Racconto di Gianluigi Vanni Bettega

(Tredicesima pubblicazione)

 

Solitamente, la vigilia di feste importanti, s’usava suonare le campane a festa.

Per fare ciò, bisognava salire in cima al campanile, mettere in sicura le cinque campane, collegare con un filo di ferro di opportuna lunghezza i battacchi a una tastiera formata da cinque tasti in legno delle dimensioni di una ciabatta ciascuno, controllare la giusta tensione, sedersi sulla piccola panca e cominciare a suonare battendo coi pugni sui tasti. Addetti a questa incombenza erano paesani che notoriamente suonavano uno strumento. I motivi più in voga erano l’uno di derivazione religiosa che faceva così: “è l’ora che pia, la squilla fedel, le note c’invia dell’ave del ciel. Ave, ave, ave Maria…” l’altro, profano, faceva:” Michellelle Michellelle voleva un cagnolinnollo…”. A me, ragazzino di otto o dieci anni, sembrava che per imparare a suonare quei motivetti ci volessero anni e anni di conservatorio! Poi successe che qualcuno mi regalò uno xilofono giocattolo, di quelli con una decina di lamierini variopinti da battere con due martelletti in legno: in breve riuscii a suonare entrambi i motivetti! – Anzi, provando diversi altri motivi, mi resi conto che si sarebbe potuto suonare anche Bandiera rossa, oddio, avendo solo 5 note a disposizione la strofa “bandiera rossa la s’innalzerà “dovevo abbassarla di un tono, però ci stava!

Fu allora, in un pomeriggio che non c’era il parroco, che convinsi due amici, uno più grande e l’altro più piccolo, a salire sul campanile per il concerto.

Entrammo in chiesa guardinghi, salimmo le rampe malferme, superammo la macchina dell’orologio e sbucammo nel locale campanario. Attendemmo che suonassero le ore, messo il fermo alle campane perché non si potessero suonare tramite le funi, collegammo i battacchi: al primo tasto il campanone e via via le altre in ordine decrescente fino alla prima. Mi sedetti sulla piccola panca, mi rimboccai le maniche e cominciai: Michellelle Michellelle voleva un cagnolinnollo, Michellelle Michellelle voleva un cagnolon. Dindiridiridin dindiridin dindiridiridin din don! E poi: è l’ora che pia la squilla fedel, le note c’invia dell’ave del ciel. Ave ave ave Maria… Tentai pure un “vecchio scarpone” però veniva stonatello, poche le note e nemmeno un accidente! Passai quindi a Bandiera Rossa, partii con avanti o popolo per finire con evviva il comunismo e la libertà, chiudendo con un zum zum!  Staccammo quindi i battacchi rimettendo tutto in ordine, tolte le sicure scendemmo in piazza: ad attenderci la Pinetta, la perpetua del curato: sono stati loro, eccoli! – urlava. E noi via di corsa a rifugiarsi in predera nascondendoci tra le rocce e aspettando che tornasse la calma. Fummo tanto veloci da non lasciare il tempo a Pinetta di riconoscerci: quando poi mi confessai da don Giuseppe, mi guardai bene dal confessargli la marachella: secondo me non era peccato!