Racconto di Maria Francesca Cantacessi

(Quarta pubblicazione – 24 maggio 2021)

 

 

Avrei preferito scrivere questa lettera, prima… prima che tu, come hai sempre vissuto, con dignità e semplicità, te ne andassi, cosi in punta di piedi… senza far rumore… in un assolato pomeriggio di agosto di due anni fa.

Io non ero lì con te e questo, ancora oggi, mi fa molto male… avrei voluto tenere le tue mani nelle mie… per l’ultima volta ma non mi è stato concesso… ero persa dietro i miei banali impegni di lavoro.

Perdonami.

I ricordi si rincorrono nella mia mente…
Ti rivedo quando eri un papà bello, giovane e forte e io mi sentivo timida e fragile, mi sembravi irraggiungibile… distante… lontano. Mi è servita una vita per capire che tu mi seguivi da lontano sempre vigile… pronto a tendermi una mano se ne avessi avuto bisogno…

Oggi posso dire che hai lasciato un’impronta profonda nel mio cuore che il tempo non potrà mai cancellare.

Ricordo, quando tornavi dai campi… portavi con te l’odore della terra misto all’odore della fatica… il tuo viso segnato dall’ intemperie, bello perché buono, buono come i frutti che ci regalavi con orgoglio e amore. Stanco ma felice e pago, perché in quel lavoro ci mettevi l’anima. Mi sono chiesta nei giorni della tua malattia, quando accarezzavo le tue mani lunghe e affusolate, come potevi avere quelle mani… mani da chirurgo… tu che avevi passato la vita a coltivare i campi… ho capito dopo… tu le piante le curavi, le accarezzavi le amavi… eri il loro medico…

Non ti ho mai permesso di entrare nella mia vita… mentivo con le mie amiche, mi vergognavo di te… del tuo lavoro… della tua condizione sociale… volevo un papà con un titolo… che sapesse parlare correttamente… un papà con giacca e cravatta… tu invece la odiavi e a malapena la indossavi alle feste di matrimonio, solo quando la mamma insisteva tanto e poi eri taciturno, solitario anche se avevi tanti amici che ti stimavano e che ti volevano bene.

La mamma era al centro dell’universo, noi comunicavamo attraverso lei. Questo non ti scalfiva, tu andavi avanti nella tua vita … aspettandomi… sapevi che prima o poi ci saremmo incontrati… e così è stato.

Intanto io crescevo, ho preso un diploma, ho trovato un lavoro e mi sono sposata. Tu non hai mai commentato, hai sempre rispettato le mie scelte… Ma allora ero arrabbiata con te, scambiavo i tuoi silenzi per disinteresse nei miei confronti.

Ma come potevi esprimere emozioni, tu che eri stato una persona abituata ai sacrifici… alla vita dura… alla fatica. Un uomo “d’altri tempi”; mi hai raccontato di aver perso il padre molto giovane ed eri il più grande di quattro fratelli e ancora adolescente sei dovuto andare a “faticare” per mantenere la famiglia. Hai attraversato il periodo buio della guerra, hai visto i tuoi amici morire, ti sei ammalato, perché hai dormito all’agghiaccio e hai rischiato di morire molto giovane a tua volta. La tua vita un romanzo.

Questo però me lo hai raccontato dopo… dopo quando ci siamo incontrati. Ed è stato… quella notte… la notte in cui vegliavamo la salma della mamma e tu come al solito, non mostravi nessun sentimento, emozione ed io ero ancora una volta arrabbiata con te… ma ad un tratto… è successo… i nostri sguardi si sono incrociati… e io nei tuoi occhi limpidi, buoni, dolci ho letto la tua disperazione… il tuo disorientamento… per la prima volta mi hai parlato, mi hai parlato come un uomo parla a una donna:
«Adesso dove vado? Che faccio?»
In un attimo ho capito, la luce si è accesa, senza esitazioni ti ho stretto le mani e ti ho sussurrato: «Papà, sono qui… non ti lascerò mai da solo.»

Da allora, non ci siamo lasciati più… abbiamo vissuto insieme undici lunghi anni.

La notte dopo il funerale della mamma, per non lasciarti solo, ho dormito nella camera degli ospiti con i miei bambini…
Ti sentivo camminare avanti e indietro nella stanza… non riuscivi a dormire… avevi vissuto quarant’anni con la stessa persona e ti sentivi solo…
Poi lentamente hai imparato a vivere senza di lei e l’hai sostituita con me…da quel momento io mi sono presa cura di te…mi sono trovata ad affrontare con te l’ultima parte della tua vita, senza volerlo…
Avevi altre due figlie… ma tu hai scelto me ed io non ho avuto nessuna esitazione…ho ricoperto appieno il ruolo.

Ti ho scoperto molto tardi… questo è il mio più grande rimpianto… avrei voluto tenerti come me il più a lungo possibile… avrei voluto parlare di più con te… avrei voluto abbracciarti… avrei voluto…ma la vita passa veloce… mi lascia in bocca un sapore amaro di cose che avrei potuto dire e di cose che avrei potuto fare… Non è vero come mi diceva la gente che tanto avevi 96 anni e che quindi per me sarebbe stato più facile rinunciare alla tua presenza… La gente non sa …. La gente parla per luoghi comuni…

Questa lettera è per te, mio caro dolce, forte padre … che mi hai insegnato… a essere quella che sono, semplicemente, naturalmente… senza forzature.
Mi viene in mente una frase di una canzone dei Beatles… che riassume la tua essenza: “let it be” lascia che sia… lascia che sia il vento… la pioggia… la felicità… il dolore… lascia che sia… tutto fa parte dell’universo… e la vita non muore mai!!!

 

DA “PAROLE MAI DETTE” Maria Francesca C. Tratto dal libro “Incommensurabile presente”

https://www.ibs.it/incommensurabile-presente-libro-filippo-mitola/e/9788884594037