Racconto di Lucia De Bortoli

(Terza pubblicazione – 8 luglio 2019)

 

Avevano trascorso una giornata tranquilla. Tuffi sole e relax.

Come ogni sera in porto si informavano sul meteo del giorno successivo per organizzare una notte in rada, legati al gavitello, lontani dal porto caotico.

La marina era chiusa, ma in bacheca c’era il foglio stampato con le previsioni dei prossimi giorni: bora, vento da 20 a 40 nodi da nord-est.

Seduto su una panchina vicino al molo, un vecchio pescatore croato riconosce in loro i turisti inesperti e con forza li ammonisce: «Bora da! Bora da!».

La sfrontatezza degli incauti li rende sicuri e, senza dar peso a parole esperte, il giorno successivo attraccano vicino ad un’isola.  Legano la cima al gancio del gavitello, questo enorme macigno di cemento sul fondo che rende sicura la barca.

Il sole caldo e l’aria ferma danno loro la certezza che non sempre il meteo azzecca le previsioni e con tutta tranquillità trascorrono la giornata.

Claudia e Sara sono stese a prua tra parole crociate e musica, Paolo e Andrea all’ombra del tendalino di poppa tra chiacchiere, birre e sigarette, e i due figli di Claudia tra tuffi e giochi d’acqua con il gommone.

Verso sera il vento comincia soffiare e il mare si increspa con decisione sempre maggiore. La cima è ben legata. Verso le due di notte la barca inizia sobbalzare levando in alto la prua fino alla sua tensione massima quasi potesse sollevare il gavitello dal fondo.

Paolo e Andrea decidono di rimanere a poppa per controllare la situazione a turno, Claudia terrorizzata va in camera dei ragazzi che stanno dormendo cullati da un mare ostile.

Il mare ingrossa, il vento incalza sempre di più. La situazione è difficile, ma non pericolosa. Quel macigno di cemento non potrà mai spostarsi.

La barca continua a scalciare come un cavallo legato ad una staccionata. La corda si tende, si lasca e scorre inquieta nell’occhio di ferro che impedisce la fuga.

Verso le 3:30 per la millesima volta la poppa sbatte sull’acqua, rimbalza verso l’alto, ma questa volta con un colpo secco si libera dal gavitello. Una frustata brusca colpisce la chiglia. La barca è libera. Il vento spinge al largo e le onde premono verso la riva vicina.

Qualcuno grida: «La cima! Si è rotta la cima!»

Claudia immediatamente sveglia i bambini, gli infila i giubbotti di salvataggio, lega gli imbraghi e aggancia i moschettoni alle maniglie di poppa. Paolo accende il motore e Andrea a prua tenta di prendere il gancio del gavitello con un’altra cima. Le onde sono sempre più violente e sbalzano la barca verso riva, il motore non riesce a governarla, il gavitello si allontana, la costa si fa sempre più vicina.

Paolo al timone decide di andare al largo, stanno rischiando troppo. Devono uscire da quella insenatura.

Claudia, Sara ed i ragazzi sono immobili agganciati alle maniglie.

Nessuno parla.

Si sente solamente la barca sbattere sulle onde. Le sartie fischiano al vento e un pezzetto di fiocco srotolato picchia violento. Le cime sembrano serpenti imprigionati.

Paolo governa la barca, cerca di cavalcare le onde di traverso per evitare danni e Andrea controlla che in acqua non ci siano ostacoli.

Per quattro ore sobbalzano seduti immobili e legati al pozzetto, per quattro ore nessuno parla, per quattro ore il mare non lascia tregua.

Solo alle sette del mattino riescono ad arrivare dalla parte opposta dell’isola e d’improvviso il vento smette di soffiare. La baia è protetta e il mare calmo. Lentamente, senza parlare, si sganciano le cinghie, legano le cime al gavitello, tolgono i giubbotti di salvataggio.

Claudia guarda i suoi figli. Una lacrima di gioia le riscalda la guancia.