Racconto di Alessio Barettini

(Prima pubblicazione)

 

«Alterno.»
Così mi hai detto quando ti ho domandato come facessi a gestirti fra Daniele e Roberto.
Mia sorella Cristina non ha mai avuto storie serie. Ne sembrava allergica. Non ne ha mai fatto né un problema né una malattia, così questi due anni di frequentazione con Daniele, che sono diventati una convivenza, prima, un matrimonio poi, all’inizio mi erano apparsi insoliti.
Ma da due mesi è arrivato Roberto, fra le tue parole, durante le nostre telefonate del venerdì e i più sporadici incontri domenicali, quando ci incontriamo in campagna nella vecchia casa dei nostri genitori.
Mi hai detto che sei arrivata a un punto della tua vita in cui hai deciso di non voler rinunciare a nulla che ti facesse stare bene. Ma io ti ho chiesto se ti facesse stare bene la doppiezza, oltre a Roberto.
«Non è qui, il punto, possibile che non lo capisci, che la monogamia è un fatto culturale?»
Ti ho risposto che lo capivo, ma non se una delle due parti non ne è a conoscenza: Daniele.
Mi hai detto evasivamente che non sapevo di cosa stessi parlando, che potevo solo informarmi, dato che non ci ero mai passato. E così ho fatto.
«Come ti gestisci il tempo libero? Non mi dirai che incontri Roberto la notte, mentre Daniele dorme.»
Alterno, mi hai spiegato come se fosse la cosa più naturale al mondo, a me che solo al pensiero di organizzare il mio tempo libero con più di un’attività per volta mi vengono i capogiri.
Però non mi stupisce, di decisioni curve ne hai prese tante tu, sin da ragazza, quando a quattordici anni facevi tre sport e non ne volevi lasciare nessuno, neanche con gli impegni a scuola che si intensificavano. A diciannove ti sei iscritta a informatica, l’hai lasciata per un master di giornalismo l’anno dopo, e l’anno dopo ancora hai cambiato di nuovo. Volubile, ti dicevano. Già papà te lo diceva quando ti vedeva fare i compiti con la musica accesa da una parte e la tv dall’altra. E tu, paziente, a spiegare, a rispiegare che le linee rette sono noiose, che la natura procede in modo imprevedibile, che la mente, altrimenti, si stancherebbe a seguire sempre la stessa direzione.
Chiudo la telefonata con una scusa qualunque e un inizio di vertigine che mi viene ogni volta che cerco di capirti.
Scorro la rubrica fino alla lettera d. Daniele ne è il primo contatto. Non ci siamo mai sentiti per telefono, in questi due anni. A dirla tutta non mi è mai stato abbastanza simpatico da cercarlo. Il mio istinto gli scrive un lungo messaggio, nessuna spiata ma un istinto di solidarietà, un tentativo di fare chiarezza dentro di me. Un messaggio che poi non invio. Non saprei come farlo. Mentre ho il dito premuto sulla tastiera e osservo le parole sparire rapidamente dallo schermo mi prende un senso di acidulo nella gola che cerco di scacciare con la deglutizione ma invano.
La luce esterna si è abbassata mentre guardo il cielo fuori dalla finestra. Sta cambiando colore. Forse stasera pioverà.

«Senti, non mi hai convinto. Tu e Daniele siete in crisi, non è così?»
«Ecco, non ti smentisci proprio mai. Non puoi accettare il fatto che io possa amare due persone contemporaneamente.»
«Adesso mi vuoi far credere che li ami dello stesso amore, che quando fai l’amore con Daniele non pensi a Roberto? Ti sei presa una cotta, può capitare, ma sii sincera.»
Ti sei interrotta. Stavamo riordinando delle vecchie riviste, avremmo poi deciso cosa conservare e cosa buttare; i nostri genitori avevano collezionato intere annate di L’Europeo, L’Espresso, Diario e altro ancora.
«Guarda qua, su questa copertina, c’è Bearzot. Tu avevi un poster uguale in camera, se non ricordo male. Non ho mai capito come ci si possa chiamare Bearzot e vincere un mondiale con la nazionale italiana» hai detto leggera, cambiando discorso.
Sul tavolo non c’era più spazio, dovevamo iniziare a disporre le pile altrove perché il lavoro non era finito. La suoneria dei Coldplay ha penetrato la penombra polverosa di quella stanza. Hai risposto e sei uscita. Era sicuramente Roberto, che forse ti stava dicendo che si era liberato per l’indomani o quanto era stato bello fotterti in quel motel con le stanze a tema.
Sfogliavo la rivista che conteneva un vasto assortimento di foto delle partite di quel mondiale. C’erano tutti i gol di Paolo Rossi e, naturalmente, quelli della finale contro la Germania, di Tardelli e Altobelli. Nella pagina centrale, in grande, quell’immagine storica, la partita a carte giocata da Bearzot, Zoff, Causio e il Presidente Pertini, la coppa in bella vista sull’aereo di ritorno. In quel mondiale l’Italia non era partita favorita per la vittoria, anzi. Riuscì a passare oltre il primo turno con tre pareggi e solo per differenza reti. Poi vinse.
Sei rientrata. Ti ho chiesto se fosse Roberto, mi hai risposto seccata se avrei avuto intenzione di continuare a lungo così. Ritenermi un confidente senza mai ascoltare i miei consigli è una tua prerogativa da sempre. Del resto, dicevi tu stessa, non mi parlavi per chiedermi un consiglio. Se non fossimo stati fratelli non mi avresti mai fatto certe confidenze. Ho sempre avuto l’impressione che, per te, ascoltare consigli non fosse una possibilità ma una seccatura.
«Se uno racconta delle cose non vuole, automaticamente, che l’altro si esprima con opinioni personali come se fossero dovute, non trovi?» mi hai detto una volta.

Adesso sono sdraiato mollemente sul divano di casa mia. Mia moglie è immersa nella poltrona. Stiamo guardando uno sceneggiato in tv, una specie di racconto di vita ospedaliera tutto italiano. Il genere dolciastro che non amo. Scorro meccanicamente il cellulare, ci sono gli annunci sornioni che dovrebbero rispondere ai miei desideri ma non vedo nulla di interessante. Oggi a lavoro ho fissato un programma di fitness, così cerco degli indumenti adatti. Non amo quelli che vanno in palestra con t-shirt qualunque e shorts comprati a caso, ci vuole ordine nella vita. Comunque non trovo nulla che mi piaccia e passo oltre. Il feed mi mostra un sito di incontri. Penso che se volessi potrei combinare un bell’appuntamento con casalinghe vogliose ed emancipate della mia zona. Potrebbe essere facile, ma non per me. Mia moglie dice qualcosa, io rispondo con un automatismo ma mi sei già tornata in mente, con le tue strategie esistenziali che ti fanno essere sempre diversa, oggi compagna fedele, domani casalinga arrapata, dopodomani amante focosa, prima che il giro ricominci chissà dove.
Ti scrivo ancora un messaggio, Cristina, che Daniele è un brav’uomo. Poi rispondi sviando le mie parole. Leggo senza stupore ormai, sapendo di aver fatto un altro buco nell’acqua ma a questo punto è l’ultimo che mi concedo. Mi alzo e vado a letto. Mia moglie non se ne accorge neppure, tutta presa dal suo sogno periferico di dottore affascinante e la cosa mi produce una sensazione ambigua. Ti confronto con lei. Mi dico che tu, almeno, il coraggio di viverti i sogni fino in fondo ce l’hai. Io non riuscirei. Te lo scrivo per chiudere la questione, in fondo non ho il diritto di immischiarmi ancora.
«Non ti dirò più niente, fa’ come credi. Io non riuscirei mai a fare come fai tu. Tu sei come Bearzot.»