Racconto di Andrea Ciucci

(Seconda pubblicazione – 14 aprile 2021)

 

 

Era un periodo abbastanza prolifico per la band: suonavamo circa una volta a settimana.
È abbastanza difficile – di questi tempi -, per una band emergente, che tutte le volte presenta i propri pezzi. Al giorno d’oggi si preferisce ascoltare qualcosa di già conosciuto senza rendersi conto che dietro una canzone, spesso, c’è una storia nuova, personale e che, infondo, ogni canzone degna di nota presenta caratteristiche di questo tipo. Quella sera dovevamo suonare a Palata Pepoli con Leo, Murri e Jacky Sax. Poi festone all’Eskere House. L’Eskere House era il posto dove potevamo sentirci senza vincoli, abbracciare la sconfitta, sentirci dei falliti e ammirare le altre persone che si sciacquavano il culo dopo essere stati a lavoro. Noi ci sentivamo diversi. Ci sentivamo delle rockstar, dei bohemien. Alcol e derivati ci consolavano e ci facevano sentire adatti. Tempo dopo capimmo che, grazie alle nostre personalità, eravamo adatti a quel posto anche senza doverci sballare per forza: eravamo già sballati di natura. Il gruppo era composto da chiunque volesse far parte di quel circolo di sognatori agonizzati. Tuttavia, quelli che componevano una vera squadra eravamo io, Maga, Leo B, Dino, Menego, Bencio, Dave Cenere, Fillo Salmi, Dario e Tommi. Torneranno frequentemente nei periodi di Passente, vi risparmio le descrizioni per dopo. In questo periodo di trambusto e pace interiore ho iniziato a scrivere le prime pagine del mio primo libro; sentivo di avere qualcosa in più da dire. L’unico modo di affrontare la timidezza era, per me, scrivere i miei pensieri su un foglio di carta. E’ nato tutto da un gioco e sono finito col trovare la mia personale interpretazione. Poco mi importa di essere bravo, scarso, ambiguo, incompreso, la cosa di cui vado più fiero è che tutto questo l’ho fatto a modo mio.

“Chi sono io, veramente?” Era il mantra che mi ripetevo in testa. Ero forse un figlio, uno studente, un chitarrista, un amico, uno scrittore, un fidanzato, un genio o un fallito?
Qualcosa in me mi diceva che ero tutto e niente di queste cose insieme. A quel tempo non sapevo come esprimerlo. Questo è il diario del tempo in cui l’espressione ha preso il soppravvento. Il Passente dell’espressione direbbe Jimbo. Dopo essermi messo lo smalto nero –mi serviva a dire qualcosa anche quando stavo in silenzio -, alle 18 circa mi vengono a prendere Maga e Menego. Maga era il proprietario della nostra Babilonia, il guru, era sempre circondato da noi artisti: ogni artista dovrebbe avere un Maga al quale appartenere. Avete presente Gertrude Stein o Fernanda Pivano? Maga è un mentore zitto, un mind-changer.

Sa cosa vuole e sa cosa vuoi tu. Esiste una categoria di artisti con questo nome.
Menego invece era differente: è un filtro di sigaretta: sai che quando c’è lui è tutto più buono. E’quella cosa che non ti aspetti: una pepita d’oro in tasca. Andiamo a prendere l’alcol per il post serata: Gin Gordon. A quei tempi adoravo il gin, fors’anche perché mi mancava la mia ex ragazza: Ginevra. Il gin -e anche Ginevra -esaltavano le mie doti fino a quando non mi sedevo in un angolo a pensare a quanto il mondo facesse schifo. Oppure a quanto facessi schifo io. Il mondo, in fin dei conti, è un bel posto. Mi sentivo una rockstar.
Dario era con me, gli altri (Tommi, Murri, Jacky e Leobi) ci avrebbero raggiunti a Palata Pepoliprima che l’esibizione iniziasse.
Alle 18:45 circa partimmo in macchina con mio padre.
– Tato, ricordati di andare a fare il passaporto – mi disse.
– Tranquillo pà, stasera torno presto – gli dissi.
A quel tempo nessuno, a parte Leo, aveva la patente. Meglio così forse; sapevamo che quel periodo era una gioia effimera; d’altronde, quale gioia dura per sempre?
Arriviamo a destinazione, ci sono tutti, le luci erano fantastiche, facciamo il soundcheck da soli: tre ore e non concludiamo un cazzo. Alla quarta va tutto bene, stappiamo birre, suoniamo bene, Il passaporto si allontana inesorabilmente.
Leo inizia a suonare, che bello il sound di Leo; durante il cambio band decidiamo di suonare “I tempi d’oro” insieme, figata.  Ci sentivamo delle cazzo di rockstar.
Ero un po’ ubriaco – che schifo (il mondo) – e Murri mi passa una sigaretta mentre suoniamo Cokeman; inizio a cantare con la sigaretta in bocca. Mi sentivo una rockstar.
Eppure accadde che, mentre suonavo, il mantra tornò inesorabile come un uccello sulla spalla. Mi sentivo in bilico su una vetta che era destinata a cedere. Chissà cosa avrebbero detto gli altri Andrea dell’Andrea che stava suonando. Esistevano gli altri Andrea o erano soltanto momenti effimeri che passavano e ritornavano? Ogni cosa ritorna ma non torna mai come prima. Come il mantra. Come un uccello su una spalla. Come un boomerang. Come il mantra. Ogni volta era sempre più consapevole, eppure non sapevo se davvero volevo sapere la verità. La verità ti fa dimenticare i momenti della ricerca. I momenti della ricerca, il Passente della Ricerca e la ricerca del Passente erano la cosa più importante. Eppure che colpa ne avevo? Ancora non lo sapevo.

– Cazzo, il passaporto – penso ad un tratto. – Non è un gran problema, domattina mi sveglierò presto. –
Finimmo, smontammo tutto e andammo all’Eskere; partirono fiumi di birra e finalmente stappai il gin; mi manca Ginevra, ero fidanzato con un’altra, non riesco a stare zitto. A volte dovrei stare zitto. Finimmo la serata talmente fuori dalle righe che per raggiungere il posto in cui mi trovavo mi sarebbe servito il passaporto per davvero.
– Minchia, il passaporto. – devo aver pensato.

Iniziammo un discorso sul talento e sul duro lavoro. Fillo Salmi diventa re della serata e conclude che il talento esiste ma non basta. Non basta mai un cazzo. Quanti talenti servono per essere quello che veramente siamo?
Mi siedo sul divano, dico a Maga che vorrei proprio farmi fare …
Mi svegliai alle 11 della mattina seguente.
Il passaporto lo andai a prendere la settimana dopo. In quel momento ero davvero una rockstar. Almeno di questo ero sicuro.