Racconto di Giulia Criscione

(Terza pubblicazione – 17 maggio 2019)

 

Non potevo contare tutte le Lune che erano passate da quando ero chiuso in gabbia.

Erano troppe.

Le fredde sbarre di ferro facevano da cornice alla mia esistenza vuota. Agognavo la libertà.

Sapevo di poter vivere lontano da lì, ma non era abbastanza.

Non sarei comunque stato in grado di uscire.

Dalla piccola finestrella alle mie spalle udivo in continuazione dei cinguettii.

Volare… Che bello sarebbe stato! Volare lontano da quel lugubre posto!

Chiusi gli occhi e me lo immaginai, ma quando li riaprii mi resi conto che non era servito a niente; solo a farmi sentire ancora più triste.

Saltellai qua e là per sgranchirmi un po’, piegai il collo a destra, poi a sinistra, bevvi e mangiai.

Qualcuno spense la luce. Mi addormentai.

La mattina dopo regnava il silenzio, ma io avevo voglia di cantare.

Mi attaccai alle sbarre e un attimo prima di emettere il primo gorgoglio mi resi conto che la porta era…aperta!

Scappai. Scappai il più velocemente possibile da quella gabbia infernale.

La fortuna era dalla mia parte finalmente. Mi scapicollai verso una delle finestre aperte e mi lasciai per sempre alle spalle quell’enorme cella.

Passai le prime ore della mia nuova esistenza muovendomi da una parte all’altra della città, ero instancabile. Quando mi fermai definitivamente mi accorsi che ero affamato e infreddolito. Mi resi conto che non sapevo come fare. Sopperire a tali mancanze non era mai stato affar mio.

Nella cella non faceva freddo, e il cibo non mancava mai, ma sarei morto  piuttosto che tornare da dove ero venuto.

 

È così fu: morii pochi giorni dopo in un parco.

Ma prima di farlo agitai forte le mie ali variopinte, orgoglioso della libertà guadagnata.