Racconto di Mary Zarbo

(Prima pubblicazione – 13 gennaio 2019)

 

Il primo approccio che ebbi col calcio avvenne all’età di cinque anni. Mio fratello stava in porta (vera porta di legno, con tanto di maniglia d’ottone) e io tiravo rigori (con Supersantos più grande di me che andava sempre, di rimbalzo, a rompere qualcosa dietro di me o planava sul mio faccino). Il tutto avveniva tra le mura della stanza del grande fratello (come lo chiamo adesso), con sottofondo poco musicale di grida materne.

Alle elementari, per penuria di bimbi maschi, anche noi femmine giocavamo a calcio durante la ricreazione. A me toccò il ruolo di ala, a volte destra, a volte sinistra. Spesso facevo fallo, pensavo che a calcio si dovessero dare calci anche agli avversari, mica mi avevano spiegato bene le regole, eh.

Un giorno a caso della settimana mio padre portava a casa le schedine. Io e il grande fratello ce ne litigavamo una, l’altra la compilava tranquillo papà. Io un giorno ebbi la genialissima idea di scrivere una colonna per uno.

Una domenica, durante Novantesimo minuto, mi chiesi come mai io non tenessi per una squadra.

Papà aveva simpatie per il Torino, mio fratello ne cambiava una al mese, mamma tifava solo per la Nazionale e io… e io cominciai a seguire la Juventus perché il nome era strano.

Con gli anni ho perso un po’ il piacere di tifare per quella squadra, anche per fatti arcinoti, però di solito guardo con trasporto le partire di Coppa con qualunque italiana, e quelle della Nazionale.

Da qualche mese ho una gattina. Le ho comprato una palla. Quasi ogni giorno gioco con lei, io tiro e lei para. Le faccio sempre i complimenti, è davvero meglio di Buffon!