Racconto di Michele Vaccaro

(Prima pubblicazione – 28 giugno 2019)

 

Il mio nome non ha importanza, non vi direbbe niente. Possiamo sorvolare.

Voglio raccontarvi una faccenda incresciosa.

Senza fare tanti giri di parole mettiamola così: mi trovo a Milano, dentro un bus di linea, il numero 80. È un giorno qualsiasi, in un orario qualsiasi, facciamo alle dieci di sera.

Sono un uomo comune che torna a casa.

L’autobus procede tranquillo nel suo tran tran di corse quotidiane. Avanti e indietro, avanti e indietro a trasportare persone all’interno del perimetro cittadino.

Anche io sono tranquillo e mi rilasso leggendo una rivista.

Ho avuto una giornata dura e non vedo l’ora di tornare dai miei affetti.

A una fermata sale un gruppo di adolescenti e comincia a fare un gran casino, impedendo al mezzo di ripartire. Alle mie rimostranze i brufolosi figli di buona donna si avvicinano e cominciano a offendermi in maniera pesante. Poi mi sferrano calci e pugni con violenza inaudita. Cerco di parare i colpi come meglio posso, ma sono in tanti e mi stanno ammazzando. Sì, mi stanno ammazzando, sento che le forze mi abbandonano, mi si annebbia la vista dal dolore. Gli altri passeggeri non muovono un dito in mia difesa. Sono terrorizzati, si fanno gli affari propri, hanno famiglia e vogliono tornare a casa. Proprio come me, che continuo a prendere botte.

In un rigurgito di lucidità e di attaccamento alla vita estraggo dalla tasca il mio coltellino svizzero, apro la lama e meno un fendente nel fianco di uno di questi piccoli mostri urbani figli del nulla. La lama entra come nel burro. La rigiro nella ferita. L’ho visto fare in un film. Voglio fargli male. Sangue, scappano, balordi vigliacchi. Legittima difesa, mi stavano uccidendo, no? Dieci contro uno. Non c’è partita. Legittima difesa, dunque. E il coltellino svizzero è consentito portarlo addosso perché considerato utensile e non arma. Legittima difesa, senza alcun dubbio. E invece no. Mi ritrovo in ospedale, mi curano le numerose contusioni al volto e infine i carabinieri mi denunciano per lesioni gravi.

Dovrò subire un processo e mi sbatteranno sui giornali additandomi come il mostro dell’autobus, quello che accoltella i ragazzini. Sbatti il mostro in prima pagina.

E già, ho sbagliato, non avrei dovuto difendermi, avrei dovuto farmi ammazzare perché gli adolescenti non si toccano, a diciassette anni è notorio che siano immaturi e non abbiano la piena coscienza di ciò che fanno. È politicamente scorretto reagire alle loro azioni violente. Sarei dovuto morire come uno stronzo per non farmi inchiodare alle mie responsabilità di adulto degenere da un avvocato cazzone e da leggi insensate.

Scusate tanto, ragazzi miei adorati, se non sono morto sotto i vostri colpi assassini. Magari la prossima volta sarete più fortunati. Perché io quel pullman lo prenderò di nuovo.