli

(Prima pubblicazione – 28 gennaio 2019)

 

Una notte, per la precisione la notte di sabato, erano le 23 e mi trovavo nel mio grande letto caldo, mio marito guardava la tv al piano di sotto e le bimbe dormivano nelle loro camere.

Io leggevo, ma senza interesse. Le forze mi stavano abbandonando. Riposi il libro sul comodino e mi addormentai.

Mi pareva di essermi addormentata da parecchie ore, quando l’abbaiare del mio cane mi svegliò. Mi spaventai, il mio cuore ricominciò a battere all’impazzata, i miei occhi si aprirono, ma non vedevo nulla, solo una luce accecante.

Oddio, pensai, che cosa sta succedendo?

All’interno dello spazio luminoso riuscii a distinguere due figure, le vidi poi chiaramente quando si avvicinarono a me: erano un angelo che accompagnava una bimba.

Non avevo mai visto nulla del genere, non capivo dove mi trovavo, soprattutto, non sapevo che cosa fare o che cosa dire.

Rimasi a guardare…

La bimba iniziò a parlare con me, ma non riuscivo a distinguere le sue parole. Guardai l’angelo che stava al suo fianco e mi invitò a smettere di pensare e ad ascoltare con il cuore.

Mi tornarono alla mente gli esercizi di respirazione per placare la mente del mio maestro di thai-chi e alcune frasi lette da ragazzina in un libro di Osho. Mi concentrai, entrai sempre di più in me stessa, trovai lo stato-non-stato di quiete profonda e riguardai con occhi diversi la bimba.

La piccola mi sorrise ed iniziò il suo racconto.

Mentre le sue parole arrivavano tranquille al mio cuore, i miei occhi si riempivano di lacrime calde che scendevano sul mio viso lasciando segni quasi palpabili. Ad un tratto mi prese la mano e mi portò con sé, mi alzai dal letto ed iniziammo a volare sempre più in alto. Arrivammo così nel giardino di una scuola: la sua scuola. Era una giornata di sole, nonostante fossimo ormai a novembre inoltrato. Un gruppo di bambini si divertivano completamente soli, senza la sorveglianza di alcun adulto.

L’aria era tersa, ma si percepiva un non so che di strano, di pesante e il sole aveva deciso di nascondersi dietro una nuvola densa di paura.

Una bimba, la mia accompagnatrice, stava scalando un grande albero sotto gli occhi attenti e tremanti dei suoi compagni, ma di nessun adulto. La bimba era felice e impaurita, stava per compiere un atto di coraggio: non era mai salita così in alto. All’improvviso, ogni cosa sembrò fermarsi, gli uccellini smisero di cinguettare e le farfalle di volare. La bimba precipitò dall’alto del suo atto di coraggio e rimase immobile ai piedi del grande albero che per un po’ l’aveva ospitata.

Poi la bimba prese la mia mano e mi portò in un grande ospedale dove il suo corpicino giaceva in un letto, reso immobile da farmaci che inducevano il coma farmacologico, poiché, nella sua caduta, qualcosa le aveva perforato il fegato e non poteva muoversi.

Accanto al suo letto una donna, curva su di lei che piangeva lacrime che ormai non scendevano più: la sua mamma.

Guardai la bimba, ma capii che il suo dolore non era dovuto tanto a ciò che le era successo, ma per i suoi genitori, per come li aveva fatti soffrire.

Rimanemmo lì fino a quando il corpicino della bimba ricominciò a muoversi e lei si risvegliò.

Mi ritrovai da sola in quella stanza e ci rimasi per un tempo che mi sembrò lunghissimo. Mi voltai e vidi l’angelo che ci aveva accompagnate e mi disse che il nostro compito era terminato e che potevo tornare a casa, mentre lui sarebbe rimasto ancora.

Ero confusa e, mentre viaggiavo nella notte, sentii le mani calde di mio marito che mi scuotevano delicatamente. Aprii gli occhi e vidi i suoi che mi guardavano colmi di preoccupazione e amore.

Era mezzanotte di domenica, avevo dormito 25 ore e il mio viso era ancora rigato di lacrime.