Racconto di Gianluigi Vanni Bettega

(Nona pubblicazione – 17 febbraio 2020)

 

La vecchia lancia grigia sfida il vento di tramontana che da noi si chiama Tivano.

Bogi (Ambrogio) rema con energia e sapienza rimanendo sottocosta il più possibile; è stato all’orto e ha caricato i suoi ortaggi, lui all’orto ci va con la barca: una lunga e vecchia lancia, tenuta insieme più dalla calafatura di catrame che non dal fasciame. Tupin, il suo cane nero e rossiccio, si erge a prua quasi fosse una polena mentre la prua appare e scompare fendendo l’onda. Bogi ha militato in Marina, non è solo un marinaio d’acqua dolce: è un vero Marinaio!

Finalmente entra nell’imboccatura del porticciolo e, mentre Bogi ancora sta ormeggiando a poppa, Tupin è già sceso a terra rivolto verso il padrone scodinzolando di felicità. Scende anche Bogi con la cassetta di verdura, ormeggia lasco a prua e insieme i due si avviano verso casa: dieci scalini e siamo nella piccola piazzetta, di fronte l’uscio di casa. La sera, calato il tivano, Bogi imbraccia il suo fido mandolino e, Tupin sempre presente, improvvisa una serenata alla moglie Lisa.

Siamo a Corenno Plinio, nell’epoca in cui la società Orobia ha aumentato il voltaggio dell’energia elettrica da 125 a 220 Volt. I vecchi cablaggi rivestiti in piombo vengono buttati nel lago. Il piombo, per noi ragazzini, è un elemento importante: innanzitutto il cugino Arnaldo, improvvisatosi rottamaio, ce lo paga 10 lire il kg, inoltre ci serve per la lenza, la canna la troviamo in un boschetto di bambù, sopra la centrale idroelettrica, lenze e galleggianti li recuperiamo tra quelli persi dai pescatori milanesi tra le alghe e il piombo ci serve per calibrare l’affondamento. A me il piombo serve per un’altra cosa: a casa, con un asse e un bastoncino mi costruisco una barchetta rudimentale, ritaglio la vela cercando tra i cenci di nonna, ritaglio chiglia e timone da una latta vuota dell’olio Sasso assemblo il tutto con spago sottile e chiodini e vado ad applicare il piombo, quando, mettendo la barchetta su un fianco questa cade decisamente verso la chiglia, allora significa che la barca non si capovolgerà mai.  Le prime volte facevo le vele quadrate come quelle dei comballi, ora, invece, sto provando la vela triangolare: ho costruito la randa fissandola all’albero con un giro lasco di filo di ferro, in modo che possa spostarsi da destra a sinistra e viceversa, ho legato a poppa con dello spago in modo da poter tendere o allentare l’escursione della randa. Sul lago la breva del mattino finalmente s’impone e, nel molo, proprio accanto la lancia di Bogi, una lieve brezza increspa la superficie dell’acqua con onde in miniatura: l’ideale per la mia barchetta!

Ruoto il timone in modo che la barchetta mi possa ritornare, invece, capricciosa, quando arriva alla inversione si impunta, la vela si affloscia e la barchetta va in retromarcia disordinata. Bogi, intanto, mi osserva dal muretto della piazzetta e ride: vieni, che ti spiego io come devi fare!

Salgo i dieci scalini, metto in mano la mia barchetta a Bogi: vedi, questa è la randa ma non è sufficiente per come tu vorresti fare, ci vorrebbe il fiocco, come sulle Star. Metti un’asta di prolunga alla prua, tagli una vela triangolare e la fissi tesa tra l’albero e la punta dell’asta, fissi alla base dell’albero in modo lasco, che possa il fiocco gonfiarsi sia a destra che a sinistra: quando la barca arriva al punto morto, vedrai che lo scuffio gonfierà il fiocco dall’altra parte ruotando un poco la prua, giusto quel tanto che l’aria vada a soffiare sull’altro lato della randa e riprendere così la navigazione.

Risalgo in casa e in breve eseguo la modifica: immergo la mia barchetta col timone leggermente ruotato, se ne parte col vento in poppa e, arrivata al punto morto, dopo un attimo di esitazione il fiocco si gonfia dall’altro lato, un attimo e si gira pure la randa e in qualche modo la barca torna da me. Bogi, poggiato al muretto con la sua pipa in bocca mi guarda sorridendo e, guardando meglio, mi sembra sorrida pure il Tupin!