Racconto di Nicoletta Verzicco

(Seconda pubblicazione)

 

 

Io abito nella casa dove mia nonna, Maria Luisa, ha vissuto fino ai suoi ultimi giorni. La ristrutturazione apportata ha modificato drasticamente gli interni, nonostante questo non mi serve concentrazione per vedere com’era, per provare le emozioni che i ricordi fanno emergere quotidianamente. Come altre volte raccontai in passato, io trascorsi in questa casa molte stagioni estive della mia vita, finita la scuola, prima a Milano poi a Bari, si partiva e si veniva dalla nonna. Una casuale lettura mi ha fatto tornare in mente un episodio. La severità con cui sono stata educata non mi permise, a quel tempo, di godere della libertà che avevano i miei coetanei, le mie giornate trascorrevano tra la spiaggia e il giardino di questa casa che si nutriva delle voci trattenute dei miei cugini e della mia. Avevo, però, un’amica, Rossella, che conobbi in spiaggia, lei viveva a Bologna e, come me, trascorreva qui le sue estati bambine. I mesi di luglio e agosto di quegli anni ci videro crescere, prima bambinelle che erigevano fantasiosi castelli di sabbia, che si dondolavano in due sull’altalena in mare, che si concedevano una passeggiata dall’ombrellone alle cabine de ‘Il Nettuno’, che mischiavano parole nuove, sguardi innocenti e pensieri arditi. I nostri giochi mutavano e così i nostri corpi ancora costretti in abiti ingenui.

Avevo tredici anni quando mi fu preso un bacio, uno di quei baci che avevo letto nei libri, mia fonte di fantasie, baci che le eroine, prima delle favole e poi dei romanzi, facevano arrossire, vibrare e che erano raccontati semplicemente come l’unione di bocche in un’estasi che non riuscivo a comprendere. Rossella e io conoscemmo in spiaggia due ragazzi, uno dei due, Salvatore, (se non fosse un racconto serio ci sarebbe da ironizzare) colui che fece battere il mio cuore impreparato. Mi rendo conto scrivendo della profonda differenza che mi distingue dall’oggi e dal vissuto delle ragazzine che lo dimorano, ho un moto simile alla vergogna paragonandomi. Salvatore e il suo amico divennero l’argomento delle nostre giornate, furono i nostri sogni e il motore di quello strano sovvertimento tra quello che ancora ci piaceva e ciò che non ci piaceva più. Fu un giorno di brutto tempo quando accadde il ‘fattaccio’ , Rossella e io, non so come, non so il perché, facemmo una passeggiata in spiaggia e là trovammo la fonte delle nostre confusioni. Parlammo, di cosa non saprei dire, sorridemmo per cosa mi è sconosciuto, quel che ricordo è che ero seduta su una bassa fioriera quando lui all’improvviso mi baciò, impetuosamente impacciato allungò la sua lingua a toccare la mia, non so se chiusi gli occhi come le principesse di antesignana memoria, quel che so è che fuggii, sì, scappai a gambe levate. Non ricordo le espressioni, non rammento chi mi accompagnò nella corsa, nemmeno so che fine fece il ‘mio’ Salvatore, mi rimase impresso però il disgusto, non ridete vi prego, per quella cosa viscida che divenne la mia ossessione nei mesi a venire, argomento principe nelle mie lettere a Rossella che regolarmente seguivano il ritorno nelle nostre città e che si rincorrevano senza sosta settimana dopo settimana fino alle vacanze successive. Lacrime, sensazione di colpa, pentimento. Esisteva quel bacio tra Vlad e Mina? Dov’era quella passione romantica che Rossella e io leggevamo a voce alta in alcuni passi di Dracula? Ma il bacio, ci domandavamo nelle nostre lettere, non era il contatto di labbra morbide, anticipazione di un qualcosa ancora poco chiaro per noi due? Averle ancora quelle lettere sono certa che potrei scrivere in merito con grande ironia. Esse non ci sono più, ma è un’altra storia, è rimasto il ricordo di una ragazzina troppo alta per la sua età e così ingenua da volersi credere una principessa di una favola mai scritta.

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