Racconto di Enzo Secondo

(Seconda pubblicazione)

 

Sono su una scalinata elicoidale all’interno del Mandela Shopping Centre di Sandton a Johannesburg. Sto scattando delle fotografie alla struttura metallica che regge l’enorme tetto in vetro che sovrasta la zona degli ascensori e delle scale mobili. Mi sto concentrando. Voglio catturare i giochi di luce riflessi e rifratti. Si avvicina un addetto alla sicurezza, con tanto di berretto e gilè identificativo. Dalla corporatura e dal portamento, direi che appartenga alla nazione Zulu. Non è armato. Quelli davanti alle gioiellerie, invece, hanno mitragliette e fucili a pompa. L’uomo aspetta che io mi accorga di lui.

«Buon giorno, come sta?»

È il modo cortese e formale che tutti i neri usano per iniziare una conversazione. Io conosco la risposta appropriata:

«Buon giorno. Sto bene, e lei? »

«Sto bene grazie.»

Nel frattempo continuo a scattare. Click.

«Lei è un turista, vero?»

«Sì, sono qui per un paio di giorni.» Click. Click.

«Da dove viene?» Click.

«Dall’Italia.»

«Oh, davvero? Ma l’inglese lo parla bene.»

«Sì, ho vissuto a Jo’burg, fino all’età di 16 anni.» Click.

«Ma non mi dica. E dove esattamente?»

«A Bellevue ed a Yeoville.» Click, click.

«Ah, Yeoville adesso è un brutto posto.»

«Sì, ci siamo passati ieri. » Click. «Ma non siamo scesi dalla macchina.»

«La capisco.»

Faccio altri scatti e mi fermo. Con la sua presenza nera e arancione, la guardia mi sta guastando l’inquadratura. Cerco di salire tre gradini, passandogli accanto. Lui fissa la mia macchina fotografica.

Mi rimetto a scattare. Click. Click.

«No, si fermi, signore. Qui c’è un problema.» Click.

«Ah sì? Che problema?» Click.

«Lei non può scattare fotografie qui dentro con la sua macchina fotografica.»

Rimango di stucco. Per tutta la nostra conversazione ho continuato a scattare e la guardia non mi ha detto nulla.

«Sto soltanto facendo le foto ai giochi di luce sui vetri.»

«Lo so. Può fotografare soltanto con il suo telefono cellulare. Niente

fotocamere.»

«Ma, scusi, che differenza fa?»

«Questo non lo so. Arrivederci. Faccia una bella vacanza.»

«Sibonga. Hambakahle.» Qualche parola me la ricordo ancora.

Lui sorride e se ne va.