Racconto di Adelina Campagnari

(Seconda pubblicazione)

 

 

 

Non era mai stata una bambina modello, men che meno la figlia perfetta un carattere turbolento e istintivo con un’accentuata predisposizione al sogno ad occhi aperti che mal si accompagnava con le aspettative di una madre lavoratrice tutta d’un pezzo con l’ossessione dell’ordine e della pulizia.

Fin da piccola aveva imparato a convivere con tante situazioni che non le erano congeniali, a partire dal suo nome, a scuola le amiche si chiamavano Anna, Stefania, Monica, la più originale era Giulia e poi c’era lei, Briseide, con il nome antico di sua nonna, un’eredità difficile e pesante alla quale non riusciva proprio ad abituarsi.

Per molto tempo e probabilmente anche adesso, aveva ammirato la naturale inclinazione della sorella alle buone maniere, per lei era tutto così semplice e armonico: i compiti, l’ordine, per non parlare del carattere amabile e accogliente che la madre tanto apprezzava.

Ogni sera prima di addormentarsi prometteva a se stessa di cambiare di impegnarsi per essere migliore, più buona più addomesticata, ma il nuovo giorno la risvegliava sempre uguale e la promessa infranta la lasciava sempre più frustrata e triste, perennemente in guerra con il disordine, le faccende accumulate, lo studio discontinuo e poco appagante.

Le ore trascorrevano impietose tra le pagine di un libro, il sogno di un’avventura nello spazio, le dune di un deserto e l’ansia per il rientro della madre.

Verso le sette di sera si presentava puntuale l’ora del panico, durante la quale Briseide, avrebbe potuto anche vendere l’anima al diavolo per poter strizzare il naso e dondolando la testa riassettare tutto,  finire il riassunto di venti pagine dell’Iliade, accogliere la madre con un sorriso compiaciuto e nello stesso tempo speranzoso di ricevere uno sguardo di amorevole compiacimento, naturalmente riuscire nella magia di  Samantha la strega era un’infantile illusione e a lei, non restava che concordare con la sorella il prezzo dell’indispensabile aiuto.

Quante volte si erano scontrate lei e la madre, quante volte aveva urlato il disappunto e l’avversione a quei modi troppo arcaici severi e incomprensibili, ma ad ogni buon conto si ritrovavano sempre, ogni accadimento sembrava svanire quando le acque si calmavano e ognuna riusciva a parlare con tranquillità.

Improvvisamente, cambiò qualcosa per sempre. Iniziò per caso non ricordava nemmeno se fosse giorno o notte, non ricordava esattamente quando, un approccio discreto timido, un soffio, piccole particelle di ossigeno che lentamente invasero come alieni ogni momento, istante e giorno della sua vita.

Non comprese subito chi era o cosa fosse, respinse con tutta la sua volontà, quella forza estranea che avanzava, chiedendosi da dove venisse e perché fosse arrivata fino a lei, nel silenzio di una vita frastornata e convulsa.

Come era potuto accadere, si chiese incredula, ogni poro della sua pelle, tutte le sinapsi della mente erano volutamente ed ermeticamente chiuse, un muro di contenimento a prova di ogni intruso.

Qualcosa non aveva funzionato, da qualche piccola invisibile crepa quel vento era entrato confondendosi abilmente con tutte quelle sensazioni, che quotidianamente fluttuavano più o meno leggere dentro di lei.

Ebbe inizio il caos, una centrifuga impazzita nella quale finirono le sue giornate. Il nuovo il vecchio, l’oggi il domani, l’amore l’odio, il dolore la gioia, la passione la noia, la fede.

Tutto insieme, senza più un senso, un inizio o una fine senza sosta, perché, il vento dentro aveva iniziato a soffiare a sconvolgere per sempre quella calma fragile di un ordine per finta.

Aveva dimenticato qualcosa, ma non capiva cosa, ormai la porta era aperta cambiando per sempre la sua vita.

Imparò a conoscerlo e non poté resistere alla tentazione di ascoltarlo, erano estranei in un viaggio mai iniziato ma era lì e non se ne sarebbe andato senza di lei.

Da sempre, sentiva un legame profondo tra lei e l’Universo, un richiamo ancestrale che arrivava da lontano e che in alcuni momenti dell’anno raggiungeva il suo apice, facendole dimenticare lo scorrere del tempo.

Ogni anno la notte del quindici di agosto riproponeva le sue allegre tradizioni; immaginando l’universo come una lunga costante ed immutabile nota musicale suonata all’infinito, liberava il suo spirito, girando in tondo su se stessa vorticosamente, imitando i corpi celesti che si muovono incessantemente intorno al centro della terra.

Briseide rifletteva, pensava alle date scolpite nel lunario della sua vita, almanacchi della memoria, nei quali era registrato tutto il suo passato rendendolo indelebile, quante volte aveva provato a cancellare a sciogliere i tanti ricordi i tanti giorni troppo pesanti.

Si rendeva conto che la tranquillità o quello che credeva tale, le giungeva ora dalla successione di azioni quotidiane, interrotte qua e là dal costante intercalare dei pensieri, che di tanto in tanto irrompevano improvvisi negli spazi liberi della sua mente, chiedendo solo di vedere la luce.

La sua natura greve e sognatrice, l’amore per i libri, la ricerca instancabile di spiegazioni ai tanti perché della sua vita, male si accostavano alla severa disciplina profusa nell’infanzia.

Avevano sempre cercato di imbrigliare il suo spirito intenso e sfuggente, facendola ora propendere per un rispettoso e delicato isolamento, non temeva la solitudine al contrario l’amava, “il mio universo di pace ” le piaceva definirlo così, – uno spazio infinito e inesplorato, abitato da pensieri parole sensazioni che aspettavano solo di essere liberati in quell’immenso spazio di galassie lontane. Capì che doveva distillare la vita, tutte quelle realtà e verità somministrate fin dalla nascita.

Ripercorse tutta la sua giovane infanzia. “Partiamo svantaggiati, non potendola sperimentare autonomamente, ma dovendola prima accettare passivamente, con la speranza che tutto ciò che ci viene trasmesso, abbia i suoi connotati “

Si ritrovò catapultata in una delle sue galassie lontane provando a riflettere sulla verità- decise che la verità assoluta perfetta non esiste, al massimo possiamo ambire alla sua molteplicità e continua mutevolezza – per questo dobbiamo imparare fin da piccoli a distillare.

Distillare è questo il termine con il quale le piaceva definire il processo personale per la ricerca della verità La verità quella maturata attraverso la vita, la conoscenza, la consapevolezza. La verità sta nel mezzo” non sempre, spesso nel mezzo lei aveva incontrato l’astenia del coraggio, la paura delle conseguenze; la verità è fatta di piccole gocce, che non sempre arrivano tutte insieme, spesso sono amare o troppo dolci aggressive o ambigue. La verità inizialmente è grezza come un diamante incastrato in una montagna: prima la devi riconoscere e imparare ad accettare, non c’è verità che tale si possa definire le cui vesti ti possano calzare a pennello.

Briseide aveva trovato spesso che la verità è scomoda indigesta e altre volte meravigliosa e irraggiungibile, decide che la distillazione, un processo delicato, lungo, affascinante che forse l’avrebbe portata alla sua conoscenza. La distillazione doveva avere un metodo, il suo metodo, ovvero un approccio personale alla verità, e oggi madre, ben comprendeva quanto era difficile se non impossibile esse sempre coerente con ciò che aveva scoperto con ciò che aveva per sempre cambiato la sua vita. Amare crescere insegnare a un figlio la vita e la verità, non è cosa semplice, è un groviglio infinito di me e di te che si intersecano, che si respingono e si attraggono su di una giostra che gira vorticosamente dove ad ogni nuova corsa siamo diversi e i figli più grandi. Tutto intorno cambia senza sosta e non c’è tempo per voltarsi indietro perché un’altra corsa è già iniziata.