Racconto di Rocco Amato Gae

(prima pubblicazione – 7 settembre 2020)

 

 

Mi ritrovo spesso a pensare ai pipistrelli. Splendide creature che vivono la notte vegliando sulle vicende umane. Mi ritrovo spesso ad associare la loro quotidianità alla mia.

Si! Penso di essere con il tempo diventato una sorta di uman-pipistrello.

La notte magnifico momento del giorno é la mia cara amica. Tempo fa, di più, ora un po’ meno.

Ma resta sempre il momento del giorno che esalta i miei pensieri e le vicende all’esterno delle solite quattro mura che resistono nel tempo. Mura che hanno un sapore particolare.

Quello di un’intimità mai scalfita da qualsivoglia manifestazione esterna al mio mondo interiore.

La notte è la creatura degli ultimi, dei poeti, dei maledetti, degli sbandati, dei senza vita e di chi vuole ritagliarsi un alito di vita con la strada. Strada popolata da cani, gatti e randagi di ogni specie. I lampioni con le loro luci fioche fanno da cornice alle gesta dei protagonisti dell’oscurità.

Oniricità che genera e partorisce ogni possibile pensiero e situazione sulle storie di noi miserabili esseri. Come quella che ti vede, camminando camminando, incontrare buttato in terra un burattino.

Le braccia e le gambette di legno divelte, la triste testa reclinata quasi a voler chiedere un ultimo disperato aiuto prima di essere cacciato dalla vita di chi l’ha avuto forse in regalo o forse distrattamente comprato e mai posseduto con amore.

Un non amore verso quel legno, portatore ora di caricatura ora di certezza dell’imperfezione umana. Pieno a volte di stoffa grezza come può essere grezza l’anima di chi lo ha posseduto senza essere capace di dialogare e vivere con amore quel burattino.

Un burattino, un senza cuore ma con tanta tantissima voglia di gridare al mondo che è stufo di sentirsi manipolato vilipeso cacciato buttato.

Penso a questo mentre il freddo pungente, di una notte piena, si fa sentire.

Il lampione che illumina questo lembo di strada è uno di quelli di una volta, malridotto, sembra che da un momento all’altro debba cedere, però illumina degnamente e trionfalmente la tristezza del buratto.

Si, buratto caro, stanotte ci facciamo compagnia.

Ehi ma da quanto tempo ti hanno buttato? Non rispondi. Sei triste, lo immagino.

La tua tristezza si stringe alla mia. La tristezza di una vita in carne ed ossa diversa ma tanto simile alla tua. Una vita che dai primi vagiti mi ha regalato incertezza precarietà.

Una nascita segnata dall’emergenza, dal disperato bisogno di aria per vivere e dopo giorni finalmente il primo grido d’amore per la vita. Il primo pianto il primo contatto con chi mi aveva generato. Si, cresco, problemi malattie, sempre tutto precario.

Ma loro, chi mi ha messo al mondo, sono sempre là. Fin troppo presenti nella mia vita.

Cresco secondo il loro mondo. Di mio non ho niente se non l’ingenuità la timidezza di un infante che non sa relazionarsi con i suoi simili. Vado avanti. Il tempo inesorabilmente scorre. Non lascia spazi per attese per rivincite. Non c’ è niente nella mia vita.

Sai buratto caro, sembri essere sempre di più un compagno gemello nella mia vicenda umana.

Ti dico che comincio finalmente a capire qualcosa. Ma mi rendo conto che forse é già troppo tardi. Mi son perso l’adolescenza mi son perso la giovinezza. Perché? Non ho mai capito il perché. Mi sembra di vivere in una sorta di limbo fatto di niente. Nessuna preoccupazione, nessun dolore nessuna gioia. Però c è lo studio. L’illusione della scalata sociale della conquista della cultura del sapere e della verità. Ma anche questa è un’illusione dapprima per aver studiato male poi per la scoperta che non c’ è dettato che tenga per vivere questo tempo.

Ma in un bailamme di niente escono pian pianino le scoperte. Mai spontanee mai individuali mai legate a personali iniziative.

Chi conosco, e alla fine conosco un po’ di umanità, mi indirizza ora sapientemente ora saccentemente e raramente molto raramente con amore, verso il mondo legato a stili a suoni parole e a storie di uomini. Uomini spesso persi nelle loro illusioni nei loro sogni.

Ed io mica tanto diverso da loro.

Caro buratto lo so mi ascolti ignaro e incredulo di fronte a tutto questo e il miagolio di un meraviglioso gatto mi riporta al ricordo dei primissimi suoni ascoltati, alle prime passioni musicali. La musica è stata la colonna sonora della mia vita. Mi ha accompagnato sempre e comunque. Le corde di Jimmy Hendrix le poesie di Bob Dylan. Insomma, la scoperta della musica, dell’altra musica. Tanto diversa da quella che le radioline incaute bombardavano i timpani dei più.

I dischi in vinile giravano di mano in mano. Non si sapeva più di chi fossero e venivano buttati là nel dimenticatoio.

Come posso non pensare a un percorso identico a quello da te subito.

Buratto mio caro buratto ti vedo sempre più triste e privo di vita.

Però stanotte mi rendo conto di quanto la musica abbia prepotentemente avuto un ruolo nella mia vita, in tutte le mie cose c’ è stata sempre lei. L’espressione e la forza delle note di Charlie Parker e di Debussy mi hanno dato la forza necessaria per dimenticare la mia impossibilità ad esprimermi. Loro e tanti altri sono riusciti in questo, io no!

Ancora insieme eh buratto, ma quanta similitudine nelle nostre vite. Stanotte penso di aver conosciuto un fratello. Un fratello senza cuore ma con tanta anima. Buratto sei nella mia anima.

I tuoi colori mi fanno rituffare in un passato dove anche il colore e l’odore delle tele hanno magnificato il mio cuore e i miei occhi. La luce di Van Gogh, la dolcezza dei colli di Modigliani mi facevano crescere insieme al canto libero dell’albatro di Baudelaire e dei sogni e delle inquietudini di Rimbaud. Proprio quell’albatro penetrava nella mia anima grazie alla similitudine di condizione di chi scriveva. Mio dolce amico in ogni caso la vita è andata avanti.

Come? Come tante altre esistenze piene di tutto e di niente. La mia é andata.

Nel senso che ha già dato tutto quello che poteva dare e avere.

Ha avuto come tanti, tante vicende umane tradotte spesso dalla pochezza di chi le viveva e voleva malgrado tutto essere protagonista. Protagonista nell’amicizia nell’amore nei rapporti sociali e come tanti, questi diventavano infelicemente eroi negativi della mia vita.

Buratto che ne pensi di questo? Non rispondi. Chi tace acconsente diceva qualcuno.

Ahimè hai proprio ragione. Però ti posso dire una cosettina? Eccola.

Tutto il festival di colori suoni e parole vissuto almeno mi ha lasciato una possibilità.

Quella di vivere e capire fino in fondo la grandezza e la pochezza di noi poveri e veri burattini, mossi dall’alto da un qualcosa e indipendentemente dal nostro volere.

Tanti tantissimi non se ne sono accorti, non se ne accorgono. Io si!

E questa scoperta non mi ha stupito. Ecco perché stanotte io e te ci siam trovati.

E siamo amici. Amici nell’anima. Lo siamo perché viviamo lo stesso destino.

Quello destinato a una fine lontana dai cuori dagli occhi e dalla vita che domina il nostro tempo.

Ehi ma tu sembra mi voglia dire qualcosa, ho percepito una sillaba. Dai dimmi che è vero. Parli!

Dio che bello! Parli. Ho ascoltato un no! No cosa? No perché?

Si, capisco. Non sei d’accordo con il mio infelice delirio. Le parole che sto vomitando non ti piacciono, ma buratto caro, sono vere. Non posso raccontarti storie e vicende false. Ne racconto tante a me stesso.

A te non posso mentire. Mentire perché poi? Non posso mentire un’anima indifesa. Non voglio ferirti ancor di più, non voglio. E’ semplicemente vero quello che la mia anima stanotte ha voluto buttar fuori.

Sarà la notte, sarà la malinconia di tutta una vita sarà perché ho visto te, ma stanotte almeno stanotte sono stato sincero e vero.

Sai una cosa? Dopo averti incontrato e parlato mi sento più forte, più deciso e sicuro di poter dare alla mia vita un tocco diverso.

La tua condizione di essere diseredato, spesso deriso, non capito abbandonato e buttato mi spingono verso la vita. O meglio quello che resta da vivere.

Il resto dei miei giorni lo vivrò ricordando la lezione di queste ore buie, di queste ore piene di tristezza.

Ma sento qualcosa, sei ancora tu? Mi vuoi dire ancora qualcosa?

Forza quel tuo no è stato importante, avanti dimmi qualcosa. Forza buratto fammi sentire qualcosa.

Si! Ma è tuo questo sì? Caspiterina che tenera la tua faccina, che bello questo si.

Ma non capisco da dove e perché è uscito questo sì! Ah ecco. Mi vuoi dire che sei d’accordo con quello che dicevo.

Bello bello e bello sentirselo dire. La sento tutta dentro di me questa tua approvazione.

Essere condivisi é magnifico. Buratto caro fatti abbracciare. Lo meriti proprio quest’abbraccio.

Un abbraccio grande pieno di me.

Prima ti ho raccontato delle mie passioni musicali, peccato non poter ascoltare insieme ora un bel brano di Chet. Chet Baker. Hanno rotto i denti a Chet.

Anche lui come noi.

Ti ho raccontato dell’emozione per le parole dei miei amici maledetti.

Amici di parola. Amici senza tempo.

Ora che cosa mi resta da dirti ancora? Potrei dirti delle mie disillusioni.

Dei miei valori e ideali spezzati da un paese alla deriva.

Potrei dirti dei sogni infranti per una vita vissuta con lentezza e leggerezza esasperata.

Ma ti risparmio tutto questo. Non ha più senso. Ha senso quello che ti dicevo prima.

Voglio ritrovare e ritornare a vivere gli attimi che scandiscono il passare del tempo e voglio farlo con te.

Ora ti raccolgo per avvolgerti finalmente in un forte abbraccio e portarti con me.

Si buratto. Da ora in avanti sarai il compagno del tempo che resta e nessuno più ti butterà nel niente.

Avrai un posto sicuro dove la tua anima continuerà a sorridere come ha fatto questa notte.

Grazie buratto per questa notte.

Notte di pipistrelli, di tristezza e d’amore.

D’amore per un incontro da portare nel cuore per tutto il tempo che resta.